lunedì 30 aprile 2012

La musica a Terezín, 1941-1945

Qualche giorno fa ho terminato il libro di Joša Karas, La musica a Terezín, 1941-1945.
Se non si sapesse che Terezín era un campo di concentramento si leggerebbe con grande piacere e profitto il resoconto dei ricchi programmi musicali, dalla musica classica al jazz alla musica leggera, delle prove che coinvolgevano centinaia di persone, di spettacoli teatrali, concerti, cabaret che tutte le sere si volgevano in vari luoghi e nel “caffè” di Terezín.
Tutto ciò sarebbe bellissimo se non fosse per il piccolo particolare che Terezín era un campo di concentramento.
La storia di Terezín inizia nel 1780 quando l’imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa, sente la necessità di proteggere con una fortezza i suoi territori da una possibile espansione proveniente da nord. Così fondò, a breve distanza da Praga, Theresienstadt, Terezín in lingua ceca. La fortezza non svolse mai la funzione per cui era nata, in compenso fu utilizzata come carcere di massima sicurezza e durante l’occupazione nazista divenne un campo di concentramento. Fu un campo di concentramento un po’ particolare perché in esso affluirono persone di un certo riguardo: ex combattenti ebrei della grande guerra, professionisti, scrittori, musicisti, attori, ecc. Si decise, con l’Obergruppenführer delle SS Reinhard Heydrich, detto “il boia di Praga”, che l’amministrazione del ghetto sarebbe stata condotta dagli ebrei medesimi, rendendone conto alle SS. Poiché si sapeva dell’esistenza di lager come Buchenwald, Auschwitz, Dachau, chi amministrava Terezín pensava realmente che Terezín avrebbe consentito di tenere in Boemia gli ebrei cecoslovacchi salvandoli dalla morte. In realtà le cose erano state progettate dalle SS per andare ben diversamente come si vide subito con l’ordine di mandare ad Auschwitz mille detenuti, scelti dall’amministrazione ebraica. Fu così che da Terezín passarono circa 140.000 persone e di questi ne sopravvissero circa 20.000 mentre circa 34.000 morirono a Terezín e circa 86.000 furono mandati ad Auschwitz per morire nelle camere a gas o in altro modo; come dato ulteriore, terribile, i bambini sotto i 15 anni furono circa 15.000 di cui solo 1.000 sopravvissero.
Però a Terezín si faceva musica per mezzo di musicisti e compositori di grande talento, pur con tutte le difficoltà del caso che andavano dalla mancanza di carta da musica alla mancanza degli strumenti musicali cosa però che non impedì di eseguire perfino il Requiem di Verdi, con un solo pianoforte di accompagnamento.
Hans Krasa era un compositore famoso, direttore del coro del Teatro Tedesco di Praga che era diretto da AlexanderZemlinsky (genero di Arnold Schoenberg) poi direttore dell’Opera di Stato di Berlino, autore dallo stile ironico con inflessioni di jazz che veniva messo a fianco di autori come Bartòk o Webern, le sue opere erano dirette da direttori famosi, ad esempio George Szell. Ebbe un successo enorme con l’opera per bambini Brundibar composta prima della guerra, nel 1938. Quando Krasa andò a Terezín si organizzò la rappresentazione di Brundibar; Krasa revisionò l’orchestrazione per i 13 strumenti che erano a disposizione, flauto, clarinetto, tromba, chitarra, fisarmonica, pianoforte, percussioni, quattro violini, violoncello e contrabbasso. La prima ebbe luogo il 23 settembre 1943. Le rappresentazioni, una cinquantina, andarono avanti fino alla fine settembre 1944, con alcuni cambi nel cast dei bambini quando qualcuno veniva mandato ad Auschwitz. Lo spettacolo venne anche dato a favore della Croce Rossa in visita nel 1944 al campo (poiché il campo era troppo affollato si presero provvedimenti immediati spedendo circa 5.000 persone ad Auschwitz prima che la Croce Rossa arrivasse), per dimostrare quanto fossero buone le condizioni di detenzione nel campo e fu anche fatto un film, "Il Führer dona una città agli ebrei", ad uso della propaganda perchè una delle funzioni di Terezín era quella di dimostrare che i campi di concentramento erano posti dove la gente viveva bene. Quando la Croce Rossa se ne andò la funzione di Krasa, dei bambini e di Kurt Gerron, attore e regista cinematografico che aveva avuto un ruolo di primo piano nel film Angelo azzurro con Marlene Dietrich e che i nazisti avevano nominato supervisore nella produzione del film, era terminata e furono tutti spediti ad Auschwitz. Quando Kurt Gerron, che per la sua collaborazione con i nazisti credeva di essersi conquistato un po’ di favore, si accorse di essere nella lista delle persone che dovevano partire, protestò con il capo del campo, Rahm, che però fu irremovibile, anzi lo salutò euforico con un “Ci vediamo presto!”.
Un altro personaggio importante fu il compositore Viktor Ullmann che fortunatamente scrisse ampi resoconti dei concerti che si tenevano a Terezín senza i quali non ne sapremmo quasi nulla.
Forse l’artista più famoso a Terezín fu il grande direttore d’orchestra Karel Ancerl (era nato il giorno 11 aprile 1908, sei giorni dopo Karajan, ma che destino diverso ebbe a differenza di Karajan, il protetto di Goering!) che, quando ebbe a disposizione un numero sufficiente di archi, fondò un’orchestra d’archi con 16 violini primi, 12 violini secondi, 8 viole, 6 violoncelli ed un contrabbasso che era suonato da una bionda molto affascinante (lo si può vedere in uno spezzone del film di propaganda "Il Führer dona una città agli ebrei" mentre dirige lo Studio per archi di Pavel Haas). Anche Ancerl finì ad Auschwitz, ma, probabilmente per il suo aspetto abbastanza florido dal momento che lavorava in cucina, si salvò a differenza di sua moglie Valerie e di suo figlio Jan di un anno che morirono nella camera a gas.
Quando si arrivava ad Auschwitz Mengele faceva la divisione delle persone, termine questo improprio perché per i nazisti gli ebrei non erano persone, erano un’anomalia. Se si veniva indirizzati a destra si era salvi, per modo di dire, a sinistra si finiva direttamente nella camera a gas. Si poteva finire di qua o di là per puro caso. Così il pianista Bernard Kaff, amico di Ancerl, si sporse da dietro Ancerl che lo nascondeva per vedere cosa succedeva; Mengele lo vide in faccia e vide soprattutto gli occhiali spessi e questa fu la sua condanna. Il grande clarinettista e sassofonista Friedrich (Fritz) Weiss, che suonava nel complesso Ghetto Swingers i cui membri presero la strada per Auschwitz il 28 settembre 1944, aveva gli occhiali ed era rosso di capelli e per lui non ci fu scampo mentre il chitarrista jazz Coco Schumann si salvò dicendo di essere idraulico mentre il cantante Frantisek Weissenstein alla domanda sulla sua professione rispose sinceramente e questo gli costò la vita al che la persona che lo seguiva, Karel Berman, un cantante basso, alla stessa domanda rispose che era operaio e si salvò.
In tutta questa storia orribile c’è una data simbolo, il 16 ottobre 1944, un lunedì. In quel giorno furono caricati sul treno verso Auschwitz quasi tutti i musicisti del campo: i musicisti dell’orchestra d’archi diretta da Karel Ancerl e Karel Ancerl stesso, con moglie e figlio, Viktor Ullmann, Hans Krasa, il violinista Egon Ledec, il pianista Bernard Kaff, il compositore Haas Pavel, per citare solo i più importanti. Morirono tutti, tranne Karel Ancerl, il giorno dopo nelle camere a gas. Così il 17 ottobre 1944 può essere veramente considerata una data epocale in cui scomparve un’intera generazione di musicisti, attori, registi ed artisti in genere. Oltre ad essi morirono anche tutti coloro che avevano partecipato al film di propaganda "Il Führer dona una città agli ebrei", circa 18.500 persone compresi il regista, i bambini e gli “attori”. Chi non morì ad Auschwitz morì di tifo, di stenti o nelle marce della morte come il direttore d’orchestra e pianista Rafael Schächter, ma fortunatamente alcuni si salvarono.
Non è possibile fare un resoconto di tutto perché sono troppe le cose che si dovrebbero dire.
Per finire vorrei solo dire un paio di cose.
La prima è relativa all’importanza della musica nei campi, non solo a Terezín: si andava verso le camere a gas mentre magari un coro cantava l’inno alla gioia di Beethoven e questo connubio tra arte e orrore, un orrore difficilmente comprensibile in tutta la sua portata non avendolo vissuto, è molto inquietante. Come è possibile che quei tedeschi, quei nazisti, che molto spesso erano loro stessi grandi amanti di musica (Eichmann e Heydrich “il boia” erano violinisti ma in genere si sa che i tedeschi amano la musica e l'arte; chi non ricorda almeno un film in cui ufficiale tedesco si commuove per un Lindenbaum schubertiano o una sonata di Beethoven) potessero fare un uso così depravato della musica se non, forse, come esito di una filosofia che impediva loro di distinguere il bene dal male e privava ciò che è bello di un significato anche morale per relegarlo al solo piacere. I nazisti assistevano a quegli spettacoli applaudendo persone che erano già morte, commuovendosi per il violino o il canto di artisti o di bambini che sarebbero stati uccisi di lì a pochi giorni e per i quali avevano magari già firmato il foglio di partenza.
Un’altra questione è quella relativa ad una possibile connivenza con i nazisti, all’esistenza di una “zona grigia” sfumata tra perseguitati ed aguzzini, all’esistenza di un’area di compromesso e di collaborazione che raggiungeva livelli aberranti quando i nazisti facevano, ad esempio, scegliere agli stessi ebrei quelli che dovevano essere messi nei forni. Questa però è una questione molto delicata sulla quale sono stati scritti molti libri e sono sorte molte polemiche.
Infine bisogna riconoscere che a Terezín si realizzò un’esplosione di creatività (in verità non solo a Terezín perché non si può dimenticare, ad esempio, Olivier Messiaen che nello Stalag VIII A nelle vicinanze di Görnitz scrisse ed eseguì davanti ad un pubblico di prigionieri uno dei più grandi capolavori del '900, il Quatuors pour la fin du temps per violino, violoncello, clarinetto e pianoforte dove il pianoforte e il clarinetto non suonano mai alcune note perchè mancavano le relative corde e chiavette) dove la musica poteva essere la colonna sonora dell’orrore ma era anche un metodo per educare i bambini, era un veicolo per rievocare un passato nostalgico e sperare in un futuro migliore, era una compagna che permetteva di superare i momenti più duri di quelle vite, era un mezzo per restare persone dignitose.

venerdì 27 aprile 2012

Un po' di arpa, s'il vous plaît!

Il concerto della Verdi di questa settimana allineava una serie di musiche assolutamente deliziose.
Si tratta di musiche appartenenti ad un periodo ben preciso, dal 1772 della Sinfonia n. 45 di Haydn "Gli addii", al 1800 del concerto per arpa di François-Adrien Boieldieu (alla fine dell'esecuzione del concerto la mia amica Cristina ha esclamato: "Ma che moderno questo pezzo!"), passando attraverso la Serenata notturna KV 239 di Mozart del 1776 e il concerto per pianoforte in re maggiore (trascritto per arpa) di Haydn, del 1782.
La Serenata notturna di Mozart, primo brano in programma, prevede un quartetto di solisti, due violini, viola e contrabbasso, nell'occasione quattro prime parti dell'orchestra, e un'orchestra d'archi e timpani di ripieno. Il finale, un rondò, si basa su un tema abbastanza civettuolo ed anche un po' petulante; ci sono anche alcune fermate dove si può improvvisare, cosa che i quattro solisti e la timpanista, per finire, hanno fatto egregiamente a turno e con buon gusto (è facile esagerare).
Il concerto si è concluso con la sinfonia in fa diesis minore di Haydn, detta "gli Addii" per via del finale dove gli strumentisti se ne vanno fino a lasciare solo la spalla e la prima parte dei secondi violini, nella fattispecie i bravi Luca Santaniello e Lycia Viganò. Al di là di ciò questa è una sinfonia drammatica ed estremamente interessante, soprattutto il secondo movimento dove ad un certo punto, dove ti aspetteresti la conclusione della frase musicale, la musica si perde come chi, assorto nei propri pensieri, perde il filo del discorso. Molto bella e sensibile l'esecuzione di Claus Peter Flor.
I due brani centrali erano due concerti che vedevano all'opera la prima arpa dell'orchestra, Elena Piva. Il primo brano era il famoso concerto in Re maggiore per pianoforte di Haydn trascritto per arpa. E' vero che la scrittura pianistica di Haydn non è particolarmente difficile ma un conto è suonare il concerto sul pianoforte ed un conto è farlo su un'arpa, ma Elena Piva è stata bravissima ed è stato bravissimo anche Claus Peter Flor perchè ovviamente la sonorità di un'arpa è diversa da quella di un pianoforte e quindi il concerto, pur fatto dalle stesse note, si è trasformato in qualcosa di diverso e di più delicato.
L'altro brano era invece un vero concerto per arpa, quello di François-Adrien Boieldieu del 1800. Gran bel concerto con un finale molto strano, per essere il finale di un concerto in do maggiore. Non è certamente un finale tutto serenità e luminosità, anzi. Il finale è preceduto da un breve andante dal carattere piuttosto oscuro che non può essere disgiunto dal vero e proprio finale che inizia in modo ansioso ed inquieto per poi illuminarsi verso la fine. Il tutto dona però a questo pezzo un carattere elegiaco e poetico assolutamente in sintonia con la natura dell'arpa. Bellissima l'esecuzione di Elena Piva ottimamente coadiuvata dall'orchestra bel diretta da Claus Peter Flor.
Grande successo personale per Elena Piva e successo in generale per il concerto nel suo insieme.


Nuova stagione

Questa mattina in Auditorium è stata presentata la prossima stagione 2012/13, la ventesima. Ci sarebbero tantissime cose da dire e quindi mi limito ad alcune osservazioni.
Innanzitutto, anche ad una prima rapida scorsa, appare evidente come la prossima stagione sia ricca ed impegnativa un po' per tutti, per chi suona e per chi ascolta.
Osservando la stagione principale dal punto di vista degli autori si osserva che nella stagione di 38 concerti:
  • prosegue l'esecuzione delle opere di Dvorak con le infonie 4, 5 e 6, i concerti per violoncello ed altre pagine sinfoniche
  • prosegue l'esecuzione delle sinfonie di Bruckner con la terza e l'ottava
  • saranno eseguite alcune composizioni di Hindemith e di Poulenc dei quali ricorre il cinquantesimo della morte
  • di Verdi, di cui nel 2013 ricorre il duecentesimo anniversario della nascita, verranno proposti, oltre al Requiem, i Pezzi Sacri, il quartetto per orchestra d'archi (finalmente!)
  • di Wagner, per il quale ricorre lo stesso anniversario verdiano, saranno eseguite alcune ouverture da opere
  • si eseguirenno tutte le opere sinfoniche e  i concerti di Brahms, nonchè il Requiem
  • di Mendelssohn verranno eseguite le ultime tre sinfonie e qualche altra pagina sinfonica e corale
  • di Shostakovich saranno eseguite le sinfonie 7 (con Oleg Caetani) e 10
  • di Mahler saranno riproposte la I, la III e la V sinfonia
  • di Beethoven le sinfonie 4, 5, 7 e 9
  • di Mascagni di cui ricorre il 150° della nascita la Cavalleria rusticana.
Oltre a ciò saranno eseguite musiche di Stravinskij (Sagra e Jeu de cartes), Prokofiev, de Falla, Ravel, Scriabin (Poema dell'estasi), Rimsky-Korsakov, Sciortino (prima assoluta), Castiglioni, Piazzolla, Strauss, Vacchi, Khachaturian, Arutiunian, Marsalis, Lutoslawsky, Barber, Britten (di cui nel 2013 ricorre il 100° anniversario della nascita), ecc.
A fianco della stagione principale si deve assolutamente porre quella della domenica mattina, nelle mani di Giuseppe Grazioli che dirigerà anche un concerto della stagione con musiche russe, che ne rappresenta un'integrazione di assoluto valore con composizioni che in ogni appuntamento, dieci in tutto, gireranno attorno ad un autore da Rossini a Shostakovich con l'esecuzioni di bellissimi brani come la IX sinfonia di Shostakovich, Les biches di Poulenc, la Sinfonia in Do di Bizet, la terza sinfonia di Berwald (finalmente Berwald!) e tanti altri brani di raro ascolto.
Osservando la o le stagioni dal punto di vista degli interpreti oltre ai concerti diretti da Xian Zhang, che saranno 13, da John Axelrod (4) e un concerto straordinario dedicato a Verdi, Aldo Ceccato (3), Peter Flor (3), Marshall (2), Rilling (2) ci saranno due esordi, il giovane Gaetano d'Espinosa, molto apprezzato dopo Spoleto dell'anno scorso, con 2 concerti e il giovane olandese Otto Tausk. Inoltre mi piace sottolineare i due concerti che saranno diretti da Jader Bignamini, di cui uno dedicato alle stagioni di Vivaldi/Piazzolla, il quale sarà impegnato anche in alcuni appuntamenti della rassegna Crescendo in musica per i bambini, nell'ambito della quale sarà eseguita anche una novità di Silvia Colasanti, e in altri due concerti straordinari incentrati uno su Beethoven con la Banda Osiris e l'altro sul mondo dell'opera, da Rossini e Puccini.
Tra i solisti avremo il grande violoncellista Enrico Dindo nel concerto di Dvorak, la violinista Francesco Dego nel secondo concerto di Prokofiev, il violinista Domenico Nordio nel secondo concerto di Castelnuovo-Tedesco, la violinista Midori nel concerto di Brahms, il pianista Petrushanski nel secondo concerto di Shostakovich, il violista Christophe Desjardins nel concerto di Hindemith, i pianisti Benedetto Lupo e Simone Pedroni nel concerto per due pianoforti di Poulenc, la pianista Lidya Zilberstein nella Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov, la violinista Natasha Korsakova in Vivaldi/Piazzolla ed altri.
Però quello che mi piace sottolineare ancora di più è il fatto che in molti concerti saranno impegnate molte prime parti dell'orchestra, sia nella stagione ordinaria sia nei concerti della domenica mattina.
Senza fare torto a nessuno cito la prima tromba Alessandro Caruana nel concerto per tromba di Arutiunian, la spalla Luca Santaniello e il primo violoncello Mario Shirai Grigolato nel doppio concerto di Brahms, Luca Santaniello ancora in pagine di Dvorak e nel concerto di Conus, il primo violoncello Mario Shirai Grigolato nel secondo concerto di Dvorak e nel concerto di Volkmann, il primo trombone Giuliano Rizzotto nel concerto per trombone di David, il primo clarinetto Raffaella Ciapponi e il primo oboe Emiliano Greci in due fantasie verdiane, la prima arpa Elena Piva nel Concierto serenata di Rodrigo.
Da segnalare inoltre il concerto straordinario del 27 maggio 2013, nel decimo anniversario della morte di Luciano Berio, Direttore onorario della Verdi, quando verranno eseguite tre sequenze (per trombone solo, per oboe e per clarinetto) e due trascrizioni, da Boccherini e da Brahms (la Sonata per clarinetto op. 120 N. 1) con solisti tutte prime parti della Verdi (Giuliano Rizzotto, Luca Stocco, Raffaella Ciapponi e Fausto Ghiazza), il tutto diretto da Ruben Jais il quale dirigerà anche la Passione secondo Matteo di Bach, il Messiah di Haendel, un concerto con musiche di Vacchi e Mozart ed un altro concerto straordinario dedicato a Schoenberg nel centenario della prima esecuzione del Pierrot lunaire.
Inoltre si segnala un concerto in coproduzione con il festival di musica contemporanea Milano Musica, con musiche di Stroppa, Castiglioni e Mahler (Sinfonia N. 1), diretto da Andrea Pestalozza e questa è la prima volta che un concerto di Milano Musica si svolge nell'ambito della stagione ordinaria della Verdi.
Come si vede un grande impegno veramente che è solo una parte delle attività della Fondazione perchè si devono aggiungere le attività dell'orchestra amatoriale, delle orchestra iunior e dei bambini, ed tante altre attività culturali. L'impegno sarà innanzitutto degli artisti che saranno chiamati ad animare in modo sempre vivo i concerti per i quali mi auguro che sia sempre garantito un numero di prove sufficienti per poter dare delle belle esecuzioni ed un impegno anche per il pubblico chiamato a confrontarsi con un repertorio molto vario. A mo' di esempio cito solo il concerto del 4 ottobre quando saranno eseguiti La valse di Ravel, il Poema dell'estasi di Scriabin e la Sagra della primavera di Stravinskij, tre brani che eseguiti singolarmente sono già difficilissimi, radunati in un solo concerto sono affrontabili solo da una grande orchestra e tenendo i nervi ben saldi.
Pare ormai certo che l'orchestra farà anche una tournée in Russia.
Inoltre già da questa estate, tra la metà di luglio e agosto, ci sarà una stagione estiva.
Non ci si deve dimenticare anche della stagioni della Verdi Barocca che si articolerà su sei concerti soprattutto strumentali (Bach, Vivaldi, Corelli, ecc.; molto bello un concerto con le quattro suites orchestrali di Bach e due concerti di Vivaldi per viola d'amore eseguiti uno dalla prima viola dell'orchestra sinfonica, Gabriele Mugnai e l'altro da Claudio Andriani, del complesso barocco); però si eseguirà ancora l'Oratorio di Natale e di Pasqua di Bach e soprattutto la cantata Membra Jesu Nostri di Buxtehude, autore che personalmente amo tantissimo con tanto altri autori d quel periodo (Tunder, Bruhns, Boehm, ecc.).
Alla conferenza era presente anche l'assessore alla Cultura del comune di Milano Stefano Boeri che, innanzitutto è rimasto per tutta la durata della presentazione, ed ha usato parole molto lusinghiere sulla Verdi, che fanno molto ben sperare per il futuro di questa importante istituzione milanese che è un organismo sempre più vivo nonostante qualcuno, qualche anno fa soprattutto, ne avrebbe volentieri decretato la morte. In generale credo che con questa nuova amministrazione comunale i rapporti di collaborazione potranno essere molto buoni e mi pare che anche i toni usati sia dal presidente della fondazione Gianni Cervetti sia dal direttore generale Luigi Corbani, fossero un po' più rilassati rispetto al solito anche se l'esigenza di una gestione assolutamente attenta ai costi senza sacrificare però la validità dei progetti artistici resti assolutamente imprescindibile.
Per concludere voglio esprimere la mia personale soddisfazione, che poi è quella anche di altri soci della Fondazione con i quali parlo abitualmente, perchè la vita di questa orchestra, che arriva ai 20 anni, è sempre stata difficile ed accidentata ed in certi momenti quasi disperata, ma tenendo ben saldi i nervi e continuando a supportare, anche moralmente oltre che finanziariamente, la fondazione, e grazie anche alla cooperazione degli orchestrali e di tutte le persone che lavorano nella fondazione che hanno passato momenti difficili, possiamo ora vedere degli spiragli che fanno ben sperare in un futuro più tranquillo e sereno per tutti.
I prezzi di biglietti e abbonamenti sono rimasti invariati e l'impegno per tutti è di aumentare il numero dei soci, possibilmente raddoppiandolo. Questa non è una questione di poco conto perchè poter dimostrare di avere molti soci è una leva importantissima che può essere utilizzata nei confronti delle istituzioni pubbliche, sopratutto quelle che da anni non danno un centesimo alla Verdi, se non altro per far provare loro un po' di vergogna, ammesso che quello sia un sentimento che appartiene al loro repertorio. Personalmente spero di portare almeno un nuovo socio e mi piacerebbe che tutti gli orchestrali diventassero soci della Fondazione.

martedì 24 aprile 2012

Gelber vs Beethoven

Questa sera per le Serate Musicali, Bruno Leonardo Gelber ha tenuto un concerto beethoveniano eseguendo quattro sonate, la Sonata quasi una fantasia in do diesis minore, op. 27 N. 2, detta "Chiaro di luna", la Sonata in Do maggiore Op. 53, "Waldstein", la Sonata in do minore Op. 13, "Patetica" e la Sonata in fa minore Op. 57 "Appassionata".
Non avevo mai ascoltato Gelber dal vivo e, a dire il vero, è stato un po' altalenante come risultati. Ho trovato che sia stato molto bello come ha fatto in genere i tempi lenti (il movimento lento dell'Appassionata, così poetico, è stato splendido, ed è stato il momento più bello di tutto il concerto) mentre nei finali della Patetica e dell'Appassionata in certi momenti era come sovrastato dalla musica e in alcuni passaggi a mani incrociate doveva rallentare leggermente per tornare a tempo nella posizione normale. Nel primo tempo della Patetica in alcuni punti il discorso perdeva fluidità. In genere, poi, nei passaggi più concitati e densi di note non era sempre chiarissimo nell'articolazione.
Comunque è stato un concerto piacevole, con molta gente.

venerdì 20 aprile 2012

Dedicato a...

Questi Shostakovich dolcissimo è dedicato a chi si vuole...

Silvia Colasanti e il suo nuovo concerto


Ieri sera in Auditorium si è tenuta la prima esecuzione assoluta del concerto per violoncello e orchestra di Silvia Colasanti in un concerto formato panino, come faceva Abbado, quando presentava un brano di Franco Donatoni o di Luigi Nono tra un Mozart e un Beethoven perchè altrimenti il pubblico lo vedevi con il binocolo. 
Parlare di musica in genere è quasi impossibile; se si tratta di un brano nuovo, appena composto, l’impresa è un po’ disperata soprattutto dopo un solo ascolto. Se si va a leggere ciò che critici del passato scrivevano dopo l’esecuzione di una nuova composizione si possono leggere cose del tipo: “Il critico deve ammettere che, dopo aver esaminato queste strane sonate, cariche di difficoltà, si sente dopo un lavoro diligente e faticoso come un uomo che avesse sperato di fare una passeggiata con un amico di genio in mezzo a un bosco invitante e si ritrova invece la strada sbarrata ogni minuto da ostacoli ostili, tornando alla fine esausto e senza alcuna soddisfazione… Ricercato, ricercato e niente di naturale, niente canto. Per essere precisi c’è solo un ammasso di scienza qui, senza un buon metodo… una propensione per strane modulazioni, un rifiuto delle relazioni tradizionali, un accumulo di difficoltà su difficoltà fino a far perdere ogni pazienza e ogni godimento.” 
L’autore di cui parla questo critico della Allgemeine Musikalische Zeitung era Beethoven e le sonate erano quelle per violino e pianoforte Op. 12. Considerando che di critiche così, se non peggio, se ne possono leggere decine per autori come Brahms, Bruckner, Mahler, Wagner, ecc., si capisce che i critici non sono in possesso della verità rivelata. Io, che non sono un critico, mi limito a dire alcune impressioni. Innanzitutto nel giro di meno di tre anni, questa è stata la quarta volta che mi è capitato di ascoltare musica di Silvia Colasanti (qui un documentario su di lei), ad iniziare dal concerto per violino ascoltato proprio in Auditorium con Massimo Quarta nel novembre 2009. In secondo luogo, per qualche motivo, nella musica di Silvia Colasanti ho spesso trovato degli aspetti interessanti per cui a me, allo stato attuale, la musica di Silvia Colasanti, per quello che conosco anche attraverso Youtube, piace. Ascoltando la musica della Colasanti mi pare, inoltre, di ritrovare da un pezzo all’altro dei momenti simili, come delle sigle, ad esempio quei passaggi velocissimi degli archi che formano come delle ondate, o certe alternanze di forte/piano che trasmettono una certa inquietudine e tensione, lo sfociare di tensioni accumulate su frasi ostinate, in tempo lento o rapido,  in frasi estremamente liriche ed intense come nel concerto per violino alla cadenza, o nel primo quartetto dove ad un certo punto la viola e il violoncello cantano una bellissima frase; cioè la Colasanti ha una sua riconoscibilità e questo non mi pare poco. Forse qualche maligno potrebbe dire però che questo è segno di una certa ripetitività, ovvero che la musica della Colasanti, alla fin fine è sempre un po’ uguale a se stessa, si ripete un po’. In effetti, per ora, potrebbe anche fare questo effetto in alcuni pezzi, e appunto per questo sarà interessante seguirla nelle prossime composizioni. Parlando del concerto, ad un primo ascolto, mi è piaciuto perché mi ha confermato quanto già conoscevo di lei, ad esempio lo splendido secondo quartetto e mi ha colpito soprattutto tutta la parte dalla metà, all’incirca, in avanti, con la cadenza e tutta la parte finale che svanisce sugli armonici. Molto bravo il violoncellista David Geringas, dedicatario del pezzo che è stato scritto dalla Colasanti su commissione dell’Orchestra Verdi.
Il concerto della Colasanti era incorniciato da due brani di Brahms, l’Ouverture Tragica e la prima sinfonia. L’Ouverture Tragica è stato il primo brano del Brahms sinfonico che ho conosciuto e credo che questo brano, anche per la sua brevità, sia un buon inizio per conoscere Brahms, assieme alle Variazioni su un tema di Haydn. Nell’Ouverture Tragica mi pare ci sia un po’ tutto Brahms, soprattutto per la sua capacità di scrivere un brano partendo da elementi minimi come un intervallo o uno spunto ritmico; anzi, almeno per me, il mio interesse per la musica di Brahms risiede proprio in questa capacità di elaborare la materia musicale in un continuo processo di variazione, come nel primo movimento della IV sinfonia (diretto da Kleiber!!!!!) basato su un motivo di terze discendenti o nel brano pianistico che amo sopra ogni cosa, non solo di Brahms, l’Intermezzo in La maggiore op. 118 n. 2 che nasce da una seconda discendente seguito da una terza ascendente (do#, si, re), e che fa di Brahms non un retrogrado accademico, come una certa critica voleva far credere, ma un compositore che guardava molto avanti; ma su ciò già Schoenberg ha scritto cose ovviamente molto più importanti di quelle che scrivo io e quindi non vado oltre.  
La prima sinfonia, invece, è uno dei monumenti della musica dell’800, terminata da Brahms a 43 anni. Questa sinfonia nacque dopo un parto piuttosto lungo un po’ perché Brahms si sentiva investito della responsabilità di scrivere una sinfonia dopo Beethoven, ma soprattutto perché non si sentiva ben sicuro nel trattamento dell’orchestra e dei suoi colori. La sinfonia fu definita da von Bulow “la decima di Beethoven”, con un tono, mi sembra, un po’ sprezzante (non mi pare che fosse un complimento) come se a Brahms non potesse essere riconosciuto il fatto di aver scritto la sua prima sinfonia, una sinfonia che, a ben vedere, con Beethoven non aveva grandi punti di contatto. Certamente c’è la quasi citazione dell’Inno alla gioia nel finale, talmente evidente che, come diceva Brahms, se ne accorgerebbe anche un asino, ma tutto lo sviluppo della sinfonia, con quei timbri puri dell’oboe nel secondo movimento, il clarinetto nel terzo, il corno sempre nel secondo in dolce colloquio col violino primo e nel finale con il grande “tema di Clara”, il trattamento degli archi e il colore dell'orchestra così denso, tutto questo è molto brahmsiano. Ad essere sincero fino in fondo di questa sinfonia a me non piace la chiusa finale, che trovo troppo esteriore; certamente Brahms voleva chiudere con una grande perorazione che desse una impressione di grande forza, però mi pare che gli mancasse una certa convinzione (ben altra cosa Beethoven o Bruckner). Molto migliore sarà il finale della seconda sinfonia.
Dirigeva il giovanissimo direttore Aziz Shokhakimov, nato in Uzbekistan nel 1988. Lo osservavo anche con un po’ di tenerezza perché ha la stessa età di mio figlio, tenerezza ancora maggiore con la quale guarderò e ascolterò stasera nella sala degli Amici del Loggione la giovane pianista Irene Veneziano (1985), sempre che un altro impegno che già si profila all’orizzonte non me lo impedisca.  Comunque Aziz Shokhakimov ha dimostrato, quanto meno, di avere delle notevoli doti tecniche ed una grande energia; fin troppa, in certi momenti con un volume di suono quasi eccessivo. Non parlo mai delle interpretazioni, o meglio, non le giudico perché sono, appunto, interpretazioni di un testo e quindi corrispondo ad una visione dell’interprete che io rispetto sempre. Nello specifico del Brahms di Shokhakimov mi è piaciuto molto come ha fatto il secondo movimento della sinfonia, coadiuvato dalle brave prime parti (l’oboe!) mentre non ho apprezzato in modo particolare il terzo movimento, che mi sembrava troppo ansioso. Nei due movimenti estremi ho apprezzato molto la sua capacità di gestire i cambi di tempo che li rendono così accidentati e travagliati; in particolare nel quarto movimento mi è sembrata molto ben fatta tutta la parte iniziale con i pizzicati e il grande tema del corno, molto ben eseguito, sui tremoli degli archi. Comunque la sinfonia è stata diretta tutta con una bella convinzione. Invece non ho apprezzato in modo particolare l’esecuzione dell’Ouverture Tragica dove mi è parso che, soprattutto nella parte centrale, così ombrosa e introversa, non si raggiungessero particolari profondità. Comunque Aziz Shokhakimov ha tutta la vita davanti a sè, una vita che gli auguro lunga e proficua, per meditare e rimeditare sulle musiche che dirigerà.
Pubblico discreto anche se non particolarmente numeroso. Buon successo complessivo anche per la Colasanti presente in sala.

mercoledì 18 aprile 2012

Mai sentita una Kreutzer così!


Ieri sera al Conservatorio per la stagione della Società del Quartetto si è tenuto il terzo e ultimo concerto dedicato alle sonate per violino e pianoforte di Beethoven nell’esecuzione del violinista Leonidas Kavakos da Atene e di Enrico Pace da Rimini, entrambi classe 1967.
Ai precedenti due appuntamenti di dicembre e di febbraio purtroppo non ero potuto andare per altri impegni, ed anche ieri sera stavo per rinunciare a causa di un invito per una pizza tra amici e amiche ma dal momento che alla cena c’era anche mia moglie, io mi sono graziosamente eclissato con la cortese comprensione degli amici ed ho fatto bene perché il concerto è stato straordinario e col senno del poi mi sono pentito di non essere andato ai precedenti due appuntamenti.
Il programma comprendeva la sonata n. 1 (op. 12 n. 1), la sonata n. 8 (op. 30 n. 3) e la sonata n. 9 op. 47 “a Kreutzer”. Beethoven compose 10 sonate per violino e pianoforte. Le prime 9, dall’opera 12 all’opera 47 sono racchiuse in un periodo piuttosto ristretto, dal 1797 al 1803 mentre la decima, opera 96, è del 1812. Tralasciando la decima sonata, che è un caso a parte, con le prime nove Beethoven traccia un percorso che parte da modelli mozartiani, ma con aspetti originali già del tutto beethoveniani, per arrivare a qualcosa di totalmente diverso con la sonata “a Kreutzer”.  Innanzitutto già nel frontespizio mentre le sonate fino all’ottava sono sonate per pianoforte con violino, la nona è una sonata per pianoforte e violino, cioè i due strumenti hanno un’importanza assolutamente paritetica. La sonata “a Kreutzer” ha inoltre un titolo molto significativo, nel buffo italiano di Beethoven: “Sonata per il Pianoforte ed un Violino obligato, scritta in uno stilo molto concertante, quasi come d’un concerto.”. La sonata è dedicata a un grande virtuoso di quel tempo, Rudolf Kreutzer, ma fu scritta in realtà per un altro violinista, Georg August Bridgetower, un mulatto figlio di un africano e di madre tedesca, o polacca. Pare che Beethoven fosse molto colpito dal modo focoso e un po’ stravagante di suonare il violino da parte di Bridgetower che suonò l’opera nella prima esecuzione nel maggio 1803 con Beethoven al pianoforte la cui parte praticamente non era scritta. La sonata fu però dedicata al violinista Rudolf Kreutzer, secondo Bridgetower, per uno screzio che era sorto tra loro a causa di una ragazza. L’aspetto più significativo di questa sonata, che è evidente già dal titolo, è lo stile concertante. Infatti questa sonata non assomiglia a nessuna delle sonate che erano state scritte prima e resta comunque, anche considerando ciò che è venuto dopo, un esito clamoroso. Il primo movimento è una musica drammatica che ha una forza incredibile e che si impone al’attenzione di chi ascolta. A questo primo tempo così coinvolgente segue un secondo tempo più rilassante, un tema con variazioni che precede la travolgente tarantella del finale. Non si può ascoltare questa musica facendo altre cose nel frattempo; ti devi fermare perchè lei ti prende per il bavero e ti obbliga a stare lì e ad ascoltare. Ieri sera, grazie anche alla splendida esecuzione, questa sonata si è presentata al pubblico con tutta la sua eloquenza e si è creata una sinergia tra pubblico ed esecutori, tramite la musica, che era palpabile. Beethoven mi si è presentato davanti con tutta la sua forza e convinzione tanto che mi pareva d’averlo davanti di persona. Alla fine della Kreutzer un solo pensiero mi passava per la testa: “Mai sentita una Kreutzer così! Se si aggiunge che anche l’esecuzione delle altre due sonate è stata magnifica si capisce quanto sia stato bello questo concerto.
Leonidas Kavakos ha vinto il Paganini nel 1988, a 21 anni. È un violinista magnifico; bel suono sempre in ogni registro, passaggi fulminei e perfetti dal forte a piano, passaggi su doppie corde in regioni molto acute, note acutissime prese di slancio e sempre con bel suono. Un grandissimo violinista davvero che ha inoltre un modo di muoversi per assecondare l’emissione del suono molto naturale e bello anche a vedersi. Ciò che ne è venuto fuori è stata un’esecuzione impeccabile dal punto di vista stilistico, in senso classico, ma tutto ciò non è mai andato a detrimento dell’espressione e dell’intensità. Insomma mi è parsa che sia stata un’esecuzione beethoveniana che ha reso pienamente giustizia a Beethoven, al suo stile e alla sua grandezza espressiva. In questo Kavakos è stato splendidamente coadiuvato dal pianista Enrico Pace con il quale ha stabilito un’intesa magnifica che si sentiva e si notava in modo molto evidente ovunque, sia nei passaggi più concitati sia in quelli più delicati dove l’integrazione tra il suono del violino e del pianoforte è da ricercasi con la più grande sensibilità. Magnifico anche il bis con il secondo movimento della sonata n. 6 in la maggiore, op. 3 n. 1 per la quale era stato originariamente scritto il finale che poi sarebbe diventato il finale della sonata “a Kreutzer”.
Molto pubblico. Grandissimi applausi per gli esecutori e per Beethoven che è sempre con noi.

domenica 15 aprile 2012

Maggiori e minori

Questa mattina per il ciclo MAGGIOREminore, musica piuttosto divertente con musiche scritte tra il 1936 e il 1940 scritte da tre compositori russi presentate in un concerto, come al solito diretto da Giuseppe Grazioni, che ancora una volta è stata l'occasione di ascoltare musiche e autori in genere trascurati nelle normali programmazioni concertistiche.
Il primo brano era la suite The Comedians del 1940 di Dmitry Borisovich Kabalevsky, una musica che per certi versi ricorda Prokofiev ma con minori asprezze e che si ascolta senza particolari problemi; musicista piuttosto scaltro il Kabalevsky che infatti non ebbe mai problemi con il regime sovietico.
Il secondo brano era il concerto per arpa del 1938 di Reinhold Glière. Anche qui musica piuttosto tranquilla, del resto anche Glière con il regime non ebbe problemi, anzi fu ricoperto di onorificenze. Bello, secondo mio gusto, il secondo tempo, un tema con variazioni ed anche il finale, dal gusto popolare ma piacevole anche il primo movimento, soprattutto dalla cadenza in avanti; una musica che se non sapessi che è del 1938 collocheresti tranquillamente ad almeno 40 anni prima.
Per finire Stravinskij e il suo Jeu de cartes, balletto in tre mani. Conosco questa musica da una vita ma non lo avevo mai ascoltato dal vivo, questo per dire quanto siano varie in genere le programmazioni concertistiche dove il nome di Stravinskij è in genere associato ai suoi primi tre balletti che costituiscono solo il momento iniziale della sua produzione. Nel frattempo mi sono goduto questo Jeu de cartes pieno di citazioni di altri autori di cui la più clamorosa è quella dal Barbiere di Siviglia di Rossini nella terza mano; veramente diabolico questo Stravinskij che mi piace moltissimo con quell'aria in certi momenti un po' bavarese, da birrone con accompagnamento di salsicce e senape dolce.
Brava Elena Piva nel concerto non certo facile di Glière (dico solo brava perchè non saprei cosa altro dire sapendo quanto sia difficile dare un riconoscimento per tutto lo studio che serve per arrivare a suonare un pezzo come quello se non con un semplice applauso).
Nel complesso un bel concerto (però ho avuto l'impressione che forse una prova in più non avrebbe fatto male visti i gradi di difficoltà dei brani eseguiti, ma è una mia impressione) davanti ad un pubblico piuttosto numeroso anche in una giornata piovosa e di chiusura (?) del traffico a Milano (ho messo il punto di domanda perchè ho visto un bel po' di auto circolare e zero vigili; stendo poi un velo pietoso sul potenziamento del servizio ATM perchè se all'andata tutto è andato bene, credo per puro caso, al ritorno l'ultimo pezzo, dopo aver aspettato quasi 20 minuti il filobus 91, ce lo siamo fatto a piedi (del resto era o non era una domenica a piedi?) perchè mio figlio che è quasi ingegnere ha fatto un rapido calcolo da cui ha dedotto che ci avremmo messo meno che ad aspettare i 16 minuti annunciati del tram, ed infatti quando siamo arrivati a casa il tram non era ancora passato).

sabato 14 aprile 2012

Coincidenze

Da un po' di tempo osservo curiose coincidenze. Sarebbe troppo lungo ed anche noioso parlarne però stamattina, non so perchè, mi è venuto in mente un direttore d'orchestra, precisamente Jean Fournet. Questo è un direttore d'orchestra, un grande direttore d'orchestra veramente, a cui sono piuttosto devoto dal momento che il primo disco che acquistai con musiche di Debussy, La mer e il trittico sinfonico dei Nocturnes, era diretto da lui, per cui Jean Fournet mi ha, in un certo senso, aperto il mondo di Debussy e ricordo ancora che effetto strano mi faceva Nuages, a me che venivo da Beethoven. Allora mi è venuta la curiositò di sapere qualcosa di più di Jean Fournet, sono andato su Wikipedia ed ho scoperto che era di Rouen, città che adoro, e che oggi, 14 aprile, compiva gli anni. Se fosse vivo oggi, ma ha avuto una lunga vita avendo oltrepassato il velo sottile a 95 anni suonati, avrebbe 99 anni! Quando si dice la coincidenza, sembrava quasi che stamattina mi chiamasse.

venerdì 13 aprile 2012

Chiusura del traffico il 15 aprile

Pare che domenica dalle 10 alle 18 non si potrà circolare. Non è che mi interessi molto, giusto l'avrei usata la mattina ma per fare un tragitto di un paio di chilometri per andare ed altrettanti per tornare dall'Auditorium. Andremo con i mezzi. Per il resto mi pare che pioverà, per cui l'aria si pulirà grazie alla pioggia e non per effetto del blocco che non serve quasi a nulla se non, forse, a disabituare un po' i milanesi all'uso eccessivo e spesso gratuito dell'automobile anche quando del tutto superfluo (portare il figlio a scuola lontana da casa 300 metri, andare a riprendere il figlio a scuola, andare a prendere il giornale, andare al bar, andare a prendere il kebab lasciando in tutti i questi casi la macchina in seconda fila o parcheggiando su un comodo scivolo dal marciapiede ad uso di carrozzine o carrozzelle, ecc. ecc.). Come al solito in questi casi spunteranno cavalli, asini, pattini, biciclette, carrozzelle, ecc. tutti mezzi usabili a Milano in situazione di traffico normale a proprio rischio e pericolo visto di quali infrastrutture sono dotate, ad esempio, le biciclette.

La sordità di Beethoven

Tra le varie letture di questo periodo ho fatto quella del libro di Guglielmo Bilancioni "La sordità di Beethoven" pubblicato nel 1921 che ho trovato tramite Maremagnum.com. Guglielmo Bilancioni  (Rimini 1881 - Roma 1935) era un otorinolaringoiatra di fama e amante delle belle arti. Egli scrisse questo libro per fare un po' di chiarezza sulla questione della sordità di Beethoven e soprattutto per fare alcune considerazioni sulla funzione dell'udito e sulle sue relazioni con la vita e la creazione musicale.
Quando si dice che Beethoven era sordo si dice una cosa ovvia ma forse non si considerano alcuni fatti.
Beethoven iniziò a sentire i primi sintomi di qualcosa che non funzionava nel suo udito nel 1795, quando aveva 25 anni. Provò vari rimedi con dei medici viennesi ma tutto fu inutile. Alcuni problemi si risolsero, almeno parzialmente, come i perenni problemi intestinali, ma l'udito andò sempre più peggiorando. Egli divenne sordo completamente nel 1815, quindi 20 anni dopo. Quelli furono anni in cui la sua esistenza fu tormentata da fischi, rumori, scrosci nelle orecchie, giorno e notte ma nonostante ciò continuò a comporre. Certamente ne risentì molto il suo carattere. I sordi diventano facilmente sospettosi, temono sempre di essere ingannati, che si parli alle loro spalle e possono maturare una vera e proprio paranoia. Oltretutto, a differenza della cecità che è sempre stata venerata e rispettata, della sordità si ride: il sordo, figuriamoci poi con gli apparecchi acustici di allora, diventa oggetto di derisione. La sordità per Beethoven costituì anche un danno per la sua carriera di pianista e di direttore d'orchestra, carriere che dovette interrompere ben prima del 1815, quando era completamente sordo. Non ci si deve quindi stupire se Beethoven aveva sviluppato un cattivo carattere con scoppi d'ira clamorosi ed era diventato un po' misantropo. Continuò però sempre a comporre e quando divenne sordo del tutto, la sua mente, nel silenzio che lo circondava, continuò ad elaborare pensiero musicale, armonia, timbri e combinazioni strumentali. Se si paragona il fare musica con il dipingere si capisce che un pittore viene influenzato da ciò che vede ma il quadro che dipinge non è la semplice copiatura di ciò che ha visto ma è una sua rielaborazione che avviene all'interno della sua mente e che a questo punto esula da altre influenze esterne; certamente, però, se diventa cieco non potrà più dipingere. Una persona che nasce sorda non può sapere cosa sia l'esperienza del suono ma se diventa sorda e ha una mente che è assolutamente intonata dal punto di vista armonico ed ha un orecchio interno che gli fa comunque sentire ciò che legge o che scrive nell'invenzione musicale, allora un sordo non potrà più suonare ma potrà ancora comporre.
Bisogna quindi ammirare sommamente Beethoven e la sua mente prodigiosa che con una volontà assoluta dal silenzio della sua sordità ha saputo estrarre quelle musiche che fanno l'effetto di apparizioni. Come non pensare a ciò quando si ascoltano l'inizio della IX sinfonia o gli ultimi quartetti o le ultime sonate per pianoforte o la Missa Solemnis.

Modest Musorgskij


Questa settimana concerto interessante ed originale in Auditorium centrato sulla figura di Modest Musorgskij e la sua composizione Quadri da un’esposizione presentata due volte, la prima nella versione originale per pianoforte del 1874, la seconda nella versione orchestrale che Ravel fece tra il 1922 e il 1929.
Musorgskij , avviato in gioventù alla carriera militare, studiò musica in modo non sistematico. Entrò nel Gruppo dei Cinque che, a parte Rimsky-Korsakov, era formato da persone che in campo musicale non avevano una specifica formazione tecnica. Musorgskij era, credo, il più geniale, ma era molto discontinuo nel lavoro. La sua opera artistica è una sequenza di bozze, di inizi, di progetti abbandonati e non terminati anche a causa della morte precoce all’età di 42 anni e una settimana e dei suoi eccessi etilici, anche se probabilmente non morì di cirrosi epatica ma di epilessia. Si ritenne sempre che le sue orchestrazioni fossero orribili, almeno così la pensava Rimsky-Korsakov, che vi mise mano anche per completare ciò che alla sua morte era solo una serie di appunti come nel caso della Chovancina. Anche nel caso dei Quadri da un’esposizione, composti di getto da Musorgskij dal 2 al 22 giugno 1874, cosa per lui quasi unica nell'ambito della sua attività, si ritenne di dover correggere la sua stesura pianistica perché troppo aspra ed ingrata da suonarsi. Rimsky-Korsakov la revisionò e la pubblicò nel 1886, cinque anni dopo la morte di Musorgskij, in un’edizione che egli approntò, probabilmente con le migliori intenzioni, un po’ come quelli che facevano edizioni facilitate delle sinfonie di Bruckner, ma in una stesura diversa dall’originale. E' bene ricordare, però, quello che diceva Stravinskij, allievo di Rimsky-Korsakov, nel 1959 quando ritornando su Musorgskij dichiarava che "malgrado i suoi mezzi tecnici limitati e la sua ingrata scrittura, le parti originali mostrano un interesse musicale ed un'intuizione genuina ben maggiori che la perfezione degli arrangiamenti". Certamente Musorgskij aveva in mente un suono del pianoforte diverso da quello a cui erano abituati i pianisti, per cui i pianisti si sentivano a disagio e ciò che era una immaginazione diversa passò per imperizia o sciatteria. Nel frattempo iniziarono le trascrizioni per orchestra perché indubbiamente il pezzo si prestava ed anche perché la versione pianistica non prendeva piede e non si vendeva. La più famosa delle versioni orchestrali, ovviamente, è quella di Ravel, ma ne esistono moltissime altre, Henry Wood, Leo Funtek, Tusmalov, Vladimir Askenazy, Leonard Slatkin, Leopold Stokowski (personalmente la trovo pessima, ma può piacere anche questa, sapendo però che non è Musorgskij), ecc. Soprattutto grazie alla versione di Ravel la composizione divenne molto famosa ed indubbiamente il primo approccio con il brano è in genere con la versione orchestrale di Ravel. Negli anni ’40 Horowitz, per riportare in auge la versione pianistica, ne fece una sua riorchestrazione pianistica, una vera ricreazione, che fece diventare il brano un bel pezzo da concerto ma che non era ciò che Musorgsky aveva scritto, anzi lo stravolgeva. Si dovrà arrivare agli anni ’50 e ’60 per avere finalmente la versione originale di Musorgskij grazie al genio pianistico, e alle sue mani da fabbro, di Sviatoslav Richter. La conoscenza della versione pianistica originale, che ormai è diventato un fatto acquisito, è naturalmente fondamentale perché è ovviamente migliore di qualunque altra trascrizione, sia pianistica sia orchestrale, dal momento che una trascrizione è comunque un'interpretazione dell’originale, come è sempre meglio leggere un libro nella sua lingua originale piuttosto che in una traduzione.
Personalmente trovo abbastanza fastidiosa la versione di Horowitz, con, ad esempio, quel Bydlo (al minuto 10 del video) pieno di acciaccature come se fosse uno sciancato che cammina zoppo invece di essere un grande carro polacco dalle grandi ruote.
La versione orchestrale di Ravel è geniale (la tromba nelle promenade, il sax nel Vecchio Castello, ecc.) con alcuni tradimenti dell’originale. Il più vistoso è ancora Bydlo dove Ravel disegna un arco ascendente, con un crescendo, e discendente, con un decrescendo, mentre Musorgskij inizia subito in fortissimo a cui, in genere, segue un lieve decrescendo per affrontare il successivo fortissimo cui segue il decrescendo finale, ma Richter, davvero in modo epico, prosegue imperterrito sul fortissimo senza decrescere mai trovando poi la forza di aumentare ancora il volume prima dello smorzamento nel finale (al minuto 10.58 del suo video); una volta vidi un video di Richter che suonava questo brano, purtroppo non l’ho trovato, e pareva che il pianoforte stesso, trasformato nel carro polacco, iniziasse a muoversi sul palco: mitico!
Chissà se Musorgskij, scrivendo per quello strano pianoforte, aveva in testa una qualche idea orchestrale per questa musica; sarebbe stata certamente la migliore.
L’altro brano in programma era la versione orchestrale della Notte sul monte Calvo fatta sempre dall’immancabile Rimsky-Korsakov. Questa è la versione universalmente nota anche perché è stata usata nel film d’animazione Fantasia con la direzione di Stokowski, che ne fece una sua versione di cui, peraltro, si poteva fare benissimo a meno (grandissimo direttore Stokowsky ma aveva una vera passione per le trascrizioni che condividono un gusto piuttosto discutibile). Anche in questo caso esiste la versione originale del 1867 che è stata pubblicata negli anni ’60 del secolo scorso. Credo che sia poco eseguita. Io l’ho sentita fatta solo da Claudio Abbado che l’ha anche incisa due volte, con la London Symphony e con i Berliner. Nel confronto tra le due versioni si può apprezzare quanto, nella sua violenza, sia tutto sommato educata la versione di Rimsky-Korsakov e quanto sia selvaggia, perfino goffa ma assolutamente incontenibile quella di Musorgskij. Del resto, se quella musica descrive un sabba di streghe nella notte di san Giovanni, un sabba e un’orgia deve essere e in un’orgia, in genere, non è che le buone maniere siano una priorità (ovviamente parlo solo per sentito dire perchè non ho mai avuto l'occasione di partecipare ad un sabba di streghe nella notte di san Giovanni sul monte Calvo).
La versione pianistica dei Quadri è stata ben eseguita dal pianista russo Michail Rudy, ma in qualche misura mi aspettavo qualcosa di più coinvolgente, la cui esecuzione è stata accompagnata, in sincrono, dalla proiezione di un film d’animazione tratto dalla versione teatrale del 1928 di Vassily Kandinsky. Bella idea che è piaciuta molto al pubblico.
Nella seconda parte è entrato in campo Jader Bignamini che ha diretto i due brani orchestrali. Dopo l’ottimo esordio fortuito nel concerto dello scorso anno quando sostituì la Xian Zhang, colpita da un lieve malore, nella direzione della V sinfonia di Mahler (ero tra il pubblico casualmente perché era domenica, i casi o gli avvenimenti sono sempre errori di tempo o di spazio) e il successivo concerto alla presenza del presidente Napolitano per il 150° dell’unità d’Italia, Jader Bignamini è tornato sul podio per un concerto in stagione e ha diretto con molta abilità, forza e con bel gesto. È stato anche capace di una bella sensibilità, ad esempio nel finale della Notte sul monte Calvo, coadiuvato ottimamente dai fiati ed anche nei Quadri, ad esempio nelle Catacombe o nella promenade che porta a Baba Yaga, è stato capace di esprimere una giusta introspezione, un’angoscia che quei brani mettono in evidenza. Sarebbe sbagliato, infatti, eseguire questa musica come una sfilata di pezzi caratteristici quando invece questa musica descrive un percorso all'interno dello spirito oscuro di Musorgskij e quindi della Russia medesima.
Orchestra molto efficiente e brava con prime parti in grande evidenza. Una nota di merito particolare alla prima tromba, Alessandro Caruana, che in tutti i suoi assoli, e ce ne sono parecchi, è stato perfetto e a tutta la sezione delle percussioni, ma tutta l'orchestra ha suonato molto bene.
Teatro praticamente esaurito con la presenza di intere scolaresche che si sono comportate bene ed hanno seguito il concerto in modo disciplinato. Successo straordinario.

giovedì 12 aprile 2012

Il quartetto Hagen alle origini

Quando nel quartetto Hagen suonava ancora l'altra sorella al secondo violino che poi è uscita per dedicarsi a tutt'altro. Musica da estasi, Schubert!



martedì 10 aprile 2012

Ecco come i leghisti...

In questo video si illustra in quale modo i leghisti smascherano gli infiltrati. In particolare con un metodo simile hanno scoperto che Rosy Mauro è, diciamo, non propriamente una donna del nord. Un documento impressionante che evidenzia bene la raffinatezza dei metodi usati che si ispirano alle più moderne tecniche investigative.

giovedì 5 aprile 2012

Johannes-Passion

Ieri sera sono andato a sentire la Johannes-Passion di J.S.Bach in Auditorium con Ruben Jais alla testa dell'orchestra e del coro della Verdi e con un gruppo di bravi cantanti.
Ormai è tradizione da anni che di quest'epoca si esegua una delle due passioni di Bach. Quest'anno è toccato alla passione secondo Giovanni, più breve ma più drammatica della passione secondo Matteo. Ogni anno sento queste musiche in modo diverso. Quest'anno ho iniziato con una strana agitazione, un po' come l'inquieto e tormentato coro iniziale, e ho terminato del tutto tranquillo, quasi cullato da quel coro straordinario, Ruht wohl, che conclude la passione prima del corale finale. Probabilmente la mia agitazione era dovuta al fatto che per me è molto difficile rapportarmi a questa musica dal punto di vista religioso, visto che in realtà inconsciamente mi risulta impossibile o quasi avere una autentica fede religiosa, per cui ho vissuto l'ascolto di questa musica come un fatto drammatico ma che mi ha obbligato a fare un percorso, una specie di via crucis da cui però alla fine sono uscito come pacificato; diciamo che ho vissuto il percorso musicale come un cammino verso uno stato di serenità problematica.
L'esecuzione è stata molto bella. Brava tutta l'orchestra e il coro. Nell'orchestra mi è parso che accanto a Gabriele Mugnai sedesse la prima viola della Verdi Barocca, così mi è parso, se non sbaglio, e lo si è visto bene nel pezzo con le due viole d'amore. Forse anche nel coro c'era qualche elemento della Verdi Barocca.
Tra i cantanti metto su tutti Makoto Sakurada che come al solito ha svolto al meglio il ruolo dell'Evangelista e Christian Senn, che ha cantato le arie del basso e faceva Pilato; entrambi vecchie conoscenze in Auditorium che hanno svolto il loro compito anche con una notevole ricerca psicologica ed espressiva dei personaggi. Del resto la Passione è una sacra rappresentazione e Bach aveva anche un certo gusto teatrale visto che amava molto l'opera che andava a sentire quando poteva.
Molto buono il Gesù svolto dal basso Thomas Tatzl e il contraltista David Hansen, che era già stato in Auditorium per lo scorso Rinaldo di Haendel.
Sul tenore Randall Bills avrei qualche dubbio; qui e là mi sembrava un po' forzato e sembrava leggermente in difficoltà quando doveva cantare lunghe sequenze di note sul forte.
Molto bravo anche il sopranista Paolo Lopez che aveva già cantato nell'occasione dell'oratorio di Natale, la scorsa Epifania. Però a questo proposito vorrei dire una cosa che nasce dall'ascolto del canto del sopranista.Io sono d'accordo che la musica barocca si debba suonare su strumenti originali per ragioni di suono e storiche ma si può anche suonare, come ieri sera, su strumenti moderni a patto che lo si faccia con buon gusto. Sono assolutamente d'accordo che il coro non possa essere formato da 100 o da 80 persone; come ieri sera una quarantina scarsa di coristi bastano e avanzano per ragioni storiche e per ragioni di equilibrio con l'orchestra (ne pasterebbero anche solo 16). Però, soprattutto sul sopranista, ho delle perplessità. Sarà vero che ai tempi di Bach le donne non cantavano in pubblico ma oggi cantano e francamente mi disturbava un po' ascoltare l'ottimo Lopez fare quella che a me sembrava una grande fatica per cantare una parte che una donna avrebbe cantato altrettanto bene ma senza particolare sforzo e con più naturalezza.
Molto pubblico e grande successo.
PS
Quasi sempre dedico l'ascolto di un concerto o di un brano a una persona viva o morta. Ieri, 4 ottobre, sarebbe stato il compleanno di mio nonno materno che era del 1895. Un grandissimo uomo che per me ha avuto un'importanza straordinaria nella mia vita quando ero un bambino e che mi porto sempre dentro, per cui questo ascolto era dedicato a lui.

mercoledì 4 aprile 2012

Il Trio di Parma e Dvorak

Ieri sera in Conservatorio il Trio di Parma ha suonato nel primo dei concerti deditati ai trii di Dvorak. Nel concerto di ieri sera hanno suonato il primo trio in si bemolle maggiore op. 21 e il quarto trio "Dumky" in mi minore op. 90.
Il primo trio è stato scritto da Dvorak nel 1874 quando aveva 33 anni. Era un'epoca quella in cui Dvorak, che proveniva da studi un po' disordinati, era alla ricerca di uno stile personale. Aveva la fortuna di godere della protezione di Brahms che ne aveva intuito il talento pur nel disordine compositivo che caratterizzava certi suoi pezzi giovanili. In questo primo trio si vede come Dvorak guardi verso Vienna e la grande tradizione classica (del resto i rapporti tra Vienna e Praga erano sempre stati molto stretti, fin dai tempi di Mozart che proprio a Praga avrà i suoi maggiori successi) calando però in questa forma un materiale fresco, con inflessioni popolari. Molto belli i primi tre movimenti, soprattutto il secondo e il terzo, mentre il finale mi sembra un po' meno felice nell'ispirazione.
Il discorso cambia completamente con il trio "Dumky" del 1890/91, scritto quindi poco prima di partire per gli Stati Uniti. La dumka è caratterizzata da una sezione languida e malinconica con una tendenza irrefrenabile verso l'agitazione e la danza. Il trio è una sequenza di 6 dumka, quindi il trio non ha alcuna struttura riconducibile alla classicità. Anche dal punto di vista armonico il trio ha una struttura pittosto libero tanto che iniziato con un primo tempo dove si alternano il mi minore al mi maggiore, termina con il sesto pezzo che ruota attorno al do minore e al do maggiore che conclude il pezzo. Ogni brano alterna momenti languidi e malinconici a momenti di frenesia e di danza con continui passaggi dal minore al maggiore e viceversa. L'andamento è in genere elegiaco e rapsodico con momenti di grande bellezza e suggestione come nel secondo brano (Poco Adagio - Vivace) o nel quarto (Andante moderato - Quasi tempo di marcia - Allegretto scherzando) dove mi sembrano evidenti alcuni influssi schubertiani.
Bellissime esecuzioni del Trio di Parma che avevo già ascoltato lo scorso ottobre in Messiaen nell'ambito di Milano Musica. Bis beethoveniano con lo scherzo del trio "Arciduca", capolavoro supremo del genere.
Pubblico folto ma non troppo però con molti giovani. Grande successo.

lunedì 2 aprile 2012

Dvorak secondo Toscanini

Esistono tantissime esecuzioni della IX sinfonia di Dvorak "Dal nuovo mondo". Negli anni '60 acquistati il disco con l'esecuzione di questa sinfonia fatta da Arturo Toscanini nel 1953, quando aveva 86 anni. Apprezzo molto esecuzioni anche più solenni, meditative, condotte con tempi più rilassati ma personalmente continuo a preferire questa di Toscanini perchè è così immediata, senza tanti fronzoli e di una forza che non ha uguali. Vedi il primo movimento così fremente, con la sezione dello sviluppo così incalzante e quella coda così implacabile. Il secondo movimento, largo, pur essendo piuttosto rapido in confronto ad altre esecuzioni, non perde assolutamente nulla in poesia e solennità ma anzi mantiene una linea di canto assolutamente classica e impeccabile. Il terzo movimento è agitato quanto basta e il finale conclude con assoluta coerenza il discorso e il ritorno alla fine dei temi dei movimenti precedenti ha qualcosa di ineluttabile che non ho mai sentito con quella intensità in altre esecuzioni. E' una questione di forza interiore, non di volume di suono.
Una grandissima esecuzione storica.

domenica 1 aprile 2012

Christoph Eschenbach

Questa mattina, grazie alla gentilezza della mia vicina, la signora Boch, che, per chi ama le belle lettere francesi, era la moglie del prof. Raoul Boch, l'autore del dizionario italiano-francese, e che dopo la sua morte ne ha continuato l'opera con nuove edizioni, sono stato alla Scala con lei per la prova aperta del concerto che Christoph Eschenbach dirigerà questa sera e che sarà trasmesso in una novantina di cinema un po' ovunque.
Christoph Eschenbach è una persona dalla storia personale tristissima. Rimane orfano di madre alla nascita nel 1940 e poco dopo perde il padre che era un oppositore del regime nazista; perde poi altri parenti e viene adottato da una nuova madre che suonava il pianoforte. Con tutti quei traumi il piccolo Christoph non parla e trova una via d'uscita da quella situazione bloccata solo tramite la musica e il pianoforte. Diventa così un pianista ma studia successivamente anche direzione d'orchestra. Conoscevo Eschenbach pianista già dagli anni '70 per le sue incisioni con Fischer-Dieskau dei lieder di Schumann. Dico sinceramente che lo conosco piuttosto poco come direttore.
Questa mattina dirigeva la Sinfonia in do maggiore detta "Jupiter" di Mozart e la prima sinfonia di Brahms. Sinceramente ho apprezzato Mozart, soprattutto il movimento lento, diretto con grande sensibilità ed anche profondità; anche il resto però era piuttosto bello, soprattutto il finale, ma anche il primo movimento è stato molto ben eseguito con molta partecipazione con i silenzi carichi di tensione. Brahms invece mi ha convinto un po' meno soprattutto nei due tormentati movimenti estremi. Mi è parso che in quei movimenti i cambi di tempo fossero faticosi e che quindi il tutto risultasse poco naturale e che il discorso facesse un po' fatica a scorrere.
Buona la prestazione dell'orchestra dove ho apprezzato molto i fiati, flauti, oboi e clarinetti su tutti.
Purtroppo l'acustica della Scala non è ottimale quando l'orchestra esce dalla buca; non che si senta male ma in Auditorium o al Conservatorio la presenza del suono è ben diversa. Poi ci sono delle cose che danno un po' fastidio, ad esempio i timpani. Già l'avevo notato con i concerti della Verdi in Scala dove i timpani suonavano insolitamente secchi e come dei tamburi e con la Filarmonica era la stessa cosa. Nel finale della sinfonia di Brahms i timpani sforavano in modo un po' fastidioso integrandosi poco con il resto dell'orchestra. Molto buoni gli archi con un bel suono caldo, soprattutto in Brahms, ma del resto con 16 violini primi, 14 secondi, 12 viole, 10 violoncelli e 9 contrabbassi il volume di suono prodotto era certamente molto imponente.
Molto pubblico anche perchè andare a queste prove aperte rappresenta una possibilità per andare a sentire a prezzi abbordabili un concerto in Scala, anche se è una prova ma dove i pezzi sono suonati senza interruzioni e al più il direttore apporta qualche correzione alla fine dell'esecuzione.