domenica 31 marzo 2013

Mravinsky e Ciaikovsky

Impressionane quanto fosse parco il gesto di Mravinsky. Lo ricordo in un concerto scaligero anni '70 quando venne e diresse la IV sinfonia di Brahms. L'orchestra, la sua orchestra, la Filarmonica di Leningrado, suonava praticamente da sola, tanto erano preparati.
Dirigeva con lo spartito davanti. Non conosceva bene la musica che dirigeva, non la ricordava? Mah, non credo proprio. Ricordo una battuta, mi pare di Karl Bohm. Anch'egli dirigeva con lo spartito davanti, ricordo una sua straordinaria VIII sinfonia di Bruckner. Una volta un giornalista gliene chiese il motivo e lui rispose: "Guardi che so leggere la musica". Mi pare una buona risposta.






venerdì 22 marzo 2013

Musica sovietica (o quasi)

Musica sovietica, o quasi, nel concerto in Auditorium di ieri sera diretto da Giuseppe Grazioli.
Il primo brano era la suite dal Pulcinella di Igor Stravinskij, tratta dal balletto scritto nel 1922, che a quell'epoca se ne era già andato via dalla Russia sovietica da parecchi anni, su musiche di Pergolesi e altri, pezzo con il quale Stravinskij inaugura il periodo neoclassico. Per l'occasione Stravinskij, che a dire il vero aveva già abbandonato da qualche tempo le grandi orchestre dei primi balletti per rivolgersi ad ensemble molto più contenuti, utilizza un'orchestra che si potrebbe dire alla Haydn se non fosse per il trombone e il quartetto d'archi in assoluto rilievo mentre il contrabbasso solista non era una novità neanche per Haydn (vedi ad esempio il trio del minuetto della sinfonia n. 8). Non si deve pensare che queste musiche siano semplicemente delle trascrizioni dove Stravinskij dimostra la maestria di trascrittore; in realtà si tratta di vere e proprie reinterpretazioni e reinvenzioni realizzate con il suono, il timbrico e la ritmica tipici di Stravinskij. Esecuzione bella ma non brillantissima.
Seguiva il secondo concerto per pianoforte di Shostakovich, del 1957. Shostakovich, che fu veramente un musicista sovietico perché non andò mai via dall'Unione Sovietica, era un pianista di notevole bravura ma stranamente non ha dedicato al pianoforte le sue opere più alte come ha fatto nel campo della sinfonia, del concerto per violino e orchestra, del concerto per violoncello e orchestra o del quartetto. I suoi due concerti per pianoforte hanno un carattere piuttosto sbarazzino ed impertinente, quasi buffonesco in alcune parti. Questo secondo concerto contiene però un movimento centrale, un Andante, di grande tenerezza e dolcezza dove il pianoforte sgrana una semplice melodia sopra l'accompagnamento delicato degli archi che intonano una melodia mesta, meditativa, introspettiva, di grande tristezza e che lo stesso pianoforte riprende fondendosi meravigliosamente con gli archi. Questo movimento non è semplicemente un pezzo sentimentale, scritto per il figlio che compiva diciannove anni e comprendo bene quanto è grande la tenerezza di un padre per un proprio figlio, che può provocare un lieve brivido di emozione, ma è un pezzo che dietro questa dolcezza rivela una vera tragedia come spesso accade con Shostakovich. L'esecuzione al pianoforte era affidata a Boris Petrushansky che torna in Auditorium con una certa regolarità. Petrushansky è un pianista strepitoso, autore tra l'altro di un'ottima integrale discografica delle opere pianistiche di Shostakovich e ha eseguito in modo meraviglioso il concerto ed in particolare l'andante in modo molto sentito, assieme a Giuseppe Grazioli e a tutta l'orchestra che si sono prodotti in una strepitosa performance. Bis ciaikovskiano (individuato grazie ad un autorevole suggerimento), il valzer finale dalle Stagioni.
Il terzo brano il Tenente Kijé op. 60 di Prokofiev, un brano del 1934 scritto per un film satirico basato su un fatto storico avvenuto alla fine del Settecento sotto lo zar Paolo I di un inesistente soldato nato da un errore di trascrizione ma di cui la burocrazia, per coerenza, inventa atti eroici, un matrimonio e l'eroica morte.  Bella e ironica la musica di Prokofiev, piena di colori.
L'ultimo brano in programma era la suite da Masquerade di Aram Kachaturian che era un georgiano come Stalin. Il brano risale al periodo 1941/1944. Kachaturian è famoso soprattutto per il balletto Gayane, e in particolare per la famosa Danza delle spade che apre la prima suite. Sarebbe bello che qualche volta si eseguisse anche il suo concerto per pianoforte o quello per violino o una sinfonia, la seconda, ad esempio. La suite di Masquerade, comunque, è un bel brano aperto da un gran valzer,  un brano molto famoso, che è stato anche bissato.
Un bel concerto, anche divertente come accade spesso con Giuseppe Grazioli, di cui non si può non ricordare il particolare impegno con i concerti altrettanto eclettici della domenica mattina, molto ben suonato e diretto.
Pubblico numeroso con molti ragazzi delle scuole in galleria che, a onor del vero, si comportano in modo molto educato.
Successo vibrante.

venerdì 15 marzo 2013

Stockhausen

Sabato scorso abbiamo avuto la quarta lezione di Carlo Boccadoro sulla musica contemporanea.
Ogni lezione è dedicata ad un autore per cui, dopo Cage, Berio e Maderna siamo arrivati a Karlheinz Stockhausen.
Stockhausen incute un certo timore. Sarà perché è tedesco e come tale gli si associa una certa gravità di pensiero. In realtà Stockhausen è un'avventura musicale ed intellettuale assolutamente strepitosa. Conoscevo già qualcosa di suo ma la lezione di Boccadoro mi ha dato la possibilità di avere uno sguardo d'insieme sulla sua produzione dagli inizi degli anni '50, come nel caso della Sonatine, passando attraverso un grandissimo capolavoro degli anni '50 come Gesang der Jünglinge dove rielabora con l'elettronica canti di bambini avviati alle camere a gas dai nazisti, fino al suo ultimo grande lavoro, Cosmic pulses, appartenente al grande ciclo incompiuto Klang, e terminato nel 2007, l'anno in cui Stockhausen varcò le soglie del paradiso.
Stockhausen compose circa 370 pezzi in quasi 60 anni di attività che non ha mai conosciuto soste, inventando, sperimentando, componendo e immaginando ogni volta un pezzo nuovo, scrivendo brani di dimensioni considerevoli, perseguendo e realizzando un progetto come Licht, 34 ore totali, che gli è costato 28 anni di lavoro. Forse tutto ciò può apparire un po' wagneriano o folle. Magari lo è ma è altrettanto indubbio che Stockhausen sia un compositore assolutamente imprescindibile, che lo si ami o no, e che ha inventato talmente tanto che ci vorranno decenni prima che venga digerito non solo dal pubblico ma anche dai musicisti. Tra le altre cose Stockhausen ebbe una grande influenza anche su parecchi jazzisti, Miles Davis, ad esempio e interessò così tanto i Beatles che lo misero nella copertina del Sergent Pepper e un brano come Revolution 9 del White Album non sarebbe immaginabile senza Stockhausen.
Stockhausen sarà stato anche un megalomane e un po' folle, ma si dava al pubblico in modo incredibile, spiegando, chiarendo (come si vede ad esempio in una delle sue ultimissime interviste dove spiega la sua idea di musica e spazio e dove dimostra anche una notevole simpatia e umanità), consigliando (come in questo filmato dove come un padre dà dei consigli alla giovane pianista); di lui esistono ore ed ore di filmati in cui spiega la sua musica e ha curato l'edizione sia su CD sia su carta, di tutte le sue musiche, scrivendo per i CD dei libretti esplicativi assolutamente fantastici. La sua fondazione ha aperto un sito internet dove si trova tutto questo materiale.
Il prossimo appuntamento, con Henze o Ligeti, sarà il 5 maggio. Si salterà il mese di Aprile che per Carlo Boccadoro è pienissimo di impegni, non ultimo la rassegna di musica contemporanea, Musica impura,  al teatro Elfo con Sentieri Selvaggi.





Midori suona Brahms

Programma tutto brahmsiano e tutto in re maggiore questa settimana per l'orchestra Verdi diretta da John Axelrod con il concerto per violino e la seconda sinfonia.
Il concerto era affidato al violino di Midori, gran violinista che lo ha interpretato in modo molto intimo, come un colloquio tra sé e e il violino, tra il violino e l'orchestra. Midori non ha un grandissimo suono ma fa suonare il violino in modo molto particolare, con grande dolcezza e pulizia. Il culmine dell'esecuzione è stato raggiunto con la cadenza del primo movimento, raramente ascoltata con quell'intensità. Molto bello tutto il primo movimento, tra smarrimenti e trasalimenti e il secondo movimento, con il bellissimo dialogo con l'oboe. Il grande violinista Sarasate trovava disdicevole per lui suonare un concerto dove se ne doveva stare con il violino in mano ad ascoltare l'oboe che suonava l'unica melodia del concerto. Naturalmente aveva torto perché l'oboe in realtà introduce la vera melodia, che è quella del violino, che la porta ad altezze inimmaginabili. Finale energico. In generale i tempi erano un po' estenuati proprio per la visione crepuscolare e malinconica che Midori ha voluto dare alla sua interpretazione, visione però che ha colto pienamente la poetica brahmsiana, grazie anche ad un grande accordo con il direttore che ha diretto con grande sensibilità seguito molto bene dall'orchestra. Grande successo ed impeccabile bis bachiano con il preludio della terza partita.
A seguire la magnifica seconda sinfonia, opera serena con venature di malinconia ed un finale travolgente. Axelrod l'ha eseguita molto bene, con grande morbidezza, grande attenzione ai particolari ma con una visione d'insieme molto convincente, facendo anche il ritornello del primo movimento, cosa piuttosto rara. L'orchestra ha suonato molto bene in tutti i reparti.
Grande successo per tutti davanti ad un pubblico numeroso.

venerdì 8 marzo 2013

Requiem

L'esecuzione del Requiem di Verdi è ormai una consolidata tradizione in Auditorium per l'Orchestra e il Coro Giuseppe Verdi come lo era alla Scala nell'epoca di Claudio Abbado.Alla Scala, ma non solo, ricordo solo quella per l'anniversario manzoniano del 1974 in san Marco, le esecuzioni erano sempre di competenza di Claudio Abbado. Le esecuzioni non erano sempre uguali. In alcuni anni erano migliori che in altri, vuoi per la vena del direttore o per i cantanti. Quando tutto funzionava bene, con il coro diretto da Romano Gandolfi, una soprano come la Freni, un basso come Ghiaurov e la direzione intensissima di Abbado che tirava fuori dall'orchestra un impressionante colore scuro, allora il risultato era straordinario.
In Auditorium alla direzione del Requiem si sono alternati molti direttori con alterni risultati. Ieri sera è stata la volta di John Axelrod e il risultato è stato ottimo.
Molto bella la direzione di Axelrod attento nella concertazione (l'unico momento per il quale non sono rimasto particolarmente impressionato è stata la preparazione del Tuba mirum dove Axelrod non ha caricato di intensità le trombe del giudizio che portano all'entrata terrificante del coro e di tutta l'orchestra; in quel passaggio, ma non solo ovviamente, Toscanini era ineguagliabile e lo si sente addirittura gridare all'orchestra). Axelrod è un direttore che legge bene le partiture che dirige e le anima di vita. Nell'esecuzione del Requiem Axelrod è stato molto abile nel sottolineare il senso della musica verdiana, la sua profondità. Se tutto ciò puntava decisamente a tirare fuori da questa musica la sua componente melodrammatica, poco male (ad esempio all'inizio dell'Hostias ha fatto uno sforzato in forte negli archi che non sarebbe scritto da Verdi che dal piano passa al triplo piano, ma che comunque creava un certo pathos). Verdi è Verdi e a dire il vero non sono ben sicuro su cosa si intende per musica religiosa o sacra. Personalmente reputo che questa musica sia religiosa nella misura in cui con questa musica Verdi, che era miscredente, si interroga sul destino umano, con grande profondità, sgomento e giusto timore di fronte al mistero della morte.
Buoni i cantanti, soprattutto la mezzosoprano Maria José Montiel, che è una vecchia conoscenza in Auditorium, e il basso, il riminese Mirco Palazzi che ha cantato con bella e sicura voce. Brava anche la soprano Victoria Yastrebova ma dotata di una voce un po' debole che a tratti scompariva nei momenti più drammatici. Discreto il tenore Khachatur Badalyan.
Il vero punto di forza dell'esecuzione si è dimostrato ancora una volta il coro affidato alle cure di Erina Gamberini dopo la morte del suo fondatore, Romano Gandolfi. Ieri sera il coro, che credo canti il Requiem sempre in memoria di Gandolfi scomparso qualche anno fa in questo periodo, ha cantato con una passione e una forza incredibile, tirando fuori un timbro d'acciaio nei fortissimi e grande morbidezza nei passaggi più sommessi. Oltretutto il gioco delle voci e la loro differenziazione è stato preparato in modo perfetto per cui il risultato è stato ottimo sotto tutti i punti di vista.
Ottima la prova dell'orchestra che presentava come violino di spalla Nicolai von Dellinghausen.
Pubblico numeroso e grande successo per tutti.

venerdì 1 marzo 2013

La terza sinfonia di Mahler

Ieri sera in Auditorium è stata eseguita la terza sinfonia di Gustav Mahler che è probabilmente, dipende dai tempi che si tengono, la sua più lunga sinfonia.
Si tratta di un'opera immensa, non solo per la durata, ma per la vastità visionaria dei panorami che si aprono nell'ascolto di questa musica.
Nel suo svolgimento Mahler compie un percorso che partendo dal tormentato primo movimento giunge ad una visione finale, una luce accecante.
La sinfonia, scritta tra il 1893 e il 1896, era originariamente pensata in sette movimenti con una progressione, un'ascesa verso l'alto partendo dalla visione terrestre del primo movimento e progredendo, secondo una indicazione di Mahler, con ciò che ci dice il mondo dei fiori, degli animali del bosco, l'uomo, gli angeli, l'amore, la visione della vita paradisiaca; quest'ultimo movimento però fu tolto per costituire il finale della successiva sinfonia.
La sinfonia, pur nella sua lunghezza, ha una grande tenuta e una sua propria coerenza. Ad esempio, subito dopo la fanfara iniziale, che cita l'inizio del finale della prima sinfonia di Brahms, irrompe un motivo oscuro e tenebroso che si ritroverà identico nel quarto movimento, relativo all'uomo e all'oscurità in cui vive. Più avanti, nel primo movimento, il trombone intona un tema che riprende, modificandolo leggermente, un motivo della terza parte del Requiem di Brahms, là dove si parla dello scopo della vita. Il primo movimento quindi pone questi temi angosciosi a cui si contrappone una gaia marcetta, che è sempre basata sulla fanfara iniziale, in maggiore, e che porterà il movimento alla sua trionfale conclusione passando attraverso slanci e ripiegamenti. Quegli slanci si ritroveranno nel finale dove però la conclusione luminosissima sarà trovata nell'intensificazione sempre più profonda del tema iniziale che riprende da vicino quello dell'adagio dell'ultimo quartetto di Beethoven. Il terzo movimento nasce da un lieder giovanile, Ablosung im Sommer, dove si parla di un cuculo nel bosco che è morto e di un usignolo che ne prenderà il posto nel canto e in modo meraviglioso e pieno di atmosfera tutti i rumori del bosco vengono zittiti più volte da una cornetta di postiglione che canta da lontano. Il quinto movimento, con il coro, anticipa il lieder che concluderà la quarta sinfonia.
Certamente Mahler si prende molto tempo per dire tutto quello che ha da dire e per costruire un intero mondo, un'utopia che già nella quarta sinfonia mostrerà qualche incrinatura, pur terminando, come estrema propaggine, con una visione paradisiaca, e andrà in frantumi con la quinta sinfonia. Però la lunghezza di questa sinfonia è apparente, almeno per me, dal momento che, al contrario, mi sembra terminare sempre molto presto; una sinfonia dove il tempo scorre molto velocemente.
Tra tutte le edizioni discografiche ho sempre amato molto quella diretta da Leonard Bernstein, sia quella degli anni '60 sia quella degli anni '80 (il suo finale è di un'intensità assolutamente incredibile), e quella diretta da Dmitri Mitropoulos il 30 ottobre 1960 a Colonia che dopo l'esecuzione partì per Milano dove alla Scala doveva dirigere la medesima sinfonia e dove il 2 novembre morì durante le prove del primo movimento stroncato da un infarto.
Ieri sera dirigeva la Xian Zhang che aveva già diretto la sinfonia un paio di anni fa. Rispetto ad allora, dove la Xian mi era sembrata un po' sovrastata dalla sinfonia, ho trovato l'esecuzione molto migliore, con una bella concertazione che metteva bene in evidenza i particolari dell'orchestrazione di Mahler. I tempi erano corretti, forse leggermente rapidi in alcune occasioni, ma nel complesso erano ben adeguati e la Xian Zhang ha tenuto saldamente in mano la sinfonia dall'inizio alla fine con grande intensità e concentrazione. Ottimi i cori dei bambini e delle donne e molto brava la mezzosoprano Carina Vinke.
Prestazione dell'orchestra molto buona con qualche piccola sbavatura nei fiati con le prime parti tutte in bella evidenza.
Pubblico numeroso. Successo piuttosto vivo.