sabato 23 giugno 2012

Anniversario

Oggi io e mia moglie facciamo i 29 anni di matrimonio. Era il 23 giugno 1983, data in cui, a posteriori, ho riconosciuto tutte le possibili cabale numeriche che caratterizzano la mia vita ed era un giovedì, anche questo molto significativo dato che non conto le cose che mi sono capitate di giovedì, nel bene e nel male. Quando ci siamo sposati non ci siamo posti il problema di quanto il matrimonio sarebbe durato, ci siamo sposati e basta e siamo andati avanti un giorno dopo l'altro. 29 anni sono veramente tanti e in tutti questi anni sono successe tante cose, belle e brutte, però ho riconosciuto che mai la nostra unione poteva essere messa in discussione. Forse, se posso mettere in evidenza un aspetto molto positivo nel nostro modo di stare insieme, uno dei piccoli segreti è stato il fatto che quando c'erano dei motivi di discussione seri, non ci siamo mai tirati indietro e per accorgerci di questi motivi basta un'occhiata. Così abbiamo evitato di accumulare tensioni e incomprensioni che alla fin fine avvelenano un rapporto. Inoltre non siamo mai stati una coppia dove i due devono fare sempre le stesse cose assieme, a parte le vacanze, ma abbiamo sempre salvaguardato i nostri spazi di libertà. Ho conosciuto persone che telefonavano alla moglie o al marito 5, 6, 7 volte al giorno, appena arrivavano al lavoro, quando uscivano, quando andavano a pranzo, quando ritornavano, ecc. che non muovevano un passo se non erano assieme. Queste, secondo me, non sono manifestazioni d'affetto anche se riconosco che ci sono persone che amano vivere così ma personalmente saremmo morti soffocati e intossicati. Oggi amo mia moglie in modo molto più consapevole di allora e sono sempre molto sorpreso e intenerito quando riconosco in lei lo stesso sentimento, perchè non ho mai dato per scontato che mi dovesse amare per forza e per sempre.

Festival Internazionale di musica antica di Milano

Il 10 luglio parte la VI edizione del festival internazionale di musica antica di Milano. L'anno scorso ho seguito in modo piuttosto intenso questo festival con grande soddisfazione per le musiche eseguite e gli interpreti.
Tra gli altri ho avuto modo di ascoltare in uno dei suoi ultimi concerto il sommo Gustav Leonhard, recentemente scomparso.
L'anno scorso il concerto di apertura prevedeva l'esecuzione dei brandeburghesi di Bach con l'Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone; quest'anno si partirà, sempre in Auditorium, con le suite orchestrali di Bach eseguite dalla Venice Barique Orchestra diretta dal grande Andrea Marcon, trevisano. Avevo già sentito questo complesso, oltre che in alcuni CD, in un concerto, si può dire, tra amici, alla scuola di musica di Desenzano lo scorso 31 ottobre quando avevano eseguito musiche di Vivaldi. Sono bravissimi e sono di certo uno dei complessi barocchi più eccitanti dei nostri tempi per l'esecuzione della musica tra sei e settecento. Il loro concerto sarà imperdibile come molti degli altri appuntamenti.

MusicaProgetto: Giovani direttori alla guida dell’Orchestra Sinfon...

MusicaProgetto: Giovani direttori alla guida dell’Orchestra Sinfon...: Lunedì 25 giugno ore 20.30 i migliori allievi del corso di direzione d’orchestra di Milano Scuola di Musica, tenuto dal maestro Renato Rivolta

venerdì 22 giugno 2012

Alcool


Tutte le macchine hanno bisogno di un combustibile che le faccia andare. La mia auto si beve gasolio, quella di mio figlio benzina. Io personalmente vado ad alcool, diluito e con moderazione, ma alcool. Non posso bere solo acqua, è proprio un fatto fisico, mi intristisco.
Quando tra il 1993 e il 1997 collaboravo con le università veneziane, Cà Foscari e Architettura (IUAV), di solito a pranzo e cena andavo alla Trattoria dalla Zanze, alla Fondamenta dei Tolentini, vicinissima allo IUAV. Io e il signor Giovanni eravamo ormai amici e mi faceva un prezzo di favore. Piatti ottimi e un prosecco da urlo. Me ne caraffava una bottiglia che coscienziosamente bevevo fino in fondo, la sera. Del resto mica potevo avanzarlo, magari si offendeva. Sempre a proposito di prosecco ricordo che sulla strada di ritorno da Vienna io e mia moglie ci fermammo una volta a Conegliano dove ci servirono un prosecco divino da accompagnare ad un baccalà con polentina superbo.
Però, a dire il vero, le mie origini sono veronesi, per cui lì si va a Valpolicella, Durello, Soave e Recioto. Del recioto si ricorda soprattutto che è un vino rosso e dolce. In realtà esiste anche bianco, dal Soave, e sulla dolcezza c’è da discutere. Uno zio di mio padre, fratello di mio nonno, era sacerdote e parroco in un paesino, Cellore. Si chiamava don Carlo e faceva personalmente il recioto. Quando andavamo a trovarlo dopo i convenevoli (Come sta, zio, perché mio padre gli dava del lei, eh, si tira avanti, ma come è diventato grande Guglielmo, da quanto tempo non lo vedevo, ecc. ecc. naturalmente il tutto strettamente in dialetto locale) si veniva al dunque non scritto da nessuna parte ma sottinteso, ovvero che lui ci doveva offrire il suo recioto. Allora lui mandava la perpetua, Maria, una compaesana di mia madre ma parecchio più vecchia, a prendere la bottiglia che veniva messa sul tavolo con un bicchiere. Il bicchiere veniva riempito da lui, neanche tanto, e quello doveva bastare, perché il don Carlo era parecchio tirchio, tutto diverso da suo fratello, anch’esso prete, don Giovanni, classe 1881, 4 settembre, il più vecchio dei fratelli. Mio padre non riuscì mai a farsi dare da lui qualche bottiglia di quel nettare, neanche a pagamento. Niente da fare, se le beveva lui e le dava, in parte, ad una sorella, la “piccola”, Metilde, classe 1899, l’ultima degli otto tra fratelli e sorelle, tutti vivi, che il mio bisnonno Luigi e sua moglie, la contessa veronese Maria Failoni, che sarebbe deceduta il successivo 11 maggio 1900, avevano dato alla luce in circa 20 anni di matrimonio. 
Ma tornando al recioto c’è da dire che il recioto bianco, forse meno conosciuto, è assolutamente sublime. A Soave ci sono due cantine, la Cantina del Castello e Pieropan, che fanno due vini recioto bianco veramente ottimi. Il proprietario della Cantina del Castello è amico di un mio cugino, lato materno, e per anni abbiamo acquistato il suo recioto. Il recioto è uno di quei vini che se sei un po’ giù, se vedi il mondo in modo un po’ triste e con una brutta piega sulle  labbra, ti cambia la prospettiva in un attimo.
Per finire devo al recioto due delle più allegre sbronze della mia vita. La prima volta avrò avuto 10 anni. Ero da mia nonna e c’era la festa in paese del santo patrono, san Luigi. Mi presi la sbronza da una tizia che eravamo andati a trovare e che aveva fatto una torta, tipo torta paradiso, che inzuppai in un bicchiere di recioto, il vino delle feste. Mi ci volle poco per sbronzarmi; inforcai la bicicletta e tornai a casa non so come, mollai la bici in cortile, corsi al primo piano e mi buttai a letto dove mi addormentai di botto. Una bellezza! La seconda volta, fu, mi pare, nel 1979 o 1980. Io e la mia morosa del tempo eravamo andati a vedere uno spettacolo d’avanguardia. Dopo un’ora circa nel corso della quale gli attori avevano detto un paio di battute (ma non era Samuel Beckett, magari!), disperati, fuggimmo e andammo da Scoffone, un’enoteca che allora si trovava in via Victor Hugo ed ora è in via Pietro Custodi, e lì affogammo il nostro malessere in una bottiglia di ottimo recioto. Alla fine eravamo entrambi piuttosto brilli ma la vita aveva tutt’altri colori.

mercoledì 20 giugno 2012

Two stops sonatas - Crocetta-Missori andata e ritorno

Fra le proposte musicali più interessanti di questa estate milanese che comincia appena a scaldarsi in modo quasi impercettibile, al di là dei soliti concerti estivi che ti obbligano ad andare in un luogo magari lontano, ci sono le Two stops sonatas Crocetta-Missori andata e ritorno sul tram 24. Questa mattina in piazza Missori su un tram 16, diretto verso porta Romana, è salito un violinista. Già mi rammaricavo per l'occasione mancata che sono arrivati altri due sonatori, un clarinettista ed un suonatore di fisarmonica, che sono saliti sul mio tram, il 24. La sonata che hanno eseguito si componeva di due movimenti. Nel primo, eseguito nel tratto fino alla alla fermata in coincidenza con la fermata della cerchia dei navigli, hanno fatto una rielaborazione del canone di Pachelbel. L'esecuzione è stata molto buona. Il clarinettista non era niente male e il suonatore di fisarmonica concatenava gli accordi con una certa sicurezza, segno che aveva almeno qualche nozione di armonia, cosa questa, a dire il vero, non richiesta ai suonatori che si esibiscono nel genere delle Two stops sonatas. Certo l'esecuzione è stata un po' affrettata ma del resto le regole imposte dal genere sono ferree; al massimo si può sperare che ci sia un po' di traffico per rallentare la corsa del tram. Nella seconda parte, mentre il clarinettista andava in giro a chiedere soldi ai passeggeri, il fisarmonicista si è lanciato in una sobria versione del tango El Choclo. Al termine, come coda favorita dal semaforo rosso alla Crocetta, il clarinettista si è lanciato in un'improvvisazione abbastanza pregevole.
Mi capita spesso di ascoltare queste sonate che si presentano con complessi sempre diversi. Qualche tempo fa, ad esempio, sono saliti a Crocetta un suonatore di violino piuttosto bravo ed uno di chitarra. La chitarra aveva solo tre corde e il suonatore non aveva alcuna idea su come si suonasse la chitarra, probabilmente disorientato dall'assenza di tre corde ed essendo le altre tre stonate. Comunque tutto è andato per il meglio con una prima parte che era una libera rielaborazione del primo tempo della Eine kleine Nachtmusik di Mozart, genialmente accorciato con passaggi armonici piuttosto arditi per adattarlo alla durata di una fermata di tram, e una seconda parte che prevedeva un tango argentino eseguito con armonie piuttosto balcaniche.
Al di là dello scherzo, spesso questi suonatori sono abbastanza bravi e si vede che in patria hanno studiato lo strumento. Se avessero potuto restare nel loro paese magari ora farebbero musica in qualche complesso suonando forse qualcuna di quelle musiche strepitose che si suonano nei loro paesi con i violini che corrono in modo vertiginoso.

venerdì 1 giugno 2012

Mare


Un po' di mare è quello che ci vuole...



Radici

Profumo di casa... sarebbe un sogno vivere a Venezia, anche se non è propriamente comoda. Il giorno 11 giugno, un ben triste anniversario per me, i Tagliapietra di mezzo nord Italia si troveranno a Venezia. Dovevo andare anch'io ma sono via. Almeno, però, avrò ugualmente un paio di magliette con tanto di stemma. L'arrivederci è per il prossimo raduno, sotto Natale, a Verona. Lì non mancherò, cascasse il mondo.


Sogni e fremiti


L’ultimo concerto di maggio dell’orchestra Verdi  ha visto arrivare sul podio il giovane Darrell Ang da Singapore che ha diretto due brani di Mendelssohn tra i quali è stato presentato un brano di Flavio Testi.
Il brano di Flavio Testi, fiorentino, Sacrae Symphonie per tre solisti, coro e orchestra è un brano del 1987 che quindi ha 25 anni. I testi cantati sono biblici. La composizione è in cinque parti, la prima affidata al coro, la seconda al tenore, la terza al soprano, a quarta al basso mentre nel finale tutti si riuniscono in un Alleluja conclusivo. La composizione è piuttosto aspra con sonorità prevalenti da parte dei fiati, 4 trombe e 4 tromboni. Il titolo, ovviamente, fa riferimento all’omonima composizione di Giovanni Gabrieli pubblicata nel 1597 ma nella composizione di Flavio Testi non si riscontrano intenti imitativi o arcaicizzanti. Al più, nell’uso così intenso dei fiati, si può riconoscere un riflesso del passato rivisitato con una sensibilità moderna. La composizione ha dei passi altamente drammatici, ad esempio l’inizio; altri invece, penso al pezzo cantato dal soprano su testo del Cantico dei Cantici, è molto delicato con momenti di autentico raccoglimento e di sospensione temporale. Bello il finale timidamente giubilante sull’Alleluja che termina spegnendosi. In alcuni momenti mi sembrano evidenti alcune allusioni a Stravinskij, quello della Sinfonia di Salmi, ad esempio. Il brano è stato salutato da un buon applauso che è stato raccolto anche dal compositore medesimo (89 anni portati piuttosto bene)  salito sul palco. Bravi anche i cantanti, soprattutto la soprano Anna Carbonera che beneficiava del brano più bello, secondo mio gusto; ottimo il coro, come sempre ben diretto da Erina Gamberini, e sicura la direzione di Ang, che del resto è un appassionato esecutore di musica contemporanea.
Di Mendelssohn sono state eseguite le musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate e la sinfonia “Italiana”.
Le musiche di scena per il Sogno di una notte di mezzaestate furono scritte a due riprese, dapprima la ouverture, nel 1826, quando Mendelssohn aveva 17 anni, che fu pubblicata come op. 21, successivamente, nel 1843, il resto delle musiche pubblicate come op. 61. Il capolavoro è certamente la ouverture dove già si trovano tutte le caratteristiche dello stile di Mendelssohn; un gran brano con bellissime melodie dove Mendelssohn incontra la leggerezza della storia di Shakespeare traducendola in un’orchestrazione fatta di leggerezza ed impalpabilità e dove ottiene splendidi risultati con mezzi semplici e piccoli tocchi di colore. Il resto delle musiche di scena eseguite nel concerto (non sono state eseguite tutte le parti cantate) erano costituite da uno lieve scherzo (ottimo il flauto di Valeria Perretti), un agitato intermezzo, un poetico notturno dove predominano i corni (peccato per l’incertezza iniziale) e dalla celebre marcia nuziale (avevo scritto funebre ma ho corretto!), che fa il paro con quella dal Lohengrin di Wagner, nelle cerimonie nuziali di tutto il mondo e quindi è uno dei brani più massacrati dagli organisti (personalmente ne ho ascoltate varianti molto interessanti sconfinanti verso una geniale atonalità nei vari matrimoni delle mie innumerevoli ed amatissime cugine).
Per finire la sinfonia “Italiana” in la maggiore (ma che termina stranamente in la minore) composta durante il viaggio in Italia tra il 1830 e il 1833. La sinfonia fu terminata il 13 marzo 1833 ed eseguita il 13 maggio dello stesso anno a Londra. Successivamente Mendelssohn la revisionò in vista di una successiva esecuzione londinese del 18 giugno 1838 ma Mendelssohn non era soddisfatto del risultato per cui continuò a revisionare la partitura e ne impedì ogni esecuzione in Germania. La sinfonia fu così eseguita a Lipsia solo il 1° novembre 1849, due anni dopo la sua morte. La sinfonia fu quindi pubblicata solo dopo la morte di Mendelssohn come quarta sinfonia (in realtà era la terza) e come op. 90. Nel 1875 la Breitkopf pubblicò la sinfonia nell’ambito della Gesammtausgabe nella versione che è diventata standard e che è comunemente eseguita, anche se anni fa Christopher Hogwood, in Auditorium, ha eseguito la versione successiva e rimasta a livello di autografo dove si potevano apprezzare, nei primi tre movimenti, le varianti introdotte dall’autore, che a me personalmente piacciono molto (ne esiste anche una versione discografica diretta da Oleg Caetani).
Darrell Ang ha diretto bene, parlando in termini generali con tempi che mi sono sembrati azzeccati. La sinfonia è stata ben diretta con un primo tempo molto esuberante, che è nello spirito del brano, un secondo movimento raccolto nelle sue sonorità più tenui,  un terzo movimento, che è uno dei brani che in assoluto prediligo, eseguito in modo molto convincente (in questo brano, personalmente, ho sempre un termine di paragone quasi impossibile, ovvero Toscanini; mi dispiace, ma nessuno fraseggia come lui) e un finale, il Salterello,  eseguito con un impeto che raramente ho sentito in esecuzioni dal vivo.
Quello che è risultato evidente da subito, fin dalla ouverture del sogno che ne ha fatto un po' le spese, è stata la sonorità dell’orchestra di Ang, un orchestra dove in genere i fiati tendevano ad essere troppo presenti. Così talvolta l’esecuzione risultava un po’ pesante, ad esempio nella ouverture del  Sogno di una notte di mezza, anche se questo non andava sempre a scapito degli archi. Splendidi i violini, primi e secondi, con trasparenze molto belle ma anche con perentorie uscite come nei tempi estremi della sinfonia.
Darrell Ang, quindi, mi è parso un ottimo direttore con un grande istinto orchestrale ma che dovrebbe riuscire a contenersi un po’ di più in certi momenti. Comunque a me personalmente è piaciuto molto  e preferisco ascoltare delle esecuzioni anche eccessivamente accese da parte di un direttore che fa suonare l’orchestra piuttosto che ascoltare un direttore linfatico che produce esecuzioni esangui.
Buon pubblico e buon successo.