Sono contento perchè quest'anno ho preso un giro nelle mie frequentazioni concertistiche che mi ha permesso di ascoltare molti concerti di musica da camera, che poi è la mia vera passione musicale, tramite soprattutto la Società del Quartetto.
Ieri sera suonava il Quartetto Hagen (martedì prossimo ci sarà il Trio di Parma con Dvorak: da non perdere). Gli Hagen, da Salisburgo, sono quattro fratelli, due maschi e due femmine, figli di un musicista del Mozarteum. Il quartetto si è formato nel 1981 e col tempo una delle due sorelle che suonava il secondo violino, l'altra suona la viola, ha lasciato il gruppo per dedicarsi ad altra professione, l'etnologia; così il quartetto ha continuato la sua attività con l'ingresso di un nuovo secondo violino, Reiner Schmidt, un esterno, che per forza di cose è stato cooptato dalla famiglia.
Il programma prevedeva l'esecuzione del quartetto in si bemolle maggiore op. 18 n. 6 di Beethoven, di quattro brani dalla trascrizione dell'opera Luisa Miller di Verdi realizzata da Emanuele Muzio
e il quartetto in re maggiore KV 499 "Hoffmeister" di Mozart.
Bel concerto dal quale però sono uscito con un vago senso di disagio. Pensandoci su un po' mentre tornavo all'automobile e a casa ho capito che questo senso di disagio derivava principalmente da due fattori: il suono, la sua intensità, e certe scelte nei tempi.
Il quartetto Hagen ha un suono molto trasparente, chiaro, quasi filiforme in certi momenti per cui certi passaggi più oscuri, come il momento centrale in minore del movimento lento del quartetto di Beethoven che dovrebbe avere un colore livido ne usciva troppo asettico. Le scelte dei tempi, poi, erano in genere improntate ad una certa rapidità per cui, ad esempio, il secondo movimento del quartetto di Mozart che è una danza risultava troppo affannoso, ma anche tutto il primo tempo del quartetto di Beethoven, che ha un bel carattere rustico e anche godereccio, opera di un giovane uomo di 29 anni che aveva un sacco di cose da dire e la cui musica cominciava a strabordare un po' da tutte le parti, questo primo tempo, dicevo, è stato realizzato in modo forse un po' troppo aggressivo. Paradigmatica delle esecuzioni del Quartetto Hagen è stata la resa del finale del quartetto di Beethoven. Questo finale inizia con un adagio, denominato da Beethoven "La Malinconia"; successivamente entra l'allegro con un sapore danzante che si alternerà con l'adagio un paio di volte fino alla stretta conclusiva che concluderà in modo positivo il quartetto. Questo è uno schema che Beethoven utilizzerà anche in altre occasioni, ad esempio nel finale della quarta sinfonia dove c'è una fermata pensosa prima che un gesto imperioso come a scacciare un pensiero molesto porti la sinfonia alla sua conclusione positiva, o nel finale del suo ultimo quartetto, op. 135 in fa maggiore. Il Quartetto Hagen ha affrontato i momenti in adagio con un tempo giusto ma il suono era un po' troppo chiaro che non rendeva bene il senso di depressione che questo momento dovrebbe dare e successivamente l'allegro era un po' troppo veloce e perdeva il carattere danzante ed anche un po' ironico che dovrebbe avere.
Comunque si è trattato di un ottimo concerto anche perchè i quattro membri sono tutti ottimi strumentisti.
Molto curiosa la trascrizione di Muzio della Luisa Miller, un'operazione, a dire il vero, ai limiti della follia, ma del resto, in un'epoca in cui non c'era nè radio nè televisione, nè c'erano altri mezzi di riproduzione della musica, quella della trascrizione per vari complessi cameristici era un modo per diffondere la conoscenza delle opere degli autori.
Pubblico scarsino. Se il pubblico si fosse compattato avrebbe riempito circa un terzo della sala. Commentavo questo fatto con un mio vicino di casa, il maestro Catena, che ho casualmente incontrato e che ha frequentato il Conservatorio per lunghi anni come docente di organo, mentre contemporaneamente suonava le tastiere nell'orchestra del Teatro alla Scala (ne abbiamo approfittato per rievocare tanti concerti con Kleiber, Bernstein, ecc. lui come strumentista ed io come ascoltatore). Con lui facevo la considerazione che fino qualche anno fa la Società del Quartetto era praticamente inavvicinabile. Tutti i posti erano occupati per abbonamento e gli abbonamenti passavano di padre in figlio da generazioni. Per entrare dovevi aspettare che qualcuno morisse o si estinguesse la famiglia. Oggi puoi decide all'ultimo momento, vai lì e acquisti il biglietto senza problemi perchè c'è sempre posto. Mah, sarà la crisi, sarà la disaffezione, sarà l'incultura musicale che fa sì che si risvegli l'interesse solo in presenza del grande fenomeno mediatico, dell'evento spacciato per grande grazie alla presenza di qualche giovanotto o avvenente ragazzotta pompati dai media. Ma, dico io: se oggi si spacciano per fenomeni gente come Lang Lang, giusto per fare un nome, che riempiono i teatri, chi erano Horowitz, Rubinstein, Arrau, Serkin, ecc.? Semidei? Anche loro riempivano i teatri ma non perchè avevano un ottimo ufficio stampa.
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