mercoledì 30 novembre 2011

Anfras Schiff al Quartetto


Ieri sera al Conservatorio, per la stagione del Quartetto, Andras Schiff (Andrea Barca) ha fatto un bellissimo concerto dedicato alle variazioni con musiche di Mozart, le variazioni KV 500, Haydn, Andante e variazioni in fa minore, Mendelssohn, Variations Sérieuses op. 54, Schumann, le toccanti Geistervariatione, ultimissima composizione il cui tema gli fu dettato in sogno da un angelo nella notte del 17 febbraio 1854 e sulla quale lavorava quando tentò il suicidio gettandosi nel Reno il 27 febbraio. Per terminare, le realmente immense Variazioni Diabelli di Beethoven.
Due bis, l'Aria delle variazioni Goldberg di Bach, la mamma di tutti i tema e variazioni e l'Intermezzo in Mi bemolle op. 117 N. 1 di Brahms.
Conservatorio quasi esaurito. Applausi a grandine.

venerdì 25 novembre 2011

Richard Strauss

More about Strauss
Ho terminato questo libro di Quirino Principe dedicato a Richard Strauss. Libro non facile, anzi piuttosto impegnativo. Era lì da alcuni anni che mi aspettava ed alla fine mi è venuto in mano quasi per caso, rovistando tra i libri, ma nulla mai accade per caso.
L'ho letto volentieri perché per Richard Strauss ho sempre avuto un certo interesse o meglio, una curiosità per una persona nata nel 1864 e morta nel 1949, ovvero una persona che era nata otto anni dopo la morte di Schumann e quando Rossini era ancora vivo, quando non esistevano la lampadina, il telefono, le automobili, ecc. e che morirà quando Boulez scrive la sua seconda sonata per pianoforte, le potenze mondiali si fronteggiano con la bomba atomica e si sta entrando nell'era dei computer e della conquista (?) dello spazio.
Mi incuriosiva, o meglio, non capivo come una persona potesse ancora scrivere la musica che scriveva con tutto quello che gli succedeva attorno in campo musicale e non. Sibelius, che aveva tre anni meno di lui, ad un certo punto si era ritirato e gli ultimi 30 anni della sua vita li aveva passati a fare poco o niente. Strauss aveva invece continuato a comporre la sua musica. Quindi si poneva il problema di quale posto dare ad un compositore che se fino alla prima guerra mondiale un posto ce l'aveva, fino a Salome, Electra, Cavaliere della Rosa, nel periodo successivo e soprattutto nel periodo del nazismo e della seconda guerra mondiale,appariva non solo anacronistico ma anche indifferente a quanto lo circondava. Come! Si celebravano orrori e lui componeva Daphne, Capriccio,il concerto per oboe, la sonatina in Fa, musiche deliziose, serene mentre l'unico momento realmente tragico era rappresentato dalle Metamorphosen del 1945 per 23 archi. Però c'era una cosa che mi inquietava e cioè che a me, ad esempio, i Vier Letzte Lieder, del 1948, opera veramente terribile se la sintende nel modo giusto, piacevano moltissimo. Ora questo libro di Principe, che dovrò anche rimeditare e rileggere a pezzi (sono 1000 pagine in tutto!) cerca di dare alcune risposte dicendo ad esempio che non si può liquidare Strauss dicendo semplicemente che era un residuato del passato ma che forse questo suo ostinarsi a scrivere ciò che scriveva voleva anche dare una prospettiva al dopo, al periodo che sarebbe seguito a quegli orrori attraverso i quali si era dovuti passare, che la musica di Strauss non aveva un prima e un dopo ma era o tutto o niente o pieno o vuoto. Il problema di quale posto Strauss occupi è quindi complesso e non può essere liquidato così alla leggera.
Comunnque complesso come personaggio Strauss, un uomo dai molti strati, anche umanamente, difficile da interpretare e per questo, probabilmente, ancora più interessante. Sicuramente una vicenda umana difficile. Il libro, inoltre, mi è stato molto utile anche per aver stimolato in me l'interesse per un versante meno noto dell'attività di Strauss, ovvero quello di liederista, e per le composizioni giovanili perché in fondo Strauss è universalmente noto solo per alcuni poemi sinfonici e alcune opere.
Interessante inoltre è il paragone con Mahler dove si pone in evidenza come Mahler sia artista della temporalità, mentre Strauss della spazialità. A Mahler manca il tempo per dire più di ciò che ha detto mentre la musica di Strauss, nello spazio, non trova il modo di dire tutto ciò che vorrebbe dire e mentre esiste un mahlerismo in compositori venuti dopo Mahler non esistono imitazioni di Strauss. Anzi, per paradosso, Strauss che era il "grande attuale", mentre Mahler era il "grande inattuale", in tarda età diventa colui che compone "alla maniera di Strauss" diventando così a sua volta un "grande inattuale", in ogni caso,comunque, sempre arbitro del proprio destino.

Beethoven e Ciaikovskij

C'è un momento della sesta sinfonia di Beethoven, "Pastorale", che invariabilmente mi riporta alla memoria un ricordo d'infanzia.
Ero, come tutte le estati, dai nonni materni, nella campagna veronese. Mio nonno che di professione faceva il commerciante e mediatore d'affari, aveva anche alcune proprietà terriere e di tanto in tanto ci andava per vedere come stavano le cose; così un giorno siano andati in un suo campo che produceva fieno. Gli uomini falciavano e caricavano i carri. Alla fine sono stato issato sopra uno di questi carri, ricordo ancora il profumo del fieno, e siamo tornati verso casa. Era sera, ormai. Quando siamo arrivati nel cortile il sole era tramontato dietro la collina di fronte, il cielo era blu, nell'aria c'era un buon profumo di cibo, dalle finestre si vedevano le luci accese. Io guardai verso il cielo dove c'era già uno spicchio di luna e mi dissi: "Questo me lo ricorderò per tutta la vita" ed è stato proprio così e la cosa curiosa è che avrò avuto 8 anni. Ora, quel senso del cuore che ti balza nel petto per un'emozione così forte io la sento nella sesta sinfonia di Beethoven e precisamente all'inizio dello sviluppo (circa al minuti 5 del video) del primo movimento quando i violini primi e secondi si rimbalzano il motivo iniziale dandosi la parola l'un l'altro in due crescendo con l'intervento del flauto e dell'oboe su un ostinato degli altri archi; è la possessione di Dioniso (enthousiasmos) che entra in me provocandomi uno stato di estasi apollinea (ekstasis) intesa come uscita da sé; è più forte di me, ma purtroppo sono costretto a stare seduto su una poltroncina.
L'esecuzione che Oleg Caetani ha dato della sinfonia è stata sicuramente buona ma forse è stata tenuta troppo in un livello medio, cioè non c'erano molte differenziazioni di intensità. Anche il temporale, che deve produrre al suo scoppio un effetto terrificante, pur nella semplicità dei mezzi impiegati (non c'è la macchina del vento come nella sinfonia delle Alpi di Strauss!), non faceva un effetto particolarmente terribile e la scena al ruscello era molto uniforme. Sicuramente però era ammirevole la continuità e la fluidità del tempo ma certo, per Beethoven, ci vuole un'intensità un po' superiore. Peccato perché l'esecuzione di Caetani della settima sinfonia, ad esempio, è molto bella, e l'allegretto, proprio grazie a quella continuità del tempo così flessibile, è impeccabile nella sua interpretazione ma in una sinfonia come la sesta, opera dalle dinamiche più tenui, se non si differenziano i piani sonori in modo accurato, si rischia di apparire troppo uniformi. Inoltre non ho apprezzato che non siano stati eseguiti i ritornelli del primo e terzo movimento. Personalmente, se fossi direttore d'orchestra, i ritornelli li farei sempre.
Nella seconda parte del concerto è arrivato Manfred di Ciaikovskij ispirato ad un'opera di Byron come l'Aroldo in Italia di Berlioz. Proprio Berlioz era stato invitato in Russia da Balakirev e vi aveva portato la sua sinfonia fantastica e l'Aroldo, commissionatogli da Paganini che glielo aveva pagato profumatamente (in anticipo! lui genovese!) anche se poi non lo aveva mai suonato perché la parte della viola solista era troppo facile. Se Aroldo vaga tra le montagne dell'Abruzzo finendo per incappare in una banda di briganti, Manfred vaga per le Alpi dove ha un idillio con una ninfa. L'opera è basata su un tema tormentone che rappresenta Manfred e che si ripresenta sotto varie forme un po' ovunque, seguendo la narrazione, e soprattutto si impone in tutta la sua forza e carica passionale nei finali del primo (minuto 4.40) e del quarto movimento dove si raggiunge un autentico parossismo. Quando Ciaikovskij compose quest'opera era convinto di aver scritto un capolavoro tranne poi ricredersi, a causa delle continue incertezze del suo carattere, tanto da arrivare sul punto di distruggerla. Certamente in quest'opera c'è un momento particolarmente infelice ed è la fuga che ad un certo punto compare nel finale. Stranamente questa è un'opera ancora poco conosciuta. Molti direttori che pure eseguono le sue sinfonie, i concerti, i poemi sinfonici ed altre opere orchestrali, non hanno mai eseguito Manfred. Inoltre questa è un'opera che quando viene eseguita viene in genere tagliata in vari modi per cui la sue esecuzione può andare dai 45 ai 60 minuti. Stranamente la eseguiva Toscanini che pure con Ciaikovskij ci andava molto cauto tanto che delle sue sinfonie eseguiva solo la sesta, mi pare. Caetani, che l'aveva già diretta in Auditorium alcuni anni fa, l'ha eseguita in modo convincente ma, anche qui, forse in alcuni punti forse un po' di partecipazione e di passione in più non avrebbe guastato.
Ottima prova dell'orchestra con tutte le prime parti chiamate ad essere protagonisti e archi compatti e con bel suono.
Pubblico poco numeroso, buon successo anche se non clamoroso.

martedì 22 novembre 2011

Blocco del traffico a Milano?

Si è fatto in modo che ognuno abbia un'automobile per poi non poter più circolare o perché perennemente in fila o perché tutti insieme si inquina troppo. Andiamo un po' a piedi, per quanto possibile, o con i mezzi pubblici! Invece si è calcolato con un'inchiesta che una notevole percentuale di persone prende l'auto per fare un tragitto di meno di un chilometro. Camminare fa bene e ci sarebbe anche un po' più di silenzio.
Intanto a Milano, se la situazione non cambia, si va verso un blocco.

domenica 20 novembre 2011

Concerti in Auditorium

Quando nel 2007 l'orchestra Giuseppe Verdi fu praticamente abbandonata da Riccardo Chailly temetti seriamente che l'orchestra si squagliasse. Senza una guida stabile che futuro ci poteva essere? In quel momento diversi soci sostenitori, considerando anche la drammatica situazione finanziaria, lasciarono la fondazione; altri invece, compreso il sottoscritto, continuarono ostinatamente e direi quasi disperatamente ad appoggiare la fondazione dal momento che trovavano insopportabile per Milano che l'orchestra dovesse scomparire. Grazie a questa ostinazione le attività sono continuate ed anche estese nei limiti del possibile. Da questo sentimento nasce l'attaccamento e direi l'affetto che mi anima personalmente nei confronti di questa istituzione. Così l'orchestra ha continuato a lavorare e si e compattata migliorando anno per anno in tutti le sezioni. Poi è arrivata la Zhang, che è al terzo anno di collaborazione, e ciò è stato molto positivo, se non altro sul piano della resa orchestrale. Non parlo infatti di interpretazione dove la Zhang ha dato prove discontinue con un ottimo War Requiem di Britten, ad esempio, ma un mediocre Requiem verdiano lo scorso anno, dei buoni Beethoven, ma una IX sinfonia piuttosto opinabile, e dei Mahler non omogenei nel risultato.
In questi ultimi due concerti la Zhang è tornata con due bei concerti. In quello della scorsa settimana ha dato una bella prova nella sinfonia del Guglielmo Tell rossiniano e nelle rielaborazioni di Britten da Rossini concludendo poi con una convincente VII sinfonia di Beethoven, che si era già potuta ascoltare nella sua interpretazione negli anni Passati.
Ieri sera il concerto è stato molto buono con il secondo concerto per pianoforte di Beethoven suonato dall'ottimo Cominati e la VI sinfonia di Ciaikovskij, "Patetica". A me Cominati piace molto come pianista; tocco morbido, bel suono, musicalità. Oltretutto Cominati, come risulta da un'intervista che gli aveva fatto tempo fa Carlo Boccadoro,fortunatamente non è un musicista che vive con la testa dentro la musica; ha molti altri interessi e sa godersi la vita anche in molti altri aspetti e ciò me lo rende molto simpatico e degno di ammirazione.
La sinfonia di Ciaikovskij è stata ben eseguita. Certamente, se si fosse voluto fare un confronto con altre esecuzioni storiche (Celibidache, Bernstein, Mravinsky, Mitropoulos,ecc.), ci sarebbe stato qualcosa da dire sull'intensità ad esempio del primo movimento, soprattutto nella parte centrale prima della ripresa, oppure suoltrio nel secondo movimento dove la musica serena della prima parte improvvisamente, come per una nube che passa davanti al sole, si incupisce in un'angoscia opprimente, oppure sul terzo movimento, ben eseguito in modo virtuosistico, ma forse leggermente troppo veloce così che un certo effetto claustrofobico di follia si perdeva un po'.
Personalmente di questa sinfonia ricordo due esecuzioni dal vivo a cui ho assistito alla Scala, quella di Celibidache, credo nel 1970, e quella di Giulini con l'orchestra di Los Angeles, negli anni '70, entrambe indimenticabili.
Buona prova, comunque, da parte di tutti.
Non parlo del Requiem diretto da Aldo Ceccato due settimane fa tanto fu deludente, non per l'orchestra e il coro, quanto per i solisti veramente pessimi, soprattutto i due uomini, e la direzione di Ceccato,lento, greve, privo di profondità e di intensità. Peccato.

venerdì 18 novembre 2011

Pomeriggi Musicali

Ieri sera non c'era concerto in Auditorium, visti gli impegni europei dell'orchestra Verdi (il mio turno è spostato a sabato); quindi ne ho approfittato e sono andato al dal Verme per un concerto dei Pomeriggi Musicali. Sfortunatamente c'era sciopero dei mezzi per cui arrivare è stata un po' un'impresa ma avevo già il biglietto da una settimana e non volevo mancare.
L'orchestra dei Pomeriggi non è una "grande" (intesa come numerosa) orchestra ma suonano molto bene e possono dedicarsi anche a brani che magari in una stagione da orchestra sinfonica normale non vengono fatti. Ieri sera c'era quello strano pezzo di Liszt per piano forte e archi che si chiama Malédiction, seguito dal Konzertstuck di Weber, sempre pianoforte e orchestra per terminare con la seconda serenata di Brahms.
Al pianoforte a giovane coreana Ilia Kim, buona pianista ma con qualche pecca.
Buona la direzione di Vittorio Parisi, particolarmente riuscita in Brahms, dove, coadiuvato anche dal bravissimo primo oboe, ha fornito un'esecuzione molto convincente un raggiungendo, nel secondo Menuetto ed in particolare nel trio, l'akmé della serata.
Poco pubblico, forse complice lo sciopero dei mezzi. Buon successo, complessivamente.
All'uscita mi attendeva la Milano più bella, quella con un po' di nebbiolina che riesce an entrare anche in centro e che rendeva lucido il selciato di via Dante, di piazza Cordusio e di Piazza Duomo. Poca gente in giro, freddo, bellissimo!

Arlecchino servitore di due padroni


L'altra sera, mercoledì, sono andato al Piccolo Teatro, nella vecchia sede di via Rovello, per rivedere l'Arlecchino di Goldoni con la regia di Strehler. Io l'avevo già visto almeno un paio di volte negli anni '70 ma mia moglie non l'aveva mai visto per cui l'ho accompagnata.
Lo spettacolo è sempre lo stesso. Identiche le battute, le gag, le trovate, le invenzioni registiche. Si tratta di uno spettacolo presente sulle scena dal 1947 e che ha avuto finora due protagonisti: Marcello Moretti, che lasciò nel 1959, e Ferruccio Soleri, classe 1929, che da allora interpreta il ruolo. Certo, con gli anni un po' di agilità si è persa, e si sa quanta acrobazia e fisicità sia richiesta, ma comunque Soleri svolge ancora il proprio compito in modo ammirevole e con una dedizione commovente. Anche gli altri attori erano molto bravi, però nel complesso lo spettacolo mi ha lasciato un po' perplesso. Voglio dire che tutte le battute c'erano, le parole, le frasi (le ricordavo quasi amemoria); quello che mancava in alcuni punti mi pare fosse un certo modo di porgere le frasi, una certa intensità, certi modi di fare e di dire le cose. Insomma, facendo un paragone musicale, è come se un direttore d'orchestra dirigesse un pezzo in modo corretto ma mettendoci poca anima, non sottolineando certi passaggi, un questione, dunque, di interpretazione. Mi veniva da pensare quanto avrebbe lavorato ancora Strehler sulle parole, sulle intensità e sui modi di porgere le frasi; piccole cose che fanno grandi differenze.

giovedì 10 novembre 2011

La Verdi Barocca

Ieri sera è iniziata la terza stagione de laVerdi Barocca che è incentrata sul tema del concerto.
Nel corso della stagione saranno eseguiti quindi i 6 Brandeburghesi di Bach, in tre concerti a gruppi di due, che sono una sorta di manifesto dell'epoca essendo sei concerti scritti per sei ensemble diversi, affiancati da concerti di altri autori, oltre ai tradizionali concerti natalizi e pasquali con l'oratorio di Natale di Bach e le cantate pasquali sempre di Bach.
Ieri sera quindi si sono potuti ascoltare il primo, con due corni, il violino piccolo e tre oboi e che è l'unico concerto non in tre movimenti ma in quattro con un grande Menuetto conclusivo con tre Trii, e il terzo brandeburghese, per tre violini, tre viole, tre violoncelli e basso, preceduti dai primi quattro concerti dell'opera 8 di Antonio Vivaldi, Il Cimento dell'Armonia e dell'Invenzione, ovvero le Quattro Stagioni.
Le Quattro Stagioni sono ovviamente famosissime, anzi, per moltissimo tempo è stata l'unica composizione nota di Vivaldi di cui non si sospettava o non si sapeva o si ignorava che avesse composto decine di opere per il teatro, di composizioni sacre e centinaia di altri concerti per tutti gli strumenti esistenti (come questo, ad esempio, per archi, che si conclude con una sfolgorante ciaccona). Forse era una forma di pigrizia o di mero interesse per qualcosa di curioso e strano. Comunque dall'ultimo dopoguerra in avanti grazie a gruppi come i Musici o i Solisti Veneti si è risvegliato l'interesse per Vivaldi e per gli altri musicisti di quel periodo, l'inizio '700. Altri gruppi sono poi venuti ed ora abbiamo fortunatamente molti ensemble italiani che suonano e cantano quella musica ed è credo importante sottolineare che sono italiani perchè, pur non volendo affermare che gruppi tedeschi o inglesi non siano adatti all'esecuzione di quella musica, certamente l'essere italiani è un vantaggio sul piano della proprietà di linguaggio, della fantasia e della creatività, cosa necessaria per eseguire questa musica e che fanno di ogni esecuzione un evento nuovo e diverso. Così oggi possiamo amare quella musica in un modo che solo alcuni decenni fa era impossibile e fra tutti, naturalmente, il più grandi di tutti, cioè Antonio Vivaldi, finalmente conosciuto non solo per questa Quattro Stagioni ma anche per tante opere e concerti che sono disponibili anche in edizioni discografiche molto belle.
Il concerto è stato interessante anche per l'accostamento tra la musica italiana e quella tedesca dove si vedeva, pur nel linguaggio comune, una differenza radicale di tono: Vivaldi, appassionato, teatrale, sognante, veneziano, luccicante, con quegli adagi che si possono capire dopo aver camminato per campi e campielli lontani dai circuiti turistici dove senti il rumore dei tuoi passi e quello lieve dell'acqua dei canali (penso che si percepisca quale passione io abbia per questa musica stante le mie antiche ma assolutamente certe origini veneziane), e Bach massiccio, costruito nei minimi dettagli come una fortezza, un pozzo inesauribile di scienza musicale, vertice di secoli di musica del passato e porta aperta a tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
Moltissimo pubblico e tantissimi giovani.
I giovani sono una presenza costante a questi concerti di musica barocca, lo si è visto anche nei concerti che si sono tenuti questa estate in vari luoghi di Milano. In Auditurium il pubblico della barocca è molto diverso da quello della stagione sinfonica tradizionale, con alcune eccezioni come il sottoscritto ed altre persone che incontro in tutti i concerti, e l'età media è molto più bassa. Probabilmente i giovani si sentono meno attratti dalle grandi ondate della musica romantica mentre si sentono a loro agio in queste musiche, con queila linea del basso così ben definita, quei ritmi così incalzanti e quella quota di inventività e di creatività che è richiesta per suonarla e anche per ascoltarla.
Le esecuzioni sono state in genere buone con al primo violino Gianfranco Ricci che si è ben difeso in Vivaldi, compito piuttosto arduo. Forse, soprattutto in Vivaldi, un po' di fantasia in più in alcuni particolari non avrebbe guastato, ma questo è un giudizio personale, non assoluto che è però lecito considerando la libertà esecutiva che è ammessa in questa musica.
Grandissimo successo.

venerdì 4 novembre 2011

Scuola di musica del Garda

Lunedì scorso, 31 ottobre, dal momento che ero lì vicino nel veronese, sono andato alla Scuola di Musica del Garda di Desenzano per un concerto di musiche barocche, incentrato su Antonio Lucio Vivaldi, con la Venice Baroque Orchestra.
Il concerto in sè è stato meraviglioso per le esecuzioni e per come è stato impostato, ovvero, essendo in una scuola, come una lezione sul barocco ma senza alcuna pretesa cattedratica, così, come tra amici che parlano tra loro e che ad un certo punto ti dicono: "Senti questo!". Loro oltretutto sono molto simpatici oltre che bravissimi. Qui li si può ascoltare nell'Estate di Vivaldi, diretti dal loro direttore, Andrea Marcon.
Il concerto si è concluso con un'impeccabile esecuzione di uno dei loro cavalli di battaglia, La Follia di Vivaldi, meno nota forse di quella di Corelli, ma non meno bella.
Quello che mi preme però di mettere in evidenza è l'attività meritoria che la scuola porta avanti, come progetto, con lo scopo di "allargare" e orecchie delle persone che a vario titolo la frequentano. Nell'ambito delle attività della scuola sono previste, oltre alle attività tipiche di una scuola, delle serate d'ascolto centrate su un tema. Il tema di questo incontro era Vivaldi ed il barocco, ma i prossimi due, condotti da Carlo Boccadoro, avranno come argomento addirittura Frank Zappa e John Cage! Decisamente interessanti e stimolanti. Peccato che per me, milanese, siano un po' distanti.
Comunque complimenti a tutta l'organizzazione e lunga vita alla scuola!

Senti questo

More about Senti questo
Dopo "Il resto è rumore" dove Alex Ross percorre in lungo e in largo la musica del '900 (è un libro che consiglierei a chiunque voglia avere una guida che lo aiuti a perlustrare il XX secolo musicale, credo anzi che sia forse il libro più bello che si possa oggi leggere), è uscito un nuovo libro "Senti questo" dove Ross parla di musica e di esperienze musicali le più varie.
Si va dalla forma della ciaccona ai Radiohead, da Bob Dylan a John Cage, da Mozart a Verdi, dalla musica in Cina ad un'analisi di come le registrazioni fonografiche hanno cambiato l'arte dell'interpretazione, dai problemi dell'educazione musicale a Esa-Pekka Salonon, da Schubert a Brahms, da Marian Anderson a Byork, ecc. il tutto con lo scopo di superare il confine tra classica, pop e jazz e di parlare di esperienze musicali che, pur essendo le più disparate, si ritrovano tutte nel grande alveo della musica con parallelismi spesso sorprendenti.
Personalmente poi ho scoperto due cose che mi accomunano ad Alex Ross. La prima è che, come me, odia l'aggettivo "classica" appioppato alla musica del passato come se fosse un marchio di distinzione, un marchio di qualità, un marchio che ti dice che puoi stare tranquillo. quella è roba buona. La seconda è che, come me, considera l'Intermezzo op. 117 N. 1 di Brahms come la musica che vorrei sentire in punto di morte.