Sulla via del ritorno dalla Giordania, luogo meraviglioso, ci siamo fermati un paio di giorni a Gerusalemme e qui abbiamo visitato lo Yad Vashem, il memoriale dell’olocausto, della shoah, il disastro. Nel museo è stato raccolta una gran quantità di materiale relativo alla vita degli ebrei e a quanto è accaduto nel periodo nazista, senza dimenticare però ciò che successe agli ebrei con Stalin. Tutto è documentato, non c’è una sola fotografia la cui fonte non sia accertata. In questo si è stati anche favoriti dalla precisione e meticolosità con la quale i nazisti hanno svolto il loro lavoro. Registri delle entrate (arrivi di persone col treno) e delle uscite (loro uccisione con relativo smaltimento), album fotografici, ecc. Esiste poi il materiale, in genere diari o annotazioni in margine a libri, fogli sparsi, cartoline, ecc. scritte da ebrei e ritrovate nelle più disparate occasioni, ad esempio come una cartolina gettata dal treno da una italiana vicino a Verona e ritrovata sulla massicciata, o fornite direttamente da parenti o amici. Ci sono anche i filmati. I nazisti della propaganda girarono un film che voleva dimostrare come gli ebrei fossero paragonabili a insetti da schiacciare e che a tal proposito documentava la vita nel ghetto; un film risultò talmente sconvolgente nella descrizione della vita miserabile degli ebrei che si trascinavano per strada e vi morivano che alla fine decisero di non diffonderlo perché poteva essere un boomerang dal punto di vista della comunicazione. Poi, si sa, i nazisti decisero che nei ghetti la gente non moriva abbastanza alla svelta e quindi si passò ai lager. La vista del museo colpisce molto anche se non quanto la visita ad un vero campo di concentramento, sia esso un campo di lavoro come Auschwitz, quello sul cui ingresso stava la scritta “Arbeit macht frei”, o un campo di sterminio come Birkenau dove si andava solo per morire tanto che nelle baracche non c’erano neanche i letti. Io, negli anni scorsi, ne ho visitato uno e mi è bastato.
Tra le varie cose che la nostra guida ha detto ci sono stati due racconti che mi hanno particolarmente colpito.
Il primo racconto riguardava la sua maestra di pianoforte che era stata rinchiusa nel campo di Terezin, vicino a Praga. Quel campo è famoso perché in esso i nazisti concentrarono musicisti, poeti, attori, cantanti, intellettuali. Era un campo modello usato dalla propaganda nazista per dare ad intendere che nei campi di concentramento si viveva bene, si faceva musica, si organizzavano rappresentazioni teatrali, ecc. Nonostante ciò in quel campo morirono 88.000 persone e ne sopravvissero poco più di 4.000. Tra i tanti in quel campo c’era anche il grande direttore d’orchestra Karel Ancerl, che ne portò i segni per tutti gli anni che gli restarono da vivere e c’era anche la maestra di pianoforte della nostra guida. Lei aveva una grandissima passione per Chopin tanto che lo suonava in continuazione e così un giorno la sua allieva le chiese perché suonasse sempre Chopin, al che lei le rispose: “Perché Chopin mi ha salvato la vita”. Chissà come viveva la musica Chopin, con quale profondità.
Il secondo racconto riguardava un ragazzo morto a 14 anni. Questo ragazzo era molto intelligente ed era bravo nel disegno. Fece otto disegni. In uno di questi disegni il ragazzo si immaginava astronauta e navigava nello spazio. Quando sullo space shuttle Columbia si imbarcò un astronauta israeliano egli ottenne il permesso di portare con sé quel disegno per far fare simbolicamente a quel ragazzo un viaggio nello spazio. Come si ricorderà tornando dallo spazio la Columbia si disintegrò, gli astronauti morirono e così si distrusse anche quel disegno per cui nel museo ora c’è un buco nella sequenza di quei disegni. Veramente quel ragazzo ha fatto il suo volo nello spazio e lì è rimasto. Certo che la vita è veramente strana nelle sue coincidenze.
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