mercoledì 29 febbraio 2012

Reinbert de Leeuw - Sonneries de la Rose n. 3

Brano fantastico eseguito in modo fantastico da Reinbert de Leeuw (quanto è bella la sua esecuzione della Via Crucis di Liszt!)

Il Quartetto di Cremona al Quartetto

Gran concerto ieri sera per il Quartetto al Conservatorio con il Quartetto di Cremona. Un ottimo programma con il IV quartetto di Bartok e il quartetto op. 77 N. 1 di Haydn, nella prima parte, e Di tumulti ed ombre. Studio per Faust di Silvia Colasanti, un brano del 2010 e per finire il quartetto op. 41 N. 3 di Schumann.
Un programma tutto bello dove anche il brano della Colasanti ora agitato e frenetico, ora assolutamente statico e con un finale dove tutto si disperde in un gesto nichilista, ha fatta la sua bella figura, davanti, dico, a cotanti confronti. La Colasanti non c'era perchè recentemente è diventata mamma; peccato perchè l'avrei applaudita ancora di più.
Molto intelligente anche l'impaginazione del concerto che vedeva nella prima parte due autori, Bartok e Haydn, dal linguaggio molto immediato e concreto; fantastico, dal vivo, il quartetto di Bartok che conosco da 40 anni grazie ai bei dischi del Juilliard Quartet ma dal vivo la musica è un'altra cosa e anche Haydn, in un quartetto costruito con niente, con idee minime, un quartetto che è tutto un gioco di incastri, un gioco musicale di livello altissimo, correva che era un piacere.
La seconda parte del concerto, con la Colasanti e Schumann, presentava due brani pieni di slanci e di fantasia tendenti però alla chiusura ed alla negazione nella Colasanti mentre in Schumann, nonostante tutti i fantasmi, verso una affermazione positiva.
Ottime tutte le esecuzioni, ottima la concertazione con piani sonori ben calibrati, grandi qualità strumentali e con un bel suono. L'unico momento con il quale non mi sono trovato del tutto d'accordo è stata la quarta variazione "Tempo risoluto" del secondo movimento del quartetto di Schumann, preso ad un tempo forse un po' troppo risoluto; secondo me si perdeva un po' in pathos e in una certa enfasi in alcuni momenti, comunque è questione di interpretazione (vedi, per confronto, il Quartetto Italiano, più o meno al minuto 5)
A proposito di Quartetto Italiano, quando sono entrati i membri del Quartetto di Cremona ho avuto come un flash di quando molti anni fa andavo ad ascoltarli ovunque suonassero. Veramente indimenticabili e, senza ombra di dubbio, la mia esperienza musicale più profonda e imprescindibile.
Bis con il notturno dal secondo quartetto di Borodin, brano molto bello di un altrettanto bel quartetto.
Buon pubblico, molti giovani, grande successo.

lunedì 27 febbraio 2012

Cyril Scott

Cyril Scott e Percy Grainger suonano, o meglio, suonavano nel 1922 le Danze sinfoniche di Cyril Scott, incise per piano meccanico a rullo.



Cyril Scott era amico di Debussy, Stravinskij, Ravel, Strauss ed è considerato uno dei fondatori della moderna musica britannica. Era detto anche il Debussy inglese per brani come The Garden of Soul-sympathy, o Lotus Land, suonato sempre da Percy Grainger su pianola meccanica nel 1928, ma scriveva anche sinfonie e concerti oltre che essere uno scrittore e poeta. Un personaggio da conoscere un po' di più (grazie alla mia amica Elena che mi ha rinfrescato la memoria!)

domenica 26 febbraio 2012

Haydn: Sinfonia N. 104


L'ultima sinfonia di Haydn, la numero 104, ultima delle 12 londinesi, fu composta a Londra nel 1795 come scrisse lo stesso Haydn sul manoscritto "The 12th I have composed in England" e fu eseguita il 13 aprile. Il 15 aprile l'anonimo critico del Morning Chronicle scrisse: "Questo uomo meraviglioso non sbaglia mai e i poteri della sua mente inventiva ed appassionata sono stati raramente realizzati con più accuratezza dall'orchestra o ascoltati con il più grande rapimento dagli ascoltatori di quanto non fossero questa sera". Semplicemente musica al massimo livello, miracolosa per il fatto che questa, come molte altre musiche dell'ultimo Haydn, sono musiche popolari nel senso più autentico del termine. Non è importante sapere se certe melodie fanno parte del patrimonio popolare o sono inventate da Haydn, esse ti si presentano in tutta la loro autenticità e freschezza. Haydn con questo stile divenne immensamente popolare e si guadagnò, cosa piuttosto rara, sia il favore popolare sia quello degli intenditori più raffinati e dei musicisti. Non biasimiamo Haydn per la sua semplicità, che poi era anche di un certo Mozart, ad esempio con il suo "Non più andrai farfallone amoroso" che si fischiettava per le strade o di Gershwin, per fare un altro esempio.

venerdì 24 febbraio 2012

Uto Ughi nuovo direttore artistico del Teatro Bellini di Catania? La prima volta per un violinista

Mah... forse... ma non è meglio che Uto Ughi continui a fare il suo mestiere, ovvero suonare?

Uto Ughi nuovo direttore artistico del Teatro Bellini di Catania? La prima volta per un violinista

Karol Szymanovski


Quello di ieri sera era un concerto che, sulla carta, mi lasciava un po’ perplesso per l’abbinamento dei brani, però era anche un concerto in cui si poteva ascoltare una composizione certo non frequentemente eseguita come il primo concerto per violino di Karol Szymanovski, che ha fatto seguito all'esecuzione di qualche anno fa del secondo concerto fatto dalla violinista Natasha Korsakova e questa proposta anche di brani meno eseguiti è una caratteristica costante dei concerti dell'Orchestra Verdi. Un'altra caratteristica di questi concerti è la proposta all'attenzione del pubblico di giovani artisti, solisti e direttori d'orchestra, che con scelte intelligenti hanno fatto in modo che su quel palcoscenico siano passati anche artisti che oggi sono universalmente famosi ed osannati.
Il concerto è iniziato con il brano che si buon ben dire sia quello con il quale la musica entra nel XX secolo, ovvero il Prélude à L’après-midi d’un faune di Debussy. Bella l’esecuzione soprattutto, secondo me, dalla metà in avanti, dall’assolo di violino quando la musica sembra avvolgersi su se stessa in una lontananza sempre maggiore fino spegnersi. L’inizio mi è parso un po’ rigido e le pause, tra un glissando d’arpa e l’altro con quei corni così morbidi, poco misteriose e languide. Poi è arrivato il primo concerto per violino op. 35 di Szymanovski del 1916, e quindi appartenente al periodo in cui Szymanovski, superato il periodo straussiano e wagneriano, sentirà profondamente l’influsso di Debussy e di Ravel. Il concerto è in un solo movimento e si snoda in modo continuo passando tra vari episodi ora lirici ed estatici ora più agitati. Pare evidente che il concerto nasconda un programma anche se lo stesso Szymanovski disse che la conoscenza del programma non era un prerequisito per la comprensione del pezzo. Comunque pare che l’idea sulla quale il concerto poggia derivi dal poema Notte di maggio di Tadeusz Micinski, poeta polacco surrealista ed espressionista. In effetti il concerto inizia e finisce in un clima di pura magia ed ha una grande carica espressiva, una grande intensità. Personalmente considero l’inizio del concerto uno dei più belli e poetici quando dal brusio dell’orchestra che si spegne e sale sempre più in alto con il clarinetto, l’oboe e il flauto entra il violino su un mi bemolle acuto che tiene per quasi due battute con un leggero crescendo ma sempre dolce e da questa nota parte una melodia che sembra non dover mai finire. Questo concerto, però, pur essendo costruito così liberamente prevede un tradizionale punto di fermata dell’orchestra per la cadenza scritta dall’amico, e ispiratore del concerto, Pavel Kochański. Personalmente l’esecuzione della violinista svizzera di Losanna Rachel Kolly d'Alba, classe 1981, mi è piaciuta molto. Se dovessi fare proprio un appunto lo farei all’entrata del violino che poteva essere un po’ più intensa e poetica e al volume di suono sviluppato dal suo violino che in alcuni momenti tendeva a scomparire. Comunque una violinista di gran carattere e personalità che, mi pare, ha trovato una bella intesa con il direttore Axelrod e con l’orchestra, molto molto brava. Nell’intervallo ho acquistato un suo CD con le sonate di Ysaye, di cui come bis aveva fatto il primo tempo della V sonata e me lo sono fatto autografare aiutandola a scrivere il mio nome, che è sempre un problema, facendole lo spelling lettera per lettera. Sembravamo il maestro e la scolara: è stata una cosa simpatica.
Nella seconda parte del concerto è arrivato Ciaikovskij con due suite da due suoi balletti, la Bella addormentata e il Lago dei cigni. Questa non è certo il tipo di musica che prediligo però ammetto che si tratta di musica divertente. In particolare mi piacciono i valzer, anzi considero i valzer russi, con quelle linee dei bassi così eleganti, i valzer più belli, migliori di quelli viennesi. Certo poi ci sono anche momenti un po’ problematici come la Danse Napolitaine dal Lago dei cigni, con quella tromba così volgare, però ascoltandola mi veniva in mente Stravinskij e Petruchka, ad esempio, o anche certi passaggi del Pulcinella. Anche questo era il modo in cui un russo vedeva l’Italia nell'ottocento, vedi anche quell’orrore del Capriccio Italiano; ben diverso invece il Souvenir de Florence, brano che non ho mai avuto l’occasione di ascoltare dal vivo né per sestetto né per orchestra d’archi, grandissimo capolavoro di Ciaikovskij. Alla fine, comunque, ho trovato che quell’insieme di colori e di momenti di varia natura, ora nobili, ora poetici, ora volgari, ora divertenti di Ciaikovskij non si accostasse male alla prima parte del concerto nel segno della fantasia e dell’immaginazione.
Grande esecuzione dell’orchestra, dove le prime parti hanno tutte avuto l'occasione di uscire in primo piano, che con i russi va sempre a nozze, ben diretta dal maestro Axelrod che mi pare abbia un ottimo rapporto sia l’orchestra e stia sviluppando anche un bel rapporto con il pubblico.
Gran pubblico. Avevo dei timori, condivisi un paio di settimane fa anche con alcune persone della Fondazione, perché si temeva che la presenza del pezzo di Szymanovski potesse allontanare il pubblico e non bastasse la presenza di Ciaikovskij per attrarli. Invece il pubblico era molto numero con un sacco di giovani. Quando sono entrato nel teatro l’atrio era pieno di ragazzi e ragazze; forse c’erano state delle promozioni particolari, comunque fa sempre bene vedere il teatro quasi pieno se si considera che solo due settimane fa, con un programma apparentemente popolare dedicato a Dvorak di cui si eseguiva il concerto per violino e la VII sinfonia, il teatro, almeno il giovedì, era semivuoto. Inoltre il concerto di Szymanovski, che non è propriamente un brano molto conosciuto, ha avuto un grande successo, segno che o l’esecuzione in sé o quella musica hanno colpito molto favorevolmente il pubblico.

giovedì 23 febbraio 2012

SOS SCALA

Pare che la Scala, nonostante tutti i soldi che prende, sia in difficoltà. Che dire? Facciamo una colletta. Non permettiamo che abbia delle difficoltà e non sia più in grado di fare spettacoli del livello della recente Aida....

mercoledì 22 febbraio 2012

Jacqueline du Pré

Questo documento su Jacqueline du Pré mi pare raccolga vari spezzoni che avevo già visto qua e là e che ora sono raccolti in un unico video che si conclude con l'esecuzione del concerto di Elgar diretto dall'allora suo marito Daniel Barenboim.
Ho guardato e ascoltato questo video con tutta la dedizione e il trasporto, direi quasi amoroso, che ho per Jacqueline du Pré, in un misto di delizia e di suprema arrabbiatura, per usare un eufemismo, se si pensa a quale destino abbia avuto questa persona, questa donna, questa ragazza. Se si pensa che oggi avrebbe 67 anni e che la sua carriera si dovette interrompere nel 1973, quando aveva 28 anni, si capisce di quale tragedia si sia trattato per il mondo musicale e per lei come persona la sua malattia e la sua conseguente morte. Di lei ricordo un concerto scaligero, credo che fosse il 1971, nel quale con il suo vestito azzurro e i capelli biondissimi sotto i riflettori suonò il concerto di Schumann; ovviamente indimenticabile. Sono rimasto impressionato da tante cose di questo video ma soprattutto dalla concentrazione assoluta nell'esecuzione del concerto (a 22 anni che maturità aveva!), dal suo sguardo e poi, immediatamente dopo dal suo sorriso, un sorriso così luminoso, consapevole, intelligente.

domenica 19 febbraio 2012

Shostakovich: Sinfonia N. 9

Questa è la sinfonia di fine guerra. Stalin si aspettava una musica per celebrare la vittoria, magari infarcita di tanti bei temi folkloristici, ed invece si trovò di fronte a questa robetta con il suo finale da avanspettacolo e le marcette ridicole, ma anche dei momenti di vera angoscia. Ma cosa pretendeva Stalin, che dopo tutte le sofferenze che i russi avevano dovuto subire prima a causa del regime negli anni '30 e poi a causa della guerra e con il futuro che si apriva con prospettive certamente non migliori, si fosse pure felici? Mah, questi dittatori...
Bella esecuzione di una grande orchestra diretta da un grande direttore. Uomo aitante ed energico, lo ricordo in un concerto alla Scala di fine anni '70. Mise in riga quella orchestra sgangherata che suonava bene solo con Abbado. Fece un gran concerto con musiche di Mendelssohn e Brahms, una grande III sinfonia. Solti doveva l'inizio della sua carriera a Toscanini che lo prese a Salisburgo nel 1936, mi pare, e lo venerò sempre. In un filmato di quando andò a Bayreuth a dirigere il Ring, mi pare nel 1983, si vede Solti che entra in una stanza alle cui pareti sono appese le fotografie di grandissimi direttori che vi avevano diretto. Le passa in rassegna e così arriva alla fotografia di Toscanini; Solti si ferma a contemplare la foto con uno sguardo carico di vera ammirazione e si inchina davanti alla fotografia! Per dire quando si parla di vera grandezza... di entrambi...

Allarghiamo le orecchie

I concerti della domenica mattina denominati MAGGIOREminore danno la possibilità al pubblico di ascoltare e all’orchestra di suonare musiche che ben difficilmente trovano spazio nella stagione sinfonica.
Il concerto di stamattina era incentrato sul tema della danza e dell’utilizzo, in vario modo, del patrimonio musicale tradizionale, del folklore, nella musica.

Il MAGGIORE era il grandissimo Béla Bartòk con la sua Suite di danze del 1923. Questo pezzo, assieme al Mandarino meraviglioso è stata la prima musica di Bartòk che ebbi la possibilità di ascoltare, grazie all’iniziativa editoriale della fine anni ’60 dei Fratelli Fabbri dedicata alla musica moderna, opera assolutamente meritoria dove un disco veniva accompagnato da un fascicolo esplicativo sull’autore e sulla musica. Eppure, prima di questa mattina, di sicuro per colpa mia, non avevo mai ascoltato dal vivo questo brano meraviglioso organizzato come una sequenza di danze intervallate da un poetico interludio annunciato dall’arpa e suonato dai violi; il finale riassume e riepiloga tutte le danze ascoltate in precedenza e porta il brano ad una conclusione perentoria ed esultante.
I due autori “minori” erano Gustav Holst e Joseph Canteloube.
Holst, almeno da noi, è universalmente noto per una sola composizione, The Planets, da cui, da John Williams, in giù molti musicisti hanno attinto non appena si deve scrivere una musica collegata con guerra o fantascienza. Di Holst è stata eseguita la St Paul’s suite per archi del 1913, in quattro movimenti, basati su danze della tradizione britannica cominciando da una robusta giga al finale in cui due si intrecciano due canzoni, di cui una è la famosissima Greensleeves.
Joseph Canteloube visse nella regione dell’Auvergne per moltissimi anni e qui registrò i canti dei pastori e della gente di montagna che risiedevano in quella regione. Da qui nacque il progetto dei Chants d’Auvergne, in lingua occitana, di cui sono stati eseguiti La pastoura als camps (La pastorella dei campi), il bellissimo Bailèro dove si svolge un dialogo tra due pastori separati da un fiume e tre Bourrées intervallate da due soli dell'oboe e del clarinetto (suonati benissimo, per inciso, da Emiliano Greci e Raffaella Ciapponi, rispettivamente), brani tutti molto belli, in particolare il secondo e la sequenza delle bourrées, che hanno visto l’intervento del mezzosoprano coreano Kim Joon Min e che hanno visto la partecipazione attiva anche di moglie che ondeggiava il capo vista la sua antica dimestichezza con le danze occitane.
Dietro di me c’erano due signore. Una prima del concerto diceva all’altra: “Bello questo auditorium, mi hanno detto che ha anche una buona acustica”. Mi chiedo: ma dopo più di 12 anni, quanti milanesi ci sono ancora che non hanno mai messo piede in Auditorium, pur essendo persone che seguono gli eventi musicali cittadini? Alla fine comunque erano molto soddisfatte, così spero che tornino.
Buon pubblico e successo per un’iniziativa, quella dei concerti della domenica mattina, che permette di allargare le orecchie e di iniziare la domenica in un modo più piacevole ed intelligente del solito.

venerdì 17 febbraio 2012

Mozart Requiem


Prendere in considerazione il Requiem di Mozart porta ovviamente ad occuparsi di come il lavoro è nato, di come non è stato completato e della morte di Mozart. Il compito non è facile perché su tutta la vicenda si sono scritti interi libri leggendo i quali tutto potrebbe sembrare molto chiaro, ma esistono anche alcune fonti che mettono molti dubbi sulla vicenda "ohne Ende", senza fine, come scrisse uno studioso, una vicenda che probabilmente non avrà mai una soluzione definitiva. Non voglio certo mettermi a fare una disamina della questione, non ne ho la scienza nè da musicologo nè da critico, ma, in versioni che nascono nell’ottocento e sono più o meno romanzate, si dice che Mozart riceve una commissione per un requiem da uno “sconosciuto”, che la cosa lo impressiona profondamente, quasi quel personaggio fosse un emissario dell’altro mondo che gli annunciava la sua prossima dipartita, che lavora angosciato all’opera finale della sua vita ma viene continuamente interrotto da altri lavori, la Clemenza di Tito, il Flauto magico, il concerto per clarinetto e così non riesce a terminare il requiem, opus summum viri summi, nonostante ci lavori fino agli ultimi minuti della sua vita. Tutto ciò deriva, più o meno, da quanto ha raccontato la vedova che sopravvisse a suo marito 50 anni.
Premesso che tutta la materia è molto controversa perché molti documenti sono stati distrutti o alterati, sempre dalla vedova, o si sono presi per buoni documenti falsi, come una lettera, l’unica, di Mozart in cui parla del requiem come del suo canto funebre, esistono però alcuni fatti che forse possono dare un’altra interpretazione della vicenda.
Innanzitutto si sa che il committente non era tanto sconosciuto e che si trattava del conte Walsegg, un personaggio che si appropriava di musiche altrui che eseguiva a casa sua spacciandole per sue, con la complicità silenziosa della sua cerchia che ammiccava. Nel febbraio 1791 gli muore la moglie; nel luglio, con l’intermediazione di un certo Puchberg, giunge a Mozart la commissione di un requiem per la moglie defunta e fin qui niente di male ma la clausola è che non si dovrà mai sapere che il requiem è di Mozart, cioè il conte se ne appropria; con la morte di Mozart poi la cosa verrà praticamente scoperta anche perchè Constanza, che non sapeva del patto segreto sulla paternità dell'opera, organizza un'esecuzione del Requiem come opera del marito defunto nel gennaio 1793.
È molto probabile che Mozart, che teneva moltissimo al proprio “onore” di compositore non vedesse affatto di buon occhio il fatto che dovesse comporre un’opera perdendone poi la paternità; è verosimile che non ci lavorasse con molta voglia. Invece per lui era molto più importante l’appuntamento del 6 settembre 1791, a Praga, con l’incoronazione di Leopoldo II di cui sperava di ottenere i favori, occasione in cui fu eseguita la Clemenza di Tito, altro che il conte Walsegg.
E poi perché, dopo aver concluso il Flauto magico, alla fine di settembre, baloccarsi ancora con la composizione di un concerto per clarinetto se l’urgenza del requiem era così grande, con il committente “sconosciuto” che veniva periodicamente a verificare l’avanzamento dei lavori e il presagio della vicina morte così ossessionante, alla fin fine completare il requiem sarebbe stato un compito che un Mozart in normale attività avrebbe sbrigato in un paio di settimane.
Comunque il requiem restò un frammento come tanti altri lavori, infilato in un mucchio di musica ammassata in una stanza.
Mozart scrisse in modo completo solo l’Introitus e il Kyrie, ma c'è chi afferma che non scrisse nemmeno quello. Della sequenza del Dies Irae scrisse tutto, ma senza un’orchestrazione completa, fino al Lacrimosa che lasciò dopo 8 battute, il Domine Jesu e l’Hostias.
Dapprima Constanze affidò a un suo allievo, Eybler, il manoscritto che orchestrò fino al Lacrimosa, che non completò; poi Süssmayr, un altro allievo, completò il tutto non solo orchestrando le parti non orchestrate ma completando il Lacrimosa e scrivendo il Sanctus, il Benedictus, l’Agnus Dei che mancavano del tutto, e completando l’opera riprendendo, per la fuga finale, la fuga iniziale del Kyrie.
Detto questo, e venendo al concerto, l’esecuzione del Requiem è stata molto buona nell’orchestra e nel coro, veramente strepitoso e ottimamente preparato. Personalmente sui cantanti avrei qualche perplessità, soprattutto sul soprano, Theodora Gheorghiu, e sul tenore, Jesus Leon, quest'ultimo per il timbro. I tempi tenuti da Axelrod erano, talvolta, per mio gusto, un po’ troppo veloci, ad esempio del Dominue Jesu tanto che poi gli interventi dei cantanti sul “sed signifer sanctus Michael” mi sono parsi un po’ affannati, poco distesi e difficoltosi. Però si deve vedere come si intende il requiem di Mozart: se lo si interpreta come l'ultima parola estrema di Mozart prima di morire allora ne verrà probabilmente un'esecuzione sostenuta, anche solenne, se invece lo si considera una composizione lasciata a metà da Mozart che non la componeva neanche con grande piacere perchè non gli piaceva quella commissione e comunque aveva altri progetti per la testa cancellati poi dalla morte improvvisa, allora si tenderà a finalizzare meno l'esecuzione e a non caricarla di chissà quali significati. Ascoltando questa esecuzione non so bene come l'abbia interpretato Axelrod.
In precedenza era stato eseguito il delizioso concerto per corno KV 447, ottimamente eseguito da Radovan Vlatkovic e dall’orchestra, con un bel suono chiaro e limpido.
Il primo brano in programma era Afterthought (about a shakespearian tragedy) di Giorgio Battistelli. Il brano nasce nel 2005 da un’opera precedente, Riccardo III, di cui però non è propriamente una suite. Il brano corre via bene con sonorità che, incidentalmente, si potrebbero di volta in volta ricondurre allo Stravinskij della Sagra della primavera, al Bartok del Mandarino meraviglioso in alcuni interventi dei fiati o al Berg della Lulu in certi passaggi degli archi, in un’alternanza di momenti di grande spessore fonico e forza ad altri sospesi e tenui. Comunque belle atmosfere che, in certi momenti, in modo evidente, ricordano delle scene teatrali contrastanti. Grande prestazione dell’orchestra al gran completo.
Tutti gli anni ad un certo punto arriva un concerto che mi piacerebbe riascoltare. Questo concerto lo riascolterei, domenica se trovassi un posto, perché quello che mi ha convinto poco sono stati i cantanti e vorrei risentirli. Però mi rendo conto che ogni concerto è una storia a sé. Ad esempio qualche anno fa fu eseguita la X sinfonia di Shostakovich diretta da Vladimir Fedoseyev. Nella perorazione finale, nell’entrata dei tromboni avvertii un’incertezza, un’inezia certamente ma avvertibile. Ebbi la certezza della mia impressione quando vidi il primo trombone fare un gesto un po’ irato nei confronti dei suoi colleghi. Allora andai a risentire il concerto domenica. L’entrata dei tromboni fu perfetta ma in compenso ci furono altre cose che mi lasciarono perplesso tanto che alla fine conclusi che la prima esecuzione era stata migliore della seconda, per cui non riandrò, anche perchè non ci sarà posto.
Teatro praticamente tutto esaurito, molti applausi, se si considera il pezzo, per Battistelli e tantissimi per il concerto per corno; molti anche per il reguiem ma, secondo me, non tanti quanti ce ne sarebbero stati se ci fosse stato un vero entusiasmo.

giovedì 16 febbraio 2012

Concerto all'Assunta


Ieri sera c'era un concerto nella chiesa in fianco a casa mia e così, come avevo promesso tempo fa, ci sono andato. L'Orchestra dell'Assunta in Vigentino nacque nel gennaio 1995 per iniziativa di alcuni professori dell'Orchestra Sinfonica della RAI di Milano che era stata chiusa un paio di anni prima, evento da cui nacque anche l'orchestra Giuseppe Verdi (ricordo, sempre in quel periodo, anche la chiusura dell'orchestra dell'Angelicum). Il complesso è naturalmente di piccole dimensioni per cui il repertorio, che copre comunque ogni epoca tra il '600 e il '900, è limitato a composizioni per piccoli ensemble.
Ieri sera il concerto era organizzato come una carrellata di musica italiana cominciando con Corelli e il suo meraviglioso quarto concerto dell'opera VI.
Il programma è proseguito con Giovanni Bottesini, il Paganini del contrabbasso e direttore della prima dell'Aida al Cairo, e il suo Gran Duo Concertante per violino, contrabbasso e orchestra, una composizione costruita come una grande scena d'opera, con una sorta di declamato iniziale, un grande duetto cui seguono delle recriminazioni tra i due personaggi tra cui non tira un'aria molto buona tanto che si lanciano quasi in un'invettiva per poi alla fine fare pace e riconciliarsi con un ultimo duetto degno di Donizetti del Don Pasquale o dell'Elisir d'amore; un po' folle ma molto divertente.
Per terminare si è arrivati al '900 con Bruno Bettinelli, milanese, appartenente ad una generazione intermedia tra la generazione dell'ottanta (Malipiero, Casella, Respighi, ecc.) che per prima, a parte l'eccezione precedente di Giuseppe Martucci, si allontanò dalla tradizione del melodramma ottocentesco, e la generazione nata dopo gli anni '20 (Berio, Nono, Maderna, ecc.) che segnò, assieme ai colleghi d'oltralpe, tutta la musica del secondo dopoguerra. Di Bettinelli sono state eseguite due composizioni, le Due invenzioni del 1939 e la Fantasia e fuga su temi gregoriani del 1947, entrambi per orchestra d'archi. Interessante in particolare le Due invenzioni, con atmosfere un po' alla Ives nel primo brano e alla Bartok nel secondo.
Nel duo di Bottesini hanno suonato Piercarlo Sacco, al violino, e Luigi Correnti al contrabbasso che hanno retto bene il cimento non facile.
L'orchestra ha ben suonato sotto la direzione del suo direttore Paolo Volta con, forse, un piccolo pasticcio in un'entrata tra viole e violoncelli in Bettinelli e le viole che in alcuni casi non si amalgamavano bene con il resto dell'orchestra soprattutto sul piano.
Pubblico numeroso. Applausi.

mercoledì 15 febbraio 2012

Fumeux fume par fumée

Leggo su LEGGO.IT la seguente notizia:

Altra stangata in arrivo per i fumatori. Si profila un nuovo aumento delle accise sulle sigarette nel decreto Milleproroghe, per dare 3 milioni di Euro all'Orchestra sinfonica Giuseppe Verdi di Milano. L'incremento è stato votato dalle commissioni Bilancio e affari costituzionali del Senato.
Un primo incremento era stato inserito alla Camera per un totale di 15 milioni per coprire finanziariamente le pensioni dei precoci e degli esodati.

La notizia viene ripresa anche nella pagina Facebook seguita da una fila di commenti illuminati; ad esempio

A me sta anche bene, ma il problema è... Una volta che avranno raggiunto la cifra diminuiranno le accise sulle sigarette? E se non diminuiranno dove andranno a finire gli aumenti? Io credo che abbiano messo in mezzo l'Orchestra per giustificare l'ennesimo aumento. La prossima volta se ne inventeranno un'altra. Vorrà dire che ogni volta che fumerò mi canterò Va pensiero sulle accise dorate....

che adombra un utilizzo improprio di un’orchestra sinfonica per creare fondi a copertura di ulteriori sprechi (ahahah, bellissima questa; la prossima volta aumenteranno le accise fingendo di sovvenzionare la coltivazione della cozza, ecc.)

Poi c’è chi ha le idee molto chiare:

Che si fotta l'orchestra!!! anche se non fumo!!!

Mentre un altro consiglia, in aggiunta al precedente, pratiche autolesionistiche e surreali:

che si mettano il trombone nel culo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Ed un altro procede nella stessa linea prendendo però in considerazione il violino; nessun cenno invece ad usi impropri per strumenti quali il flauto, l’oboe, la tromba, il clarinetto, il fagotto, il tam tam, l’arpa ma probabilmente questa dimenticanza deriva da scarse conoscenze degli strumenti dell’orchestra.

Infine, la tafazzata finale, il livello zero:

Ma che ci sarà ancora da suonare?!!

ed un’idea geniale:

basta smettere di fumare !!!

Ne tralascio altri che confinano con il delirio.

Credo non sia inutile dire che quei soldi sono una partita di giro, ovvero lo stato li eroga e ritornano subito indietro sotto forma di tasse e contributi previdenziali, quindi non sono una spesa a perdere, come tante che invece si fanno in Italia e per cifre di gran lunga superiori, tra ospedali mai finiti e abbandonati, musei nuovi che cadono a pezzi e che non apriranno, probabilmente mai, ecc.
Inoltre, a seguito dell’auditing del 2007, comandato dall’allora ministro Rutelli, si era stabilito che quei soldi fossero dovuti annualmente ed integrati da altri contributi a carico di comune, provincia e regione. In tutti questi anni i soldi sono arrivati, se vogliamo usare un eufemismo, a singhiozzo senza alcuna continuità e che mi risulti né nel 2011 né nel 2010 era arrivato alcunché; per fortuna la fondazione tra abbonamenti, biglietti, quote sociali, ecc. incassa abbastanza da riuscire in parte a tamponare i costi ed appunto per questo il contributo pubblico era, ed è, inteso come integrativo agli introiti propri senza il quale, però, si generano debiti perché nessun ente culturale resta in piedi solo con mezzi propri, neanche il più virtuoso, dove è importante sottolineare la parola “integrativo”.
Poi non è inutile ricordare, anche se penoso perché sembra che ci debba sempre giustificare, che l’attività della fondazione Giuseppe Verdi è improntata al servizio ai cittadini, non solo di Milano, ma anche della regione ed in genere di tutta l’Italia come è accaduto quando ha fatto delle tournée nel meridione andando in posti in cui nessuno mai era passato con una grande orchestra sinfonica e suscitando grandi entusiasmi; poi c’è l’attività con le scuole, nel carcere di San Vittore, i concerti della domenica mattina, l’attività del complesso barocco (fatto unico questo perché nessun’altra fondazione concertistica ha un complesso barocco), l’orchestra amatoriale, l’orchestra junior, il coro sinfonico e il coro di bambini che stanno vivendo, credo, un’avventura incredibile come è accaduto quando un paio di mesi fa sono andati in Oman, con tutti gli altri complessi, per la realizzazione della Carmen di Bizet, ai quali si aggiungono tante altre attività culturali, conferenze ecc.
Io capisco che la disinformazione galoppa sempre ed alimenta la fabbrica dei luoghi comuni: Ma come! Con tutti i problemi che ci sono! Ma a cosa serve un’orchestra?
Mi basterebbe che si pensasse che la fondazione è composta da un’orchestra che è fatta di persone che hanno studiato anni, e studiano ancora perché la musica non conosce sciatterie ed improvvisazione, e da tanti addetti che ci lavorano attorno e che come ricordava, mi pare, Claudio Abbado, la cultura genera ricchezza.

In ogni caso io ho smesso di fumare dal momento che il 17 maggio 1996, un venerdì alle ore 16.45, ho fumato la mia U.S. (italosveviana memoria) il cui mozzicone è stato gettato dal finestrino dell'automobile passando da piazzale Susa tornando a casa dall'università, dove lavoravo, e per sovvenzionare la Verdi non mi rimetto certo a fumare dal momento che contribuisco alla sua vita in altri modi ben più salutari per la mia salute perchè ci si deve ricordare che fumare fa male.

sabato 11 febbraio 2012

Sicurezza informatica

Segnalo l'intervista di oggi di mio cugino Gigi a Radio 24, sulla sicurezza informatica, prendendo in considerazione vari aspetti di un problema di vitale importanza che riguarda soprattutto i nostri comportamenti più o meno responsabili quando navighiamo in internet e che si articola in una serie di problematiche, non ultima, quella dei bambini al computer. L'intervista inizia al minuto 7.

Kremerata baltica


Colpevolmente, lo ammetto, non avevo mai ascoltato dal vivo né Gidon Kremer né la sua Kremerata Baltica. Ieri sera l'occasione è arrivata nell'ambito delle Serate Musicali con un bel concerto dove sono stati eseguiti il quartetto i do diesis minore Op. 131 di Beethoven, il concerto per pianoforte, tromba e archi Op. 35 di Shostakovich e il frammento da "Target" di Leonid Desyatnikov, preceduti da un fuori programma, la Passacaglia di Arvo Part.
Il quartetto di Beethoven Op. 131, il più mostruoso di tutti i quartetti (mi pare che sia una citazione dal Doctor Faustus di Thomas Mann), che risale al 1826, è la sua penultima composizione completa; poi sarebbe venuto l'ultimo quartetto in fa maggiore Op. 135 e il nuovo finale per il quartetto in si bemolle maggiore Op. 130, in sostituzione del finale originale pubblicato a parte come Grande fuga, Op. 133. Gli ultimi 5 quartetti di Beethoven sono la classica cosa che mi porterei sull'isola deserta, con poco altro.
Fino a ieri sera non avevo mai ascoltato dal vivo il quartetto in do diesis minore Op. 131, non c'era mai stata l'occasione; per altri sì, l'opera 130, l'opera 132 sempre eseguiti dal Quartetto Italiano. Ricordo in particolare l'esecuzione del quartetto in la minore Op. 132 con il Quartetto Italiano alla Scala il 26 marzo 1977, che era esattamente il 150° anniversario della sua morte. Ero in un palco di proscenio e avevo davanti a me i quattro membri del quartetto; credo di non aver mai più provato un'emozione così profonda come quella volta guardando quelle pagine un po' sgualcite dall'uso e sentendo l'intensità del suono dei loro strumenti.
Ieri sera Kremer e il suo ensemble hanno eseguito il quartetto in una intelligente trascrizione per orchestra d'archi. Dico intelligente perchè in diverse occasioni suonava il solo quartetto delle prime parti mentre gli altri entravano per rinforzare e nei momenti più intensi. Veramente una bella trascrizione che non rovinava la tessitura quartettistica così pura di Beethoven. L'esecuzione è stata bella, forse poco intenso l'inizio, per la qualità del suono e il modo di mettere in evidenza gli sforzandi, ma poi le cose si sono sistemate e il quartetto è corso via felicemente per tutti i suoi 7 movimenti da suonarsi senza interruzioni fino al clamoroso finale che smuoverebbe l'animo anche del più insensibile ascoltatore di musica. Forse anche qui, proprio prima dei tre accordi conclusivi, quando la musica si accascia su se stessa sullo spunto melodico che è lo stesso, invertito, dell'inizio, il suono poteva essere più velato, più ineluttabile, più sconsolato; comunque una grande esecuzione.
Cosa si può suonare dopo un pezzo così? Qualcosa di molto diverso come il dissacrante e divertante primo concerto di Shostakovich, che quest'anno si era già sentito anche in Auditorium. Grande musica e divertimento con un finale scoppientante tra citazioni beethoveniane ed altro; però, come poi accadrà anche nel secondo concerto, il movimento lento è lirico, poetico ed anche un po' malinconico.
Per finire il brano di Leonid Desyatnikov i Frammenti da "Target". Target è un film satirico prodotto nel 2011; satira sugli oligarchi russi e i nuovi ricchi che con un jet privato si recano in un deserto della Mongolia per godere delle radiazioni di una centrale radiottoattiva in disuso, radiazioni che dovrebbero prolungare la loro giovinezza... La musica è deliziosa, in 5 parti, la prima una cineseria con lievi glissando del violino, una cadenza pianistica cui segue il terzo brano che è un'invenzione sul primo esercizio dello Hanon (chi strimpella anche poco il pianoforte sa di cosa parlo) seguito dal quarto brano "Tannhauser" dove i violoncelli intonano una celebre aria dell'opera con l'accompagnamento, molto wagneriano, degli altri archi, gli incisi di una tromba, del pianoforte, di un toy piano e colpi di campane e per finire un Foxtrot.
Infine un bis, il famoso Liebeslied di Kreisler.
Pubblico, non tanto quanto me ne aspettavo, considerando la fama di Kremer; c'era mezza sala vuota, o piena, a seconda di come la su vuole vedere. Strano, perchè quando due settimane fa ero andato in Corso Buenos Aires alla sede delle Serate Musicali per acquistare il biglietto, la pianta del teatro mostrava pochissimi posti liberi e avevo preso gli unici due vicini, per me e mia moglie. Il pubblico si sarà impaurito per l'ultimo brano di Leonid Desyatnikov, un brano nientemeno del 2011? Forse, infatti ho visto diversa gente lasciare la sala dopo Shostakovich approfittando degli applausi per svignarsela. Mah... Vorrei dire la musica contemporanea odierna non è come quella degli anni '50 e '60; quelle sì che mettevano paura e poi, dico: "Ma, signori" Un po' di curiosità, ovvia!".
Un'ultima osservazione sul violino di Kremer che è un Nicola Amati, maestro di Stradivari e Guarneri, del 1641. Ebbene nel 1641 era ancora vivo Monteverdi mentre Vivaldi e Bach non erano ancora nati; impressionante trovarsi di fronte ad un fragile strumento di legno che dopo 340 anni, dopo essere passato di mano in mano, suona ancora, allora Cavalli e Lully, oggi Desyatnikov e Shostakovich.

venerdì 10 febbraio 2012

Anna Tifu, violinista


Ieri sera abbiamo fatto un altro passo nell’investigazione della musica di Dvorak.
Si è iniziato con la spumeggiante ouverture Karneval, Op. 92 che appartiene ad un ciclo di tre poemi sinfonici, incentrati sul tema della natura, della vita e dell’amore e in questo ciclo Karneval è il pezzo dedicato alla vita, mentre quello relativo alla natura è Nel regno della natura, Op. 91 e quello relativo all’amore, è Othello, Op. 93. L’ouverture Karneval è un brano pieno di vita, un po’ nello stile delle danze slave, con una poetica parte centrale più lirica dove, tra l’altro, viene citato il tema principale del primo dei tre poemi sinfonici, che verrà citato anche in Othello. Considerando che i tre poemi sinfonici nel loro insieme formano un piccolo ciclo con citazioni reciproche sarebbe stato interessante eseguirli uno dopo l’altro in una sola serata; sarà per un’altra volta!
Poi sono arrivati i due pezzi forti della serata, il concerto per violino Op. 53 in la minore e la sinfonia n. 7 Op. 70 in re minore.
Il concerto per violino di Dvorak non è certo il concerto per violino più famoso né il più eseguito ed anche nell’ambito della produzione di Dvorak non viene di certo molto frequentato. Non si riesce sempre a capire il motivo per cui certi brani non riescano, anche dopo così tanti anni, a farsi apprezzare per il loro valore, però, evidentemente, per il pubblico la pratica concerto per violino ottocentesco si esaurisce con Beethoven, Mendelssohn, Brahms, Bruch, Ciaikovskij e come estrema propaggine Sibelius. Il concerto di Dvorak fu commissionato da Joachim che però non lo mise mai in repertorio neanche dopo le modifiche apportate da Dvorak ed è praticamente contemporaneo a quello di Brahms, confronto terribile. Però è un bel concerto, poetico e un po’ mesto nei primi due movimenti, positivo e vitale nel finale ed è anche originale. Non ha la tradizionale introduzione che precede l’entrata del violino (ma nel concerto di Mendelssohn il violino entra subito e prende in mano subito il discorso) e non è prevista neanche una cadenza. Forse non piace tanto ai violinisti per questo motivo? In quello di Brahms la cadenza c’è ma il magnifico secondo movimento prevede che il violinista se ne stia lì col violino in mano ad ascoltare l’oboe che canta la più bella melodia del concerto, cosa questa che provocò la reazione stizzita del grande violinista Pablo de Sarasate; è vero però che quando l’oboe tace e la melodia viene ripresa dal violino la musica prende uno slancio veramente sublime, quindi nessun violinista intelligente dovrebbe lamentarsi. Comunque ciò non impedì al concerto di Brahms di entrare in repertorio di tutti i più grandi violinisti. Dvorak non è Brahms, certo, ma in ogni caso il suo concerto meriterebbe di essere più conosciuto anche perchè comunque permette al violinista di mettersi in bella evidenza e ha un bell'andamento rapsodico; però se questa è stata la seconda volta che ho potuto ascoltare dal vivo questo concerto, ed entrambe le volte in Auditorium, in 44 anni di frequentazione di sale da concerto milanesi e non solo, vorrà pur dire qualcosa! La prima volta ho ascoltato il concerto con Salvatore Accardo, questa volta con Anna Tifu, una sua allieva, classe 1986 (1 gennaio!), cagliaritana, che ha suonato molto bene con bel suono, anche se non molto potente, con una buona intonazione appena incerta in alcune occasioni sulle note più acute ma considerando quanto è giovane, non è proprio il caso di fare gli ipercritici, di certo è un fenomeno e avrà tempo (spero che glielo lascino) per maturare. Brava e bella; le auguro ogni bene per la sua carriera. Come bis ha eseguito un movimento della seconda sonata per violino solo di Ysaye Op. 27, piena di citazioni del Dies Irae, che recentemente avevo sentito in Conservatorio fatta dall'ancor più giovane Ray Chen.
Poi è stata la volta della settima sinfonia, terzo appuntamento con le sue sinfonie riproposte in un percorso a gambero, dall’ultima alla prima. Si sa che le sinfonie di Dvorak sono 9 ma già lo stesso Dvorak prendeva in considerazione solo le ultime 5 e, alla fin fine, per la grande maggioranza dei direttori e per il pubblico, le sinfonie si riducono all’ultima, la nona, tanto che basta guardare la discografia per vedere come, a partire dalla nona, il numero delle incisioni formi una successione quasi monotòna decrescente tendente ad un numero molto piccolo. Di certo tutte le sinfonie precedenti alla nona risentono del fatto che la nona,”Dal nuovo mondo”, è troppo famosa anche perché ha dei temi che hanno una presa immediata che ti colpiscono dal primo istante e Dvorak arriva al dunque senza tanti giri di parole in modo molto diretto (con il rispetto che porto per le esecuzioni di Kubelik, Ancerl, Abbado, Karajan, Bernstein, ecc. non farei mai a meno per nessun motivo della registrazione fatta da Toscanini nel 1953 proprio per l’immediatezza e la schiettezza del suo approccio che te la fa apparire così autentica; ho comprato quel disco nel 1967 e non lo mollerò mai). Con le altre sinfonie ci vuole sempre un po’ di pazienza in più anche se sono ben scritte (personalmente considero l’ottava la sua più bella sinfonia, ma a me piacciono molto, per dire, anche la prima e la quarta, per restare sulle prime sinfonie meno frequentate). La settima, poi, è una sinfonia oscura, drammatica, dove anche lo scherzo ha qualcosa di sinistro e di aggressivo (a differenza di quello della sesta sinfonia che pur essendo in minore, essendo un furiant, ha un andamento molto più godibile); la sinfonia fu scritta in un momento difficile della sua vita a causa della morte della madre, ed è una sinfonia che contraddice l’immagine un po’ stereotipata del compositore felice, che passa la propria vita di musicista tra danze popolari ed immagini felici. In realtà Dvorak aveva le sue zone d’ombra e una profonda umanità se si considera che l’impulso per scrivere quello che probabilmente è il suo più grande capolavoro, lo Stabat Mater (quando lo mettiamo in programmazione?), gli venne dal più grande lutto che si possa provare, la morte di una figlia.
Personalmente non stravedo per Aldo Ceccato, anche se ripenso a lui con affetto ricordando il concerto scaligero di molti (troppi!) anni fa in cui diresse la prima assoluta della Ritirata di Madrid di Boccherini/Berio; però in questo concerto, più che nei precedenti, mi ha convinto. Forse, avendo un po’ la tendenza ad allargare i tempi, si è trovato più a suo agio con la settima sinfonia di cui ha dato un’esecuzione intensa, anche solenne, ma ha anche molto ben assecondato il violino nel concerto e anche nel Karneval ha diretto con una bella baldanza. In generale trovo che mi piacerebbe ascoltare delle esecuzioni un po’ più sciolte; non è tanto o solo una questione di metronomo, quanto di un certo modo di attaccare il suono. Comunque tutto bene e bella intesa con l’orchestra con la quale mi pare ci sia un flirt evidente, visto i bacini che girano, in stato ormai avanzato di innamoramento. Eh, ma se non c'è un po' di amore....
Pubblico, purtroppo, pochino. Colpa del freddo? Della neve? Dvorak non è autore popolare? Aldo Ceccato non piace? La Tifu non è ancora così famosa mentre se ci fosse stato Ughi, Accardo o la Chang la sala sarebbe stata piena? Peccato, perché ci si dovrebbe ricordare che chi oggi è in là negli anni ed è famoso è stato giovane pure lui ed è molto interessante poter ascoltare giovani musicisti promettenti ed è anche bello applaudirli.

giovedì 9 febbraio 2012

La Verdi Barocca


Ieri sera la Verdi barocca ha continuato la sua stagione concertistica tornando al filo conduttore di quest'anno, ovvero il concerto, e lo ha fatto proseguendo con i brandeburghesi di Bach, il V e il IV, dopo il I e il III del concerto inaugurale e i 6 concerto grossi in sette parti per due violini e violoncello obbligato di Alessandro Scarlatti.
Mi risulta che oggi Alessandro Scarlatti sia un autore abbastanza dimenticato. Probabilmente soffre il confronto con il geniale figlio Domenico, ma è un confronto piuttosto assurdo. L'attività musicale di Alessandro Scarlatti si svolse soprattutto nell'ambito della musica vocale ma scrisse anche diversa musica strumentale e per la tastiera. I sei concerti presentati possono essere suddivisi in due gruppi di tre dove in ogni gruppo i primi due sono in minore ed il terzo in maggiore. I concerti in minore sono piuttosto severi, con movimenti fugati e tempi gravi molto espressivi e ricchi di cromatismi ma anche con movimenti di danza come l'allemande del primo concerto o il mnuetto del secondo e del quinto concerto. I due concerti in maggiore, il terzo in cinque tempi ed il sesto in quattro, sono molto più concertanti, solari e scintillanti nei violini con inserti virtuosistici del primo violino che trova modo di emergere nell'alternanza solo/tutti che altrimenti, nei concerti in minore, è poco avvertibile.
I sei concerti Brandeburghesi di Bach sono tutti diversi tra loro in quanto ogni concerto è scritto per un organico diverso, cosa questa che permette a Bach di sperimentare diverse combinazioni strumentali giocando con la musica e con gli strumenti che sono chiamati a cimenti virtuosistici molto impegnativi. Così nel quinto concerto gli strumenti solisti sono il flauto traverso, il violino ed il clavicembalo, chiamato quest'ultimo ad una difficile cadenza alla fine del primo tempo, non una cadenza nel senso ottocentesco del termine, ma un intervento solistico assolutamente organico e logico nell'economia generale del discorso musicale, mentre nel quarto i solisti sono due flauti diritti e il violino, quest'ultimo impegnato in volate e strappate piuttosto folli nel finale.
Bravi i solisti, Davide Monti (violino), Francesca Torri (flauto) e Davide Pozzi (clavicembalo) nel quinto concerto e Gianfranco Ricci (violino), Manuel Staropoli e Lorenzo Cavasanto (flauti) nel quarto, che hanno suonato tutti anche con una bella creatività. Precisa ed appassionata come sempre la direzione di Ruben Jais.
Pubblico numeroso e, mi è parso, soddisfatto.

martedì 7 febbraio 2012

C'è musica e musica?

Questa è la prima puntata di C'è musica e musica, storica trasmissione RAI. Correva l'anno 1972 e la RAI monopolistica produceva trasmissioni come questa. Oggi, nel tempo della concorrenza, chi avrebbe il coraggio di fare una cosa simile?
Le domande: Cos'è la musica? Perché la musica? C'è musica e musica? sono l'occasione per organizzare un collage di risposte provenienti da compositori, esecutori, studiosi di varia natura ognuno dei quali dice la sua, un caleidoscopio commentato musicalmente da vari inserti musicali che nell'insieme costituiscono una nuova composizione di Luciano Berio. Un'occasione imperdibile anche per rivedere e risentire praticamente tutti i compositori che hanno fatto la storia della musica del secondo dopoguerra.
Se la TV fosse esistita già dai tempi di Monteverdi, come potremmo oggi dirci fortunati per avere testimonianze dirette di Bach, Vivaldi, Haendel, Mozart o Beethoven, ecc. ammesso che avessero accettato di farsi intervistare!
Eppure il mistero rimane. Perchè gli uccelli cantano?

Lazar Berman

Ieri ricorreva il settimo anniversario della morte del grande pianista russo Lazar Berman.
Lo ricordo in un concerto scaligero dell'autunno 1974 al massimo primavera 1975 (questa memoria!) in cui eseguì il primo concerto di Liszt scatenando applausi scroscianti, come si dice, a cui replicò facendo 7 bis uno dopo l'altro. Alla fine il pubblico non applaudiva quasi più per paura che ne facesse un altro, forse gli interi quadri da un'esposizione di Mussorgskij. Magari li avesse fatti!

Violoncello e pianoforte

Ieri, per le Serate Musicali, è tornato al Conservatorio Andras Schiff, dopo un paio di mesi dalla sua precedente esibizione di fine novembre per il Quartetto. Questa volta era accompagnato dal violoncellista Miklos Perényi.
Il concerto è iniziato e terminato nel segno di Beethoven. Si è iniziato con le 12 Variazioni su "Ein Mädchen oder Weibchen" dal Flauto magico di Mozart del 1798 pubblicate nel settembre di quello stesso anno senza numero d'opus e una decina d'anni dopo con numero d'opera da cui l'alto numero di Op. 66 che la colloca accanto alla V e VI sinfonia. La bella aria di Mozart viene presa come spunto "popolare" per una serie di variazioni tra le quali si notano in particolare la prima affidata curiosamente al solo pianoforte e la decima e undicesima in minore che fanno già pensare al Beethoven futuro, in particolare a quello della Sinfonia Eroica. Con sorpresa di un po’ tutti il brano è stato immediatamente bissato; non ho capito il motivo. Forse perché la prima esecuzione era stata disturbata da un tizio che ha avuto un attacco di tosse che lo ha costretto a lasciare la sala.
L'ultimo brano del concerto erano invece le 7 Variazioni su "Bei Männern welche Liebe fühlen" dal Flauto magico di Mozart, WoO 46 composte nel 1801. Questa è l'ultima in ordine di tempo delle tre serie di variazioni per pianoforte e violoncello e delle tre è la più breve. Come primo bis sono state eseguite anche le 12 Variazioni su un tema dal "Judas Maccabeus" di Haendel, WoO 45, scritte nel 1796 e così si sono potute ascoltare tutte le composizioni di quel genere scritte da Beethoven.
Schiff ha eseguito anche tre brani di Mozart per solo pianoforte, il Rondò in la minore (non la bemolle minore, come dice il programma di sala!) KV 511 del marzo 1787, il Minuetto in Re maggiore KV 355 (576a) del 1789/90, che ci è giunto in forma frammentaria senza trio composto poi da Maximilian Stadler e che Schiff giustamente ha omesso, e la piccola giga in sol maggiore KV 574 del maggio 1789. Tre bellissime pagine mozartiane, molto diverse tra loro, ma tutte splendide a modo loro, con quel tono vagamente elegiaco, esotico e nostalgico del rondò, i forti cromatismi del minuetto e la fantasia pirotecnica della giga.
I due pezzi forti erano però l’ultimo della prima parte ed il primo della seconda ovvero la sonata “Arpeggione” in la minore di Schubert, D 821 del 1824 e i tre pezzi di Webern, Op. 11 del 1914. Magnifico ovviamente Schubert con quel suo dialogo così intimo tra sé e sé del violoncello con il pianoforte, e quel perdersi del finale del primo tempo, o il canto così intenso del secondo movimento che ad un certo punto si smarrisce raggiungendo profondità sempre maggiori fino a sfociare nel tema del rondò finale, così nobile e popolare allo stesso tempo. Il brano di Webern, invece, è assolutamente stratosferico. Tre minuti di musica concentratissima da ascoltare in apnea fino alla conclusione con quella nota acuta del violoncello che ti proietta in uno spazio infinito. Anche questo brano è stato immediatamente bissato, anche se a dire il vero nessuno l’aveva richiesto, ma hanno fatto benissimo a farlo. Si ascolta così raramente Webern!
Insomma un gran concerto ottimamente suonato. Pubblico molto numeroso e purtroppo un po’ rumoroso per colpi di tosse vari; ma si sa, è la stagione e poi l’età media è quella che è ed era già tanto che col freddo che faceva (-2 all’andata e -8 al ritorno) si fosse così numerosi.
Gran successo e molti applausi.

lunedì 6 febbraio 2012

Suono e rumore


In questo anno cageano questo è un bel contributo che parte dall'esperienza futurista dell'Intonarumori di Luigi Russolo per esplorare il campo del suono, del rumore e del silenzio nell'esperienza musicale del XX secolo.
Molto interessanti anche i video e i link contenuti nell'articolo a cui aggiungo questo Corale 1921 di Russolo.

sabato 4 febbraio 2012

Elias


Questa settimana in Auditorium si esegue l’Elias, che Mendelssohn compose nel 1846 dopo il successo del precedente oratorio, Paulus. La prima si svolse a Birmingham il 26 agosto 1846 con grandissimo successo, probabilmente il successo più straordinario che Mendelssohn abbia mai avuto. Successivamente Mendelssohn revisionò il lavoro in vista della pubblicazione ma, dopo la morte improvvisa dell’adorata sorella, morì lui stesso il 4 novembre 1837, a 38 anni, lasciando incompiuto un altro oratorio che doveva essere la continuazione dell’Elias, ovvero il Christus.
Certo la personalità artistica di Mendelssohn è singolare, un classicista romantico con il suo riappropriarsi del patrimonio musicale del passato, da Haendel a Bach, di cui a 20 anni nel 1829 riesegue dopo 100 anni la Passione secondo Matteo. Però questi prodotti musicali, questi oratori ottocenteschi si distaccano dall’esperienza che faceva loro da modello nella misura in cui più che esprimere la religione vera e propria, esprimono la devozione. In questo senso sono opere kitsch, in quanto sostituiscono l’oggetto con la sua superficie, il suo involucro. La sala da concerto si trasforma in un luogo di culto ed il pubblico in un insieme di adepti da emozionare. Secondo le intenzioni originali del librettista, non di Mendelssohn, l’Elias si sarebbe dovuto concludere con la comparsa di Gesù Cristo ad Elia o con un terzetto tra Pietro, Giovanni e Giacomo; che belle immaginette! Mendelssohn cercò una via equidistante tra l’opera ed una semplice narrazione ma il progetto non riuscì del tutto; il libretto è mal congegnato, non c’è una drammaturgia, i personaggi non sono costruiti, la storia si svolge come una sequenza di episodi (Elia che fa piovere, che resuscita il bambino, che sfida Baal, ecc.) come se fossero pannelli staccati tra loro e la conclusione appare enfatica e superflua, scontata, pleonastica, anche a causa della fretta con cui il tutto fu realizzato. Comunque l’Elias contiene un sacco di bella musica: una bellisima ouverture che è l'ultimo brano sinfonico di Mendelssohn, e numeri voceli che sono un misto tra opera (certe arie potrebbero sembrare Weber o il giovane Wagner) e lied (la bellissima aria che apre la seconda parte), una specie di crocevia tra esperienze del passato e del futuro. Del resto il rapporto con la religione è presente in tutto l’ottocento, non solo con i due oratori di Mendelssohn, ma anche con il Cristo sul monte degli ulivi di Beethoven, il Lazarus di Schubert, il Parsifal di Wagner, l’Aida, La forza del destino, il Don Carlos di Verdi, la sinfonia per organo e il Sansone e Dalila di Saint-Saens, La leggenda di Santa Elisabetta e il Christus di Liszt, certa musica di Cesar Franck, ecc. Certo, in alcuni punti si potrebbe pensare a come si sarebbero potuti risolvere certi momenti, ad esempio cosa poteva diventare l’evocazione di Baal tra le mani di un Berlioz! Non che la musica di Mendelssohn sia brutta, ma, pur nella suo accento primitivo, è fin troppo civile, come Mendelssohn stesso, fin troppo trattenuta e conservatrice. Molto meglio, sul versante del rapporto tra musica e religione nell'ottocento, i vari Requiem e Te Deum scritti da vari autori o i due capolavori scritti da Rossini, Stabat Mater e Petite Messe Solennelle, scritti in uno stile talmente sorpassato, soprattutto la messa, da risultare modernissimi e atemporali.
Così, dopo il Paulus abbiamo avuto anche l’Elias. Pagato questo tributo alla cultura spero che a qualcuno non venga in mente l’idea di proporre anche gli oratori di Liszt, opere che è meglio lasciar dormire là dove si trovano, opere estenuanti ed esasperanti anche perché in esse l’autore reprime quelle che sono le caratteristiche peculiari del suo linguaggio per esprimere la devozione ed indurre nell’ascoltatore il giusto stato d’animo di fervore.
Detto questo l’esecuzione è stata veramente molto buona, con un quartetto vocale finalmente di buon livello, a differenza di quando era successo con la IX di Beethoven o ancor di più con lo sciagurato requiem verdiano dello scorso novembre. Ottimo il coro ed ottima la direzione di Rilling, che ha tirato fuori un bel timbro brunito dall’orchestra mendelssohniana.
Pubblico scarso ma plaudente con qualche defezione al rientro dall’intervallo di qualcuno che ha preferito andarsene piuttosto che darsi fuoco. Certo quei pochi che c’erano non potevano fare un gran baccano, ma almeno applaudivano.

venerdì 3 febbraio 2012

Prima danza ungherese a confronto

Obiettivamente dell'esecuzione di Brahms non capisce nulla. Per il resto, Ovviamente Toscanini e Furtwaengler! Per quanto riguarda i violinisti interessante il confronto tra Joachim, Auer, molto originale, e l'impeccabile Heifetz.

giovedì 2 febbraio 2012

D'amour l'ardente flamme

Una delle più belle arie d'amore della musica nella sua più grande interpretazione grazie anche alla perfetta direzione di Georges Pretre.

Veronesi nuovo direttore artistico del Teatro Bellini di Catania: ma l'orchestra non lo vuole

Verrebbe persino da ridere se non ci fosse da piangere se si pensa a quanti soldi vengono buttati malamente e danno di istituzioni musicali che sono costrette ad elemosinare quattro soldi per campare, soldi che poi, oltretutto, non ottengono. (Chi mi diceva una volta che dove passa Veronesi non cresce più l'erba? mah, non ricordo... eh, questa memoria che mi manca...!)

Veronesi nuovo direttore artistico del Teatro Bellini di Catania: ma l'orchestra non lo vuole