venerdì 30 marzo 2012

Sir Neville Marriner is back!


Sir Neville Marriner, 88 anni ottimamente portati il prossimo 15 aprile, torna sul podio della Verdi e mette insieme un gran concerto. Devo premettere però che per me Marriner è una conoscenza musicale da tantissimi anni, fin dagli anni ’60 quando ascoltando Rai Tre e spesso si ascoltavano sue esecuzioni a capo di quella strana orchestra con quello strano nome, Academy of St.Martin in the Fields. Per cui Marriner è una delle persone che assieme a poche altre, hanno accompagnato tutta la mia vita di ascoltatore di musica e di frequentatore di sale da concerto. Avere la possibilità di ritrovarmelo davanti ancora una volta, dopo le occasioni degli anni passati, è stata per me fonte di grande gioia, a prescindere da ogni altra considerazione. Detto questo, però, il concerto è stato molto bello.
Si è iniziato con la Fantasia on a Theme by Thomas Tallis di Ralph Vaughan Williams per orchestra d’archi, un brano del 1910 ma revisionato fino al 1919. In questo brano Vaughan Williams elabora un tema di Tallis, grande autore di musica del ‘500 inglese, tratto dai nove Metrich Psalter che Tallis compose nel 1567. In questo modo Vaughan Williams cerca e trova le ragioni della musica inglese nella grande tradizione dei secoli XVI e XVII saltando a piè pari ogni influenza successiva. Oltre al fatto che la melodia, in modo frigio, è molto bella in sé, si aggiunge il fatto che Vaughan Williams la sottopone ad una elaborazione intensissima fin dall’inizio con l’entrata del tema sui pizzicati e poi con l’arco con un canto veramente emozionante, la si dica come si vuole ma è così, costruendo un arco che si chiude con l’ultima vibrante e intensissima entrata del tema affidata al violino primo con l’accompagnamento della viola (veramente grandi i due solisti del quartetto, Nicolai von Dellinghausen e Gabriele Mugnai) che porta il pezzo al rapido spegnimento in un pianissimo che svanisce in una regione remota. L’orchestra d’archi è divisa in due orchestre ed inoltre viene messo in evidenza il quartetto delle prime parti. Non è propriamente una suddivisione da concerto grosso con il concertino ma questa divisione serva a creare piani sonori diversi che si integrano e si rimandano l’un l’altro in un’alternanza di canto comunitario e personale nelle parti solistiche. Veramente un grande brano. L’esecuzione è stata splendida anche perché Marriner è certamente colui che più di ogni altro rappresenta in modo vivente la musica inglese ed è stato coadiuvato in modo ottimo dall’orchestra. Vaughan William è molto conosciuto per questo brano che è stato eseguito ed inciso da molti direttori d’orchestra famosi. Purtroppo, come accade a moltissima musica inglese del ‘900, di Vaughan Williams non si conosce praticamente altro, in Italia, mentre, per dire, Vaughan Williams ha scritto ben 9 sinfonie (ma lui è quello che ha scritto anche la famosissima Fantasia on Greensleeves o la scoppiettante ouverture The Wasps, da Aristofane, che è stata la sua prima cosa che ho conosciuto) e mi piacerebbe prima o poi ascoltare, ad esempio, la settima sinfonia, la SinfoniaAntartica, scritta tra gli anni '40 e '50 con materiale scritto per un film sulla spedizione di Scott in Antartide.
A seguire c’era Mozart e il suo concerto per corno KV 495. Tornando a Vaughan Williams nell’accostamento a Mozart si è capito immediatamente, fin dalla prima nota mozartiana, quanto fosse distante la musica di Vaughan Williams dalla tradizione austriaca-tedesca tanto che ne ho avuto quasi uno choc. Fatto rapidamente un reset ho comunque apprezzato moltissimo questo Mozart suonato benissimo, come al solito, da quel fenomeno di bravura che è Radovan Vlatkovic che poi, con gli altri due cornisti in orchestra, ha fatto un bis di Anton Reicha, amico di Beethoven, un modo molto simpatico per permettere di valorizzare anche i due bravi strumentisti.
Per finire questo concerto che era iniziato con un autore inglese, Mendelssohn e la sua terza sinfonia “Scozzese”. Nel 1829 Mendelssohn fece un viaggio in Scozia e ne ricavò profonde impressioni. Visitando a Edimburgo lo Holyrood Palace e la vicina cappella, in rovina, dove Maria Stuarda era stata incoronata regina di Scozia, Mendelssohn ci dice di aver trovato l’inizio della sua sinfonia scozzese. Tornato in Germania scriverà l’ouverture Le Ebridi. Nel 1830, come si conveniva ad ogni ragazzo di buona famiglia, Mendelssohn parte per l’Italia dove resta abbagliato dal sole e dal cielo italiani. Nel 1831 si dedicherà ad una nuova sinfonia, che sarà l’Italiana e che dopo la prima esecuzione del 1833 rimarrà inedita e subirà varie revisioni, mentre la Scozzese viene messa temporaneamente da parte e sarà completata solo nel 1842, quindi 13 anni dopo il viaggio in Scozia e che verrà pubblicata come terza sinfonia anche se in realtà è la sua ultima. La sinfonia sarà eseguita per la prima volta a Lipsia il 3 marzo e a Londra il 13 giugno davanti alla giovane regina Vittoria a cui Mendelssohn chiese il permesso di dedicare la sinfonia, permesso che la regina accordò molto volentieri. Questa sinfonia quindi, poiché nasce dalle impressioni di quel viaggio, può essere considerata una descrizione di luoghi o leggende o di suggestioni poetiche o climatiche o di situazioni di lotta o di allegria, ma può essere considerata anche più semplicemente un bel pezzo di musica ricco di armonia e di suggestioni. L’esecuzione è stata molto bella e soprattutto molto intensa. Durante l’esecuzione del terzo tempo che è molto severo e profondo, osservavo alcuni strumentisti anche delle ultime file dei violini e li vedevo veramente coinvolti come raramente mi è capitato di vedere e nell'esecuione dell'inno finale si sentiva una grande forza interiore. Sarà stato Marriner? Certo Marriner ha diretto benissimo con quel gesto così chiaro e direi pratico, che proviene da una persona con tantissima esperienza e che esce dall’orchestra, essendo egli stato violinista. Un musicista vero con un grande amore per una musica che egli sente evidentemente molto sua. Alla fine commentavo che a 88 anni Marriner era stato tanto più convincente di diversi direttori molto più giovani soprattutto perché si sentiva qualcosa di diverso anche in orchestra, una convinzione, un’anima che certe volte faccio fatica a sentire. E' qualcosa di indefinibile ma che si sente, come nei rapporti con le persone. In totale sono andato al concerto un po' di malumore come mi capita in questo periodo (sarà il tempo!?) ma sono uscito dal concerto con uno stato d'animo molto migliore dell'inizio e quasi quasi mi verrebbe voglia di risentirlo.

mercoledì 28 marzo 2012

Quartetto Hagen

Sono contento perchè quest'anno ho preso un giro nelle mie frequentazioni concertistiche che mi ha permesso di ascoltare molti concerti di musica da camera, che poi è la mia vera passione musicale, tramite soprattutto la Società del Quartetto. Ieri sera suonava il Quartetto Hagen (martedì prossimo ci sarà il Trio di Parma con Dvorak: da non perdere). Gli Hagen, da Salisburgo, sono quattro fratelli, due maschi e due femmine, figli di un musicista del Mozarteum. Il quartetto si è formato nel 1981 e col tempo una delle due sorelle che suonava il secondo violino, l'altra suona la viola, ha lasciato il gruppo per dedicarsi ad altra professione, l'etnologia; così il quartetto ha continuato la sua attività con l'ingresso di un nuovo secondo violino, Reiner Schmidt, un esterno, che per forza di cose è stato cooptato dalla famiglia. Il programma prevedeva l'esecuzione del quartetto in si bemolle maggiore op. 18 n. 6 di Beethoven, di quattro brani dalla trascrizione dell'opera Luisa Miller di Verdi realizzata da Emanuele Muzio
e il quartetto in re maggiore KV 499 "Hoffmeister" di Mozart. Bel concerto dal quale però sono uscito con un vago senso di disagio. Pensandoci su un po' mentre tornavo all'automobile e a casa ho capito che questo senso di disagio derivava principalmente da due fattori: il suono, la sua intensità, e certe scelte nei tempi. Il quartetto Hagen ha un suono molto trasparente, chiaro, quasi filiforme in certi momenti per cui certi passaggi più oscuri, come il momento centrale in minore del movimento lento del quartetto di Beethoven che dovrebbe avere un colore livido ne usciva troppo asettico. Le scelte dei tempi, poi, erano in genere improntate ad una certa rapidità per cui, ad esempio, il secondo movimento del quartetto di Mozart che è una danza risultava troppo affannoso, ma anche tutto il primo tempo del quartetto di Beethoven, che ha un bel carattere rustico e anche godereccio, opera di un giovane uomo di 29 anni che aveva un sacco di cose da dire e la cui musica cominciava a strabordare un po' da tutte le parti, questo primo tempo, dicevo, è stato realizzato in modo forse un po' troppo aggressivo. Paradigmatica delle esecuzioni del Quartetto Hagen è stata la resa del finale del quartetto di Beethoven. Questo finale inizia con un adagio, denominato da Beethoven "La Malinconia"; successivamente entra l'allegro con un sapore danzante che si alternerà con l'adagio un paio di volte fino alla stretta conclusiva che concluderà in modo positivo il quartetto. Questo è uno schema che Beethoven utilizzerà anche in altre occasioni, ad esempio nel finale della quarta sinfonia dove c'è una fermata pensosa prima che un gesto imperioso come a scacciare un pensiero molesto porti la sinfonia alla sua conclusione positiva, o nel finale del suo ultimo quartetto, op. 135 in fa maggiore. Il Quartetto Hagen ha affrontato i momenti in adagio con un tempo giusto ma il suono era un po' troppo chiaro che non rendeva bene il senso di depressione che questo momento dovrebbe dare e successivamente l'allegro era un po' troppo veloce e perdeva il carattere danzante ed anche un po' ironico che dovrebbe avere.
Comunque si è trattato di un ottimo concerto anche perchè i quattro membri sono tutti ottimi strumentisti. Molto curiosa la trascrizione di Muzio della Luisa Miller, un'operazione, a dire il vero, ai limiti della follia, ma del resto, in un'epoca in cui non c'era nè radio nè televisione, nè c'erano altri mezzi di riproduzione della musica, quella della trascrizione per vari complessi cameristici era un modo per diffondere la conoscenza delle opere degli autori.
Pubblico scarsino. Se il pubblico si fosse compattato avrebbe riempito circa un terzo della sala. Commentavo questo fatto con un mio vicino di casa, il maestro Catena, che ho casualmente incontrato e che ha frequentato il Conservatorio per lunghi anni come docente di organo, mentre contemporaneamente suonava le tastiere nell'orchestra del Teatro alla Scala (ne abbiamo approfittato per rievocare tanti concerti con Kleiber, Bernstein, ecc. lui come strumentista ed io come ascoltatore). Con lui facevo la considerazione che fino qualche anno fa la Società del Quartetto era praticamente inavvicinabile. Tutti i posti erano occupati per abbonamento e gli abbonamenti passavano di padre in figlio da generazioni. Per entrare dovevi aspettare che qualcuno morisse o si estinguesse la famiglia. Oggi puoi decide all'ultimo momento, vai lì e acquisti il biglietto senza problemi perchè c'è sempre posto. Mah, sarà la crisi, sarà la disaffezione, sarà l'incultura musicale che fa sì che si risvegli l'interesse solo in presenza del grande fenomeno mediatico, dell'evento spacciato per grande grazie alla presenza di qualche giovanotto o avvenente ragazzotta pompati dai media. Ma, dico io: se oggi si spacciano per fenomeni gente come Lang Lang, giusto per fare un nome, che riempiono i teatri, chi erano Horowitz, Rubinstein, Arrau, Serkin, ecc.? Semidei? Anche loro riempivano i teatri ma non perchè avevano un ottimo ufficio stampa.

lunedì 26 marzo 2012

Beethoven


Come oggi, il 26 marzo 1827, era un lunedì come oggi, 185 anni fa, a Vienna moriva Beethoven poco dopo le 5 del pomeriggio. Per una strana coincidenza egli eveva tenuto il suo primo concerto, organizzato dal padre, giovedì 26 marzo 1778, quindi all'età di poco più di 7 anni, anche se il padre lo presentava come un bambino di 6 anni, essendo egli nato verosimilmente il 16 dicembre 1770, una domenica (fu battezzato il 17). Devo dire che il fatto che anche Beethoven sia morto mi consola; alla fin fine quello è un destino materiale a cui non sfugge nessuno e ciò, se ci si pensa, è molto, ma molto bello.
Amo Beethoven da sempre. Di tanto in tanto mi allontano da lui perchè so di amarlo molto, altrimenti non lo mollerei un attimo temendo di perderlo, e infatti quando ritorno da lui sento sempre che ha da dirmi cose nuove: è veramente un vecchio amico per me!
Qui ho messo il V movimento, Cavatina, dal quartetto in si bemolle maggiore op. 130, brano assolutamente ineffabile. Ascoltai il Quartetto Italiano (una delle tante volte che ebbi la possibilità di farlo), il 26 marzo 1977 alla Scala per il 150° anniversario della morte, quando eseguirono il quartetto in la minore Op. 132. Ero in un palco di proscenio proprio di fronte a Paolo Borciani e a sua moglie Elisa Pegreffi, primo e secondo violino, mentre Franco Rossi, il violoncello, lo vedevo di profilo e Piero Farulli, la viola, quasi di spalle (suonavano nella formazione violino, violino, violoncello, viola); grande serata di musica!
Questa Cavatina è il brano di musica, in questa interpretazione del Quartetto Italiano, che assieme ad altre musiche (ad esempio qualcosa di Bach eseguito da Glenn Gould), suoni (ad esempio il pianto di un bambino), fotografie, ecc. è stato inciso su un disco che è stato mandato in orbita sul Voyager che ora sta uscendo dal sistema solare; sono ormai 40 anni che viaggia! Mah, quanto siamo infinitesimi nell'universo!

Pierre Boulez


Oggi Pierre Boulez compie 87 anni, che è una bella età per un musicista ancora in attività. Ho assistito ad un suo concerto lo scorso 22 settembre al Conservatorio di Milano dove dirigeva una sua composizione storica, Pli selon pli e l'ho trovato come sempre assolutamente lucido e impeccabile nel gesto. Vederlo dirigere chiariva in un modo speciale e rivelatore quella musica non certo facile, ma veniva fuori anche una inaspettata umanità tanto che alcune parti risultavano addirittura commoventi, e ciò non è molto consueto trattandosi di musica del secondo dopoguerra. Del resto Boulez che è stato prima compositore è diventato ben presto anche un direttore d'orchestra, oltre che saggista da sempre nonchè fondatore dell'IRCAM di Parigi. Come direttore d'orchestra, naturalmente, si è rivolto inizialmente a quegli autori che hanno fatto la storia del '900 in musica. Ecco quindi Debussy, Ravel, Bartok, Stravinskij, Webern, Berg, Schoenberg, le sue musiche, Berio, Messiaen, ecc. ma contemporaneamente Wagner, Mahler a partire dal Klagende Lied in versione integrale affrontato già 40 anni fa e i Gurre Lieder di Schoenberg, Bruckner... Di lui ricordo quando venne alla Scala alla fine degli anni '70 per dirigere la Lulu di Berg in versione integrale con il completamento del terzo atto fatto da Friedrich Cerha con i complessi dell'Opera di Parigi; spettacolo bellissimo, mi pare con la soprano Teresa Stratas. In quell'occasione fece anche un concerto, con l'orchestra dell'Opera, dove eseguì musiche di Messiaen e Stravinskij, la Sagra della primavera; mai sentita una sagra così stratosferica, nè prima nè dopo, neanche nel 1982 quando la sentii sempre in Scala diretta in un concerto interamente stravinskiano (era in centenario di Stravinskij) diretto da Leonard Bernstein.
Qui sotto propongo un concerto esemplare ed assolutamente caratteristico di Boulez con musiche di Berg (la bellissima suite dalla Lulu, priva però del primo brano orchestrale; una musica piena di melodia e di armonia), Debussy e Stravinskij di cui esegue il balletto L'uccello di fuoco in versione integrale, come si dovrebbe sempre fare non limitandosi alla sola suite come si fa di solito.
Spero che l'insegnamento e l'esempio di Pierre Boulez sia uno sprone affinchè nei concerti si esegua più musica contemporanea che è la nostra musica e che è assolutamente anacronistico ormai considerare come qualcosa di ostico ed incomprensibile; la si deve affrontare con parametri diversi rispetto a quelli che si usano per ascoltare la musica romantica, ad esempio. Ma del resto non è forse diverso ascoltare una sinfonia di Beethoven e una sinfonia di Haydn o Mozart?

domenica 25 marzo 2012

Anniversari

Oggi, 25 aprile, compie gli anni la grande soprano Magda Olivero, 102 anni in perfetta forma!
Il 25 marzo compivano gli anni anche Arturo Toscanini (1867) e Bela Bartok (1881).
Il 21 invece faceva gli anni Johann Sebastian Bach (1685).
Domani, invece, compirà gli anni Pierre Boulez (1925) che ha 6 giorni di differenza da mia madre che ha fatto gli anni il giorno 20 e questa è una cosa che personalmente mi ha fatto molto piacere.
Oggi invece è morto Antonio Tabucchi e la cosa non mi ha fatto molto piacere.

Articolo 18

 Sull'articolo 18 sono state dette un sacco di cose inesatte. Del resto dal giornalismo italiano non ci si può aspettare nulla di meglio. In questo articolo si cerca di rimettere un po' di ordine in questa vicenda.

art. 18, flessibilità e modello tedesco: tabù a confronto

sabato 24 marzo 2012

Scozzese

Beethoven per riposarsi un po' prima di spiccare il volo con il suo ultimo periodo da compositore si mise ad arrangiare canzoni scozzesi. Era un lavoro ben pagato che aveva già fatto anche Haydn. Questo è tratto dalla raccolta dell'opera 108:

Come fill, fill, my good fellow!


Come fill, fill, my good fellow!
Fill high, high, my good Fellow,
And let's be merry and mellow,
And let us have one bottle more.
When warm the heart is flowing,
And bright the fancy glowing,
Oh, shame on the dolt would be going,
Nor tarry for one bottle more!

Refrain: Come fill ...

My Heart, let me but lighten,
And Life, let me but brighten,
And Care, let me but frighten.
He'll fly us with one bottle more!
By day, tho' he confound me,
When friends at night have found me,
There is Paradise around me
But let me have one bottle more!

Refrain: Come fill ...

So now, here's to the Lasses!
See, see, while the toast passes,
How it lights up beaming glasses!
Encore to the Lasses, encore.
We'll toast the welcome greeting
Of hearts in union beating.
And oh! For our next merry meeting,
Huzza! Then for one bottle more!

Refrain: Come fill ...



E' piuttosto divertente vedere come questa canzone scozzese si trasforma in una canzone russa, facendola cantare ad un basso, cambiando la lingua e il tipo di esecuzione.

venerdì 23 marzo 2012

Sir John Barbirolli

Avendo qualche annetto, a dire il vero non tanti, e avendo iniziato ad andare per concerti nel 1968 con varie agevolazioni come iscritto alla Gioventù musicale, ebbi la possibilità di ascoltare nel luglio del 1969 un concerto alla Scala diretto da Sir John Barbirolli che sarebbe morto esattamente un anno dopo. Ero ben conscio di chi fosse Barbirolli e lo ascoltai con grande devozione. Eseguì il quinto concerto per violino di Mozart, quello con il finale alla turca, con un violinista che non ricordo e, nella seconda parte, la quinta di Mahler. Ho dei ricordi a sprazzi di quelle esecuzioni. Ricordo però due cose. La prima è il gesto di Barbirolli, essenziale, aristocratico, bellissimo a vedersi e chiarissimo. La seconda è il pubblico della platea e dei palchi (io e i miei amici eravamo in prima galleria centralissimi e potevamo vederli molto bene) che durante l'esecuzione della sinfonia di Mahler, alla fine di ogni movimento, quasi fosse una fermata del tram, se ne andavano. Uno addirittura se ne andò a metà del finale tenendosi la pancia, preso probabilmente da un attacco fulminante di un qualche malanno intestinale. Insomma, se alla fine non c'eravamo noi della galleria ad applaudire il povero Barbirolli di applausi ne avrebbe presi ben pochi. E meno male che c'era Mozart all'inizio perchè quando l'anno dopo, credo, il grande Jasha Horenstein venne a dirigere la VII di Mahler, e il concerto prevedeva solo quel pezzo, la gente non venne addirittura e così in platea ci saranno state 100 persone a dir tanto e i palchi erano praticamente deserti. Altri tempi. Comunque Claudio Abbado, con programmazioni di quel tipo, formò una generazione di pubblico che in buona parte è quella che ancora oggi, con qualche annetto in più, riempie le sale milanesi. Si spera però che arrivino nuovi giovani e che siano curiosi.

Piccola Petra


Uno dei ricordi più intensi della Giordania è stata la visita della piccola Petra, il caravanserraglio di Petra, che abbiamo visitato esattamente due settimane fa come oggi. Alla fine dello spiazzo su cui si affacciano alcune facciate scolpite nella roccia, si apre una stretta gola tra due pareti di roccia. Arrampicandoci fino in alto siamo arrivati ad una terrazza naturale con una vista meravigliosa. Lì c'erano un ragazzo e una ragazza che vendevano degli oggetti di artigianato. La cosa particolare era che la ragazza era danese di origine e aveva fatto una scelta piuttosto radicale decidendo di andare a vivere lì con quel ragazzo (comunque pare che i suoi genitori fossero felici di quella scelta). Quella ragazza, con il viso circondato da un velo, era di una bellezza rara. Abbiamo parlato un po', poi li abbiamo salutati e siamo ridiscesi. Ad un certo punto, ero già piuttosto in basso, mi sono voltato e guardando verso l'alto ho visto i due seduti che ci guardavano, figure silenziose nella natura. E' stata una visione magica e indimenticabile di una serenità e di pace assoluti.

giovedì 22 marzo 2012

Cascioli vs Beethoven

Del concerto di stasera scrivo subito, a caldo.
Il primo brano era l'ouverture da Rienzi, di Wagner, del 1842. Forse in questo periodo non sono nello stato d'animo giusto ma, a parte un paio di momenti, soprattutto la grande melodia iniziale, il resto mi ha fatto un effetto piuttosto pompieristico. Eppure mi piace, ma non è una musica per tutte le occasioni. Non capisco come nel programma di sala l'estensore della nota sull'ouverture possa dire che tra le fonti di ispirazione si nota il giovane Verdi dei Vespri siciliani. Innanzitutto quell'opera verdiana è del 1855 e in secondo luogo l'ouverture dei Vespri siciliani è molto più bella di quella del Rienzi. Comunque sarà impressionante il passo che Wagner farà di lì a poco con l'Olandese volante la cui ouverture, quella sì, ha una forza travolgente con tutto quel vento che le circola dentro.
A seguire il primo concerto di Beethoven. Suonava Gianluca Cascioli. Il concerto è del tipo "militare", un genere che piaceva molto al pubblico di allora e nel quale anche Mozart aveva dato belle prove. Se il primo movimento è abbastanza brillante ed anche un po' esteriore, il vero cuore espressivo del concerto risiede nel secondo movimento dove Beethoven limita i fiati ai corni, ai clarinetti e ai fagotti dando così all'orchestra un colore caratteristico che sembra quasi quello di una serenata mozartiana. In particolare il clarinetto ha un ruolo molto importante ed espressivo nei dialoghi con il pianoforte. Il finale è molto vivace con episodi molto originali e ben ritmati. Già dall'inizio con l'introduzione orchestrale si è capito che si sarebbe trattato di un'esecuzione dai colori tenui, un po' languida, morbida che poi è, mi pare, la caratteristica predominante del pianismo di Cascioli. Detto ciò non è stato sorprendente che le cose migliori siano venute proprio dal secondo movimento. Il resto, a me, non è piaciuto troppo, nel senso che preferisco altri tipi di interpretazioni più vitali del giovane Beethoven, però capisco che anche questa interpretazione può avere una sua ragione. Cascioli ha fatto come bis la prima bagatella di Beethoven dell'op. 126, che è in effetti adattissima al suo pianismo e l'ha fatta bene ma non ha fatto il ritornello.
Per finire i cinque canti di Rückert di Mahler che furono pubblicati assieme ai due ultimi lieder del Knaben Wunderhorn, Revelge e Der Tambourg'sell. Dal punto di vista musicale non c'è dubbio, per me, che il migliore dei cinque è il lied Ich bin der Welt abhanden gekommen, ovvero Sono perduto al mondo per la resa musicale di un testo che toccava gli strati più profondi di Mahler che ne tira fuori il suo lied più bello. Io ho il CD dove canta la von Otter diretta da Gardiner; non mi vergogno a dire che quando l'ho ascoltato ho pianto. Cantava la mezzosoprano Ildiko Komlosi che, leggo, è una cantante d'opera. In effetti ha una gran voce e me la vedo bene a fare Amneris, ad esempio; cantare lieder però è una cosa un po' diversa. Personalmente non l'ho apprezzata moltissimo in questo repertorio anche se indubbiamente ha cantato bene; più che altro si tratta di una questione di stile nel canto.
Dirigeva la Zhang Xian che ha cercato di assecondare al meglio Cascioli in Beethoven. In Mahler non mi ha convinto del tutto; credo che debba maturare ancora questo repertorio per sentirlo con una certa intensità e interiorità, per captare quell'atmosfera impalpabile di questi ultimi lieder mahleriani.

mercoledì 21 marzo 2012

Guido Cantelli

Se Guido Cantelli non fosse morto il 24 novembre 1956 in un incidente aereo, 8 giorni dopo essere stato nominato direttore dell'orchestra del Teatro alla Scala e due mesi prima della morte di Toscanini, che non lo seppe mai, come sarebbe cambiata la storia della direzione d'orchestra del secondo dopoguerra e su su negli anni '60, '70, '80, ecc? E come sarebbe cambiata la storia della Scala? Molte altre sono le domande che ci si potrebbe fare alle quali però non si può dare una risposta. Di certo era un grandissimo musicista, nobilissimo, che non per niente era diventato il prediletto di Toscanini. Di lui, per forza di cose, sono rimaste poche testimonianze delle sue esecuzioni, sufficienti però a darci la prova evidente della sua grandezza; almeno ci è rimasto il suo "Così fan tutte".

Facebook dei morti

La settimana scorsa, mentre ero all’estero, è morta Elena, una signora (mi verrebbe di chiamarla ragazza perché quando l’ho conosciuta aveva solo 24 anni) che aveva lavorato nella mia segreteria per una decina di anni e che quindi conoscevo abbastanza bene. Per tutti quegli anni, ad ogni pranzo, si costituiva la formazione fissa: io, alla mia sinistra la mia segretaria Lucia (Lucy), davanti a lei Elena e davanti a me Antonio (Anto). Gli altri si disponevano ai lati e se qualcuno, magari perché era nuovo e “non sapeva”, osava occupare uno di quei posti veniva redarguito amichevolmente ma molto fermamente. Quelle erano occasioni di gran divertimento, puttanate a grappolo, commenti su quanto di vario accadeva nel mondo, pettegolezzi, ecc. Aveva solo 38 anni ed è morta improvvisamente. Dopo essermene andato dal lavoro quasi due anni fa non l’avevo mai cercata ma l’avevo vista una volta che ero tornato nel posto dove lavoravo; qualche giorno prima dello scorso Natale ero passato di lì per delle incombenze burocratiche ed ero tornato a bere un caffè con alcuni vecchi colleghi però non l’avevo vista. Quando sono ritornato dal mio breve viaggio ho cercato qualche traccia di lei sul web e così ho visto che era in facebook. Non l’avevo mai cercata su facebook e così mi è capitato ci cercarla da morta! Fa un po’ impressione leggere una bacheca di una persona morta. Piccole gioie, grande gioia quando si era sposata tre anni fa, accordi con qualcuno per vedersi, scambi di idee, per fortuna assenza di dialoghi del tipo: “Aiuto!”, “Che ti succede?”, “Ho bruciato il risotto” e altre sciocchezze del genere di cui facebook è pieno. Un numero normale di amici che in buona parte conosco perché sono tutti ex colleghi. Nessuno ha scritto qualcosa sulla sua bacheca dopo la sua morte e del resto, come avrebbe potuto rispondere?! Il facebook dei morti non esiste. In nessun modo lei potrebbe aggiornare il suo status ma forse quello sarebbe un aggiornamento importante! Per chi? Per noi? Per lei? Invece, tra le varie controindicazioni della morte, si diventa anche una fonte di intasamento della rete con delle pagine che non servono più a nessuno e staranno lì non so quanto tempo inutilmente, pallida ombra di una vita che non c’è più.

La stecca della Callas

Questa è la famosa stecca della Callas (al minuto 2 circa) e dove la Callas fa un gesto quasi a scusarsi. Dico solo: Magari ci fossero oggi cantanti come la Callas capaci anche di fare una stecca, ma con anima.

lunedì 19 marzo 2012

Guido Cantelli & Samuel Barber

Guido Cantelli, un musicista dal curriculum sciaguratamente brevissimo, alle prese con Samuel Barber, un autore di grande qualità quasi sconosciuto dalle nostre parti a parte una singola composizione.

Programmi di sala

Oggi mi è capitato tra le mani un volume che avevo fatto rilegare con i programmi di sala della stagione sinfonica 1973 della Scala.
Mi sono messo a sfogliarlo e sono capitato su un concerto diretto da Karl Boehm che dirigeva una sinfonia di Mozart e l'ottava di Bruckner. Me lo ricordo bene quel concerto! Allora sono andato a vedere cosa si scriveva di Boehm nel programma: in tutto una decina di righe con le cose salienti della sua carriera, gli autori e basta. Per Boehm bastavano poche righe, ma anche per Abbado, Rubinstein, Stern, Starker, Szeryng, Mehta, ecc. (tutti artisti che parteciparono a quella stagione). Oggi si prende un programma di sala dove dirige un direttore o suona un solista diciamo "normale" per non dire altro: due pagine fitte fitte. Ha diretto di qua, di là, incarichi, ha collaborato con le seguenti orchestra (non si contano), ha suonato con direttori quali e giù nomi, ecc. ecc. C'è qualcosa che non va, ma di brutto anche.

Scarlattiana

Ieri mattina per la serie MAGGIOREminore il MAGGIORE era Prokofiev con la sinfonia N. 1, "Classica" brano ultrafamoso, mentre i due minori, ma non troppo, erano Gianfrancesco Malipiero con i frammenti sinfonici de Il finto Arlecchino, un brano del 1925 e Alfredo casella con la sua Scarlattiana del 1926, dove in 30 minuti scarsi Casella è capace di citare 80 sonate di Scarlatti costruendo un pezzo ben strutturato. Certo operazioni come il Pulcinella di Stravinskij erano molto più corrosive e negative, pessimistiche; comunque queste sono musiche che fanno parte di una esperienza novecentesca tanto rimossa quanto meritevole di essere conosciuta in ogni caso. Non si capisce perchè in Italia quel genere della musica sinfonica o da camera del periodo pre seconda querra mondiale non esista o quasi; non è che i vari Nono, Berio, Maderna, ecc. siano venuti fuori dal nulla. Belle esecuzioni anche da parte del pianista Simone Pedroni nella Scarlattiana. Molto bella la sinfonia di Prokofiev eseguita con tempi azzeccati. Bella esecuzione dell'orchestra, ben diretta da Giuseppe Grazioli (buon onomastico), che ha suonato con grande bravura; in particolare segnalerei i violini chiamati ad una pulizia di suono assoluta su note molto acute raggiunte con a plomb perfetto ad esempio alla fine dell'esposizione del primo movimento, alla fine dello stesso e nel travolgente finale.

domenica 18 marzo 2012

Cose da ricordare

Domani è san Giuseppe, festa del papà. Poichè stasera parto e domani non sono a Milano, si festeggia oggi. Con che cosa si festeggia san Giuseppe? Con le zeppole di Gattullo, a Porta Ludovica. Stamattina, quindi, dopo il bel concerto mattutino sono andato da Gattullo, che è lì vicino, per compiere il piacere annuale di acquistare le sue zeppole. Ottime come al solito. Meno male che si mangiano una sola volta all'anno a differenza dei marrons glacés e altre leccornie di Giovanni Galli (piazza Missori all'inizio di Corso di porta Romana o via Victor Hugo) o la torta sacher di Cova (via Montenapoleone) che puoi trovare in ogni stagione ma da da cui è bene astenersi, almeno periodicamente.

venerdì 16 marzo 2012

Che bis faccio?

Nell'ultimo concerto dell'orchestra Verdi si sono allineati Weber con la spumeggiante ouverture dall'Oberon, Beethoven e il suo terzo concerto per pianoforte e Mahler con il giovanile Das klagende Lied, il tutto diretto dal direttore musicale de La Verdi, Xian Zhang.
Dico subito che alla fin fine, come resa generale, la cosa che ho preferito è stata l'ouverture dall'Oberon di Weber, mi pare molto ben suonata da tutta l'orchestra e con grande impeto dove in particolare i corni si sono fatti molto onore e i violini filavano con un suono limpido che già punta a Mendelssohn.
Il terzo concerto di Beethoven è, fra i cinque, il mio preferito, forse perchè, come evidenzia Piero Rattalino questa è un'opera un po' ambigua che può essere intesa come conclusione del concerto classico o come inizio delle nuove conquiste beethoveniane. Ne viene fuori un'opera piena di pathos, come si conviene alla tonalità di do minore, che per certi aspetti ricorda il KV 491 di Mozart, anch'esso in do minore, ma certi aspetti della scrittura pianistica non sono per niente classici. Suonava la giovane pianista cinese Jin Ju. Sicuramente grande tecnica e una bella e disinvolta confidenza con la tastiera però, secondo mio gusto, pesta un po' troppo sui tasti. Non vorrei che il suo modello sia Lang Lang (come si vede la mia inguaribile bontà d'animo mi ha impedito di aggiungere degli aggettivi qualificativi non molto lusinghieri a quel nome tanto osannato in ogni dove; mi spiace per Giovanni Allevi e il suo genio musicale, ma è così e se ne deve fare una ragione). Ha fatto anche un bis. Dopo un Beethoven mi sarei aspettato, che so, una bagatella, la numero 4 dell'op. 126 in si minore, giusto per fare un esempio, oppure anche un Rachmaninov, giusto per dimostrare quanto era brava alle prese con uno di quei brani impossibili di quell'autore ed invece la Jin Ju ha cavato dal cilindro una ca..., un branetto funambolico dal sapore cinese, tanto funambolico quanto fuori luogo e bruttino, in verità. Non so chi sia l'autore, comunque non mi è piaciuto, questo è certo. Non ho nulla contro i cinesi in musica però non mi si può far credere che siano tutti dei grandi musicisti semplicemente perchè fanno gli acrobati della tastiera. Un po' di anima e di poesia, suvvia!
Per terminare il Das Klagende Lied di Mahler, composizione scritta da Mahler all'età di 20 anni. Come giustamente osservava Boulez è incredibile come Mahler, a quell'età, mostrasse già una enorme padronanza del dominio del suono, nella conoscenza del timbro orchestrale e una grandissima intuizione della sua resa sonora. Questa, inoltre, è un'opera che preconizza molto del Mahler futuro dal momento che ascoltandola si riconoscono agevolmente dei momenti che puntano già verso il mondo delle sue prime tre sinfonie. Inoltre Mahler ci si rivela già con tutte le sue caratteristiche più tipiche, fra tutte la dimensione del racconto perchè in effetti tutta la musica di Mahler possiede questa caratteristica, ovvero di svilupparsi come un grande racconto. L'opera è in tre parti ma Mahler pubblicò solo la seconda e la terza scartando la prima che costituisce l'antefatto con l'uccisione del fratello. Ormai tutte le incisioni discografiche, da Boulez a Rattle a Chailly ripristinano la prima parte e, dico io, giustamente perchè, innanzitutto, contiene bella musica ed inoltre perchè la presenza della prima parte rende più equilibrata tutta la composizione dal punto di vista drammaturgico. Certamente l'esecuzione della prima parte pone un problema di coerenza perchè non si può eseguire la prima parte che è del 1880 accostandola alle altre due che furono revisionate in seguito per la pubblicazione; o si eseguono solo le parti pubblicate da Mahler o tutta l'opera nella versione del 1880. Nell'esecuzione di ieri sera si è scelto di non eseguire la prima parte e secondo me è stato un peccato anche perchè nell'ambito di una rassegna mahleriana che in due anni presenta tutte le sinfonie (tranne l'ottava) e tutti i lieder, si poteva fare lo sforzo di eseguire l'opera completa.
Esecuzione molto buona anche se qua e là poco profonda nel suono, ad esempio nelle parti più negative dove Mahler adotta sonorità simili a quelle che usa Wagner nel Crepuscolo degli dei. Tra i cantanti ha sicuramente spiccato la mezzosoprano Maria José Montiel; coro, come al solito, molto efficace. Bella prestazione orchestrale inclusa la banda esterna ben diretta da Jader Bignamini.
Pubblico abbatanza numeroso. Buoni applausi ma non clamorosi, neanche per la pianista, cosa questa abbastanza strana (ma non troppo).

giovedì 15 marzo 2012

Yad Vashem

Sulla via del ritorno dalla Giordania, luogo meraviglioso, ci siamo fermati un paio di giorni a Gerusalemme e qui abbiamo visitato lo Yad Vashem, il memoriale dell’olocausto, della shoah, il disastro. Nel museo è stato raccolta una gran quantità di materiale relativo alla vita degli ebrei e a quanto è accaduto nel periodo nazista, senza dimenticare però ciò che successe agli ebrei con Stalin. Tutto è documentato, non c’è una sola fotografia la cui fonte non sia accertata. In questo si è stati anche favoriti dalla precisione e meticolosità con la quale i nazisti hanno svolto il loro lavoro. Registri delle entrate (arrivi di persone col treno) e delle uscite (loro uccisione con relativo smaltimento), album fotografici, ecc. Esiste poi il materiale, in genere diari o annotazioni in margine a libri, fogli sparsi, cartoline, ecc. scritte da ebrei e ritrovate nelle più disparate occasioni, ad esempio come una cartolina gettata dal treno da una italiana vicino a Verona e ritrovata sulla massicciata, o fornite direttamente da parenti o amici. Ci sono anche i filmati. I nazisti della propaganda girarono un film che voleva dimostrare come gli ebrei fossero paragonabili a insetti da schiacciare e che a tal proposito documentava la vita nel ghetto; un film risultò talmente sconvolgente nella descrizione della vita miserabile degli ebrei che si trascinavano per strada e vi morivano che alla fine decisero di non diffonderlo perché poteva essere un boomerang dal punto di vista della comunicazione. Poi, si sa, i nazisti decisero che nei ghetti la gente non moriva abbastanza alla svelta e quindi si passò ai lager. La vista del museo colpisce molto anche se non quanto la visita ad un vero campo di concentramento, sia esso un campo di lavoro come Auschwitz, quello sul cui ingresso stava la scritta “Arbeit macht frei”, o un campo di sterminio come Birkenau dove si andava solo per morire tanto che nelle baracche non c’erano neanche i letti. Io, negli anni scorsi, ne ho visitato uno e mi è bastato.
Tra le varie cose che la nostra guida ha detto ci sono stati due racconti che mi hanno particolarmente colpito.
Il primo racconto riguardava la sua maestra di pianoforte che era stata rinchiusa nel campo di Terezin, vicino a Praga. Quel campo è famoso perché in esso i nazisti concentrarono musicisti, poeti, attori, cantanti, intellettuali. Era un campo modello usato dalla propaganda nazista per dare ad intendere che nei campi di concentramento si viveva bene, si faceva musica, si organizzavano rappresentazioni teatrali, ecc. Nonostante ciò in quel campo morirono 88.000 persone e ne sopravvissero poco più di 4.000. Tra i tanti in quel campo c’era anche il grande direttore d’orchestra Karel Ancerl, che ne portò i segni per tutti gli anni che gli restarono da vivere e c’era anche la maestra di pianoforte della nostra guida. Lei aveva una grandissima passione per Chopin tanto che lo suonava in continuazione e così un giorno la sua allieva le chiese perché suonasse sempre Chopin, al che lei le rispose: “Perché Chopin mi ha salvato la vita”. Chissà come viveva la musica Chopin, con quale profondità.
Il secondo racconto riguardava un ragazzo morto a 14 anni. Questo ragazzo era molto intelligente ed era bravo nel disegno. Fece otto disegni. In uno di questi disegni il ragazzo si immaginava astronauta e navigava nello spazio. Quando sullo space shuttle Columbia si imbarcò un astronauta israeliano egli ottenne il permesso di portare con sé quel disegno per far fare simbolicamente a quel ragazzo un viaggio nello spazio. Come si ricorderà tornando dallo spazio la Columbia si disintegrò, gli astronauti morirono e così si distrusse anche quel disegno per cui nel museo ora c’è un buco nella sequenza di quei disegni. Veramente quel ragazzo ha fatto il suo volo nello spazio e lì è rimasto. Certo che la vita è veramente strana nelle sue coincidenze.

mercoledì 14 marzo 2012

Alcune osservazioni delle relazioni tra fumo e musica

Esimi ed illustri colleghi, torno brevemente sul tema del finanziamento delle attività musicali segnalando questo articolo che dice cose risapute ma che è sempre utile tenere presenti.
Visto però che in questo articolo, ancora una volta, si osserva che i tre milioni che sono arrivati alla Fondazione Verdi, quando arriveranno, hanno comportato un aumento delle accise sulle sigarette faccio solo un rapido calcolo della serva, come si dice in queste occasioni e di cui spero mi farete venia in questo così augusto consesso.
Da dati ufficiali si sa che in Italia (OCSE 2008) ci sono circa 11 milioni di fumatori. Facendo l'ipotesi che ogni fumatore in un giorno fumi in media 5 sigarette (una al mattino, una a metà mattina, una dopo pranzo, una nel pomeriggio e una dopo cena accompagnata da un buon cordiale) avremmo che in un anno (360 giorni) si fumerebbero 19,8 miliardi di sigarette corrispondenti a 990 milioni di pacchetti. Supponendo che l'aumento dell'accisa sia di un centesimo di euro al pacchetto, che mi sembra sia una cifra minima, avremmo che da questo aumento ne deriverebbe una maggiore entrata per lo stato pari a 9,9 milioni di euro che sono più del triplo dei soldi destinati alla Verdi. Magari arrivassero alla Verdi tutti quei soldi! Ovviamente credo, stimatissimi colleghi, che mediamente un fumatore fumi ben più di 5 sigarette al giorno per cui la cifra complessiva aumenterebbe in proporzione; infatti se fossero anche solo 7, una al mattino, una a mezza mattina, una dopo pranzo, due nel pomeriggio e due in serata, si arriverebbe a 13,8 milioni di euro di maggiori entrate fiscali! Con l'ipotesi di 7 sigarette al giorno per arrivare ai tre milioni erogati alla Verdi si dovrebbe ipotizzare un aumento delle accise al pacchetto di ben 2,1645 millesimi di euro, un carico fiscale veramente insostenibile! Se poi si prendessero per veri altri dati relativi al 2009 che indicano in circa 13 milioni i fumatori con una media di 15 sigarette al giorno, ipotizzando un aggravio fiscale di un centesimo a pacchetto si avrebbe addirittura un maggior introito per le casse dello stato di ben 35 milioni di euro; per arrivare alla cifra dei tre milioni erogati a favore della fondazione Giuseppe Verdi il carico fiscale a pacchetto sarebbe di 0,8547 millesimi di euro. Esimi colleghi, e concludo avviandomi rapidamente alla conclusione: se c'è stato un aumento delle accise delle sigarette da queste considerazioni si deduce, dopo attenta riflessione, che solo una minima parte è andato a favore della Verdi e il resto sarà andato a coprire qualche altro buco che di sicuro non manca nelle disgraziate finanze del nostro bel paese. (Brusii dal fondo, fruscii di lunghe barbe)

domenica 4 marzo 2012

Siate allegri...

Ecco un bel finale di sinfonia "allegro". La VI di Shostakovich, scritta dopo le purghe di Stalin e all'inizio della II guerra mondiale: c'era di che stare proprio allegri, soprattutto da parte di uno che aveva rischiato seriamente di andare in Siberia. Finale tra il circense e l'avanspettacolo. Ascoltai questa sinfonia per la prima volta dal vivo alla Scala nel 1974 quando Evgeny Mravinsky arrivò con l'allora Filarmonica di Leningrado, oggi San Pietroburgo. Dirigeva praticamente senza muoversi ed era impressionante vedere e sentire quell'orchestra suonare in modo così perfetto. Impressionanti anche nella disciplina: entrarono da sinistra e da destra in due file e presero posto ai loro leggii, tutti bianchi e loro stessi erano vestiti di bianco ed erano già pronti, poi è entrato Mravinsky, mezzo inchino e via senza tante scene. Qui abbiamo la Filarmonica di Vienna con Leonard Bernstein, per i quali è inutile sprecare aggettivi.

sabato 3 marzo 2012

Le Sacre du Printemps

Un secolo fa Igor Stravinskij scriveva Le Sacre du Printemps, brano che conclude il primo periodo della sua produzione, quello delle grandi orchestre, portando alle estreme conseguenze la concezione dell'orchestra a partire dall'insegnamento di Rimskij-Korsakov. Da lì in avanti Stravinskij avrebbe cominciato a scrivere brani per piccoli ensemble. Qui Igor Markevitch, amico di Stravinskij e suo grande interprete.

venerdì 2 marzo 2012

Fine settimana

Questa settimana prima della vacanzina è stata tremenda. Non ho mai avuto una giornata libera, sembrava che tutto dovesse accadere questa settimana come per un destino; se poi ci si aggiunge che anche in queste situazioni non voglio rinunciare alla lettura, alla musica e poi c'è la famiglia e poi ci sono le tre ragazze egiziane arrivate da tre mesi in Italia che aiuto dal loro arrivo in matematica e in italiano due pomeriggi alla settimana, non mi devo stupire se poi sono stanco e alle 11 non sto più in piedi. Anche lunedì prossimo sarà una giornatina bella piena fino a sera con l'assemblea dei soci della Verdi. Per fortuna si parte martedì, una settimana di vacanza, anche dai figli, che sono ben felici (andate, andate); le uniche persone non contente erano le tre ragazze che quando gliel'ho annunciato mi hanno detto "Troppo tempo!" con sei occhioni tristi. Sono troppo simpatiche e hanno una voglia di darsi da fare degna della massima ammirazione!

Il ritorno di Wayne Marshall

L’ultimo concerto della serie MAGGIOREminore presentava come compositore MAGGIORE Bela Bartok, ovviamente, e come minori Cantelube e Gustav Holst. Ieri sera c’erano tre brani di tre autori diversi, Gustav Holst, John Ireland e Aleksandr Konstantinovich Glazunov. Verrebbe spontanea la domanda: se Holst è un minore, gli altri due cosa sono? Non voglio fare classifiche, per cui mi astengo dall’esprimere un’opinione a proposito.

Di Gustav Holst è stato presentato The perfect fool, un balletto composto nel periodo 1918/1922. Holst è famoso, in Italia, per la sola suite The Planets, musica da cui hanno attinto tutti coloro che scrivono musica per film di fantascienza e similari da John Williams in giù. The perfect fool ha sonorità simili a The Planets e ne condivide anche un tema musicale. Se The Planets viene considerato un capolavoro allora lo è anche The perfect fool, nel suo genere, un brano ben scritto senza pretendere nulla di particolare.

A seguire è stato eseguito il concerto per pianoforte di John Ireland, del 1930. Fu scritto per Helen Parkins, una giovane pianista a cui dava delle lezioni e che aveva suonato il terzo concerto di Prokofiev. Pare che la spinta a scrivere il suo concerto sia venuta ad Ireland proprio dal terzo concerto di Prokofiev di cui sarebbe in un certo senso la risposta britannica, col quale ha infatti alcune similitudini nella struttura. Come risposta a Prokofiev, in verità, mi pare piuttosto smorta. Il concerto invece ha delle movenze e delle sonorità che richiamano un po’ Gershwin e Ravel. Certo, la verve di Ravel è un’altra cosa e Gershwin suona certo molto più autentico e originale. Comunque il concerto di Ireland, che in passato ha avuto una certa notorietà, ma che ora non è davvero molto frequentato, ha una certa freschezza ed è tutto sommato divertente. Niente di che, comunque. L’esecuzione è stata molto buona sia da parte dell’orchestra ben diretta da Wayne Marshall, sia per la parte pianistica, affidata a Piers Lane che ha anche inciso il concerto, assieme all’altro pezzo per pianoforte e orchestra di Ireland, Legend, un tentativo di un secondo concerto, e al concerto di Delius del 1904, gran bel concerto, quello. Comunque l’esecuzione dal vivo di ieri sera era migliore di quella in disco tanto che il concerto sembrava perfino bello.
Bis del pianista il famoso Beethoven's Colonel Bogey di Dudley Moore, un brano che rappresenta l’esperimento più audace di unificare i linguaggi più diversi, dal più aulico al più vile, in un insieme di grande compattezza ed imponenza, dove si colgono ascendenze che rimandano senza ombra di dubbio a Beethoven e Bach. Se si scritturerà un pianista che oltre a suonare canti, un'idea potrebbero essere questi canti, reinterpretati dallo stesso autore.

Per concludere è arrivato Aleksandr Konstantinovich Glazunov con la sua quarta sinfonia del 1893. Glazunov, classe 1865, è un compositore che non amo. Capisco che non poteva avere quell’autenticità dei vari Musorgskij, a cui bastava un oboe per evocare un mondo intero, Rimskij, Borodin, però la sua musica mi sembra sempre così vuota! Come diceva la gentile signora che ha il posto dietro al mio alla fine della sinfonia: Molto rumore per nulla. Non che manchino delle belle idee, ma il tutto va a parare nella scena di genere un po' artefatta, in una rappresentazione non proprio autentica, in un'allegria finale che sembra un po' imposta e non vera, come accade anche a Mahler o Shostakovich ma con ben altro peso e tragicità. Ben altra cosa, giusto per fare un confronto, Kalinnikov, classe 1866, che, ad esempio con la sua prima sinfonia, in quegli stessi anni, scrive un’opera così bella e sincera! (L’esecuzione in Auditorium di questa sinfonia alcuni anni fa è di sicuro uno dei miei ricordi più belli.)
Il concerto comunque è stato un bel concerto per come ha suonato l’orchestra ben diretta da Wayne Marshall. Su Marshall, negli anni, avevo maturato varie perplessità. Se era ottimo quando eseguiva Gershwin e Bernstein, ma ricordo anche un ottimo Goldmark e una prima di Mahler molto convincente (perchè non esegue anche la sinfonia di Hans Rott?), con belle atmosfere, quando affrontava Sibelius, il requiem di Verdi, la IX di Beethoven, per fare un esempio, mi lasciava, a dir poco, piuttosto perplesso. Con questo concerto e con queste musiche, c’è stato un ritorno alla grande di Marshall ai livelli dei tempi migliori la qual cosa mi ha fatto uscire da concerto soddisfatto. Peccato, fino ad un certo punto, che non ci sarò la settimana prossima per il prossimo concerto che, con Bernstein e Gershwin, si annuncia come sicuramente ottimo.
Ieri sera poco pubblico, magari migliorerà nelle prossime serate.