sabato 27 marzo 2010

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 24


Wayne Marshall è tornato per un concerto che ha visto, come pezzo forte, la VI sinfonia di Ciaikovskij, Patetica, preceduta da due brani di Leonard Bernstein, Divertimento del 1980 e la Serenata per violino, archi, arpa e percussioni del 1954.
Il Divertimento fu composto a seguito di una commissione della Boston Symphony che nel 1980 festeggiava il proprio centenario. Partendo proprio dal Boston Centenary Celebration, Bernstein ne ha preso le iniziali, B - C (che corrispondono a si - do) come cellula minima di partenza e ci ha costruito un brano in 8 movimenti dove si va dagli squilli di tromba delle fanfare che annunciano le celebrazioni, alla musica da night club, ad un omaggio alla Boston Pops di Arthur Fiedler con il quinto brano, Turkey Trot, al terzo brano, Mazurka, dove Bernstein cita la V sinfonia di Beethoven, a ricordo dei concerti ascoltati da ragazzo, ad un tenero walzer, il secondo brano, al finale "The BSO Forever" una estroversa marcia, Bernstein al 100%, una specia di marcia Radetsky rivisitata. Confesso di avere un debole quasi infantile per questo Divertimento e ho goduto moltissimo la bellissima esecuzione di Marshall ottimamente assecondato da un'orchestra divertita. L'unico appunto riguarda il secondo brano, il walzer, che secondo me è stato preso ad un tempo leggermente troppo veloce per cui diventava un po' affannoso, mentre dovrebbe essere eseguito con dolcezza e teneramente; naturalmente è perfetta l'esecuzione di Berstein medesimo a capo della Israel Philharmonic.
Il secondo brano era la Serenata, tenuta a battesimo, il 12 settembre 1954 a Venezia da Isaac Stern sotto la direzione nientemeno che di Igor Stravinskij. E' un bel brano ispirato al Simposio di Platone. Il tono ondeggia tra l'arcaico alla Stravinskij di Apollon Musagete, o al cubismo de l'Histoire du soldat a Broadway, al musical, alla musica da strada a West Side Story dove si evoca, subito all'inizio del primo movimento "Phaedrus; Pausanias" il nucleo centrale di tre note della canzone Maria. Bellissimo il IV movimento Agaton, un panegirico sull'amore.
Al violino ha suonato Sergej Krylov, violinista fenomenale che ha, come bis, eseguito la famosa toccata e fuga in re minore di Bach (?) trascritta per violino, assolutamente strabiliante.

A chiudere Ciaikovskij con la sua ultima sinfonia, Patetica, op. 74, la sua espressione musicale più personale, sincera ed impressionante.
Marshall l'ha ben diretta anche se in modo un po' troppo sano, non abbastanza macerato nel trio del secondo movimento, un walzer in 5/4, nella espansione melodica del primo, soprattutto alla fine del movimento, dove la musica piange, e nella parte finale dell'adagio dove la musica si spegne e muore e diventa come il cofano della bara che si chiude portando via tutto con sè con un gesto quasi espressionistico, totalmente negativo, scuro, luttuoso. Per contro ottime tutte le parti più dinamiche come il terzo movimento, un brano che illude il pubblico, che infatti quasi invariabilmente applaude, con la prospettiva di un finale trionfante, che si rivela immediatamente illusorio con l'arrivo del raggelante finale, adagio.
Essendo così personale, questa sinfonia naturalmente si presta alle più varie esecuzioni. Ad esempio con Toscanini i minutaggi sono 16 - 8 - 8 - 9, leggermente più veloci di Mravinsky e Karajan, fino all'ultimo Bernstein con la New York Philharmonic 23 - 9 - 10 - 17 che credo sia difficilmente battibile, soprattutto per il senso di sfinimento e di estinzione che trasmette.
Molto pubblico e grande successo.

venerdì 26 marzo 2010

Beethoven


Oggi, 26 marzo 1827, moriva Beethoven, verso le 17,30.
Beethoven è probabilmente il compositore più famoso. Chi non conosce il nome di Beethoven! Il più delle volte però lo si conosce solo per sentito dire perchè Beethoven in realtà è conosciuto ben poco.
Innanzitutto la fama di Beethoven poggia presso il grosso del pubblico su ben poche composizioni: 3 o 4 sinfonie, al massimo 5 o 6 sonate per pianoforte delle 32 che compose, per non parlare delle variazioni per pianoforte che inaugurarono la sua attività di compositore con le 9 variazioni su una marcia di Dressler del 1782 (12 anni scarsi) fino alle Variazioni Diabelli op 120 del 1823, dei pezzi vari per pianoforte, dei trii, dei quartetti, delle sonate per violino o violoncello e pianoforte, i concerti, le musiche di scena, il Fidelio, ecc.
Inoltre, anche dal punto di vista delle biografie non siamo messi benissimo perchè la biografia principe, quella del Thayer, la si trova solo in inglese o tedesco, e quella del Thayer/Forbes è in inglese. In italiano si trova quella del Solomon che però si dilunga un po' troppo, secondo me, su aspetti psicologici e la fa un po' troppo lunga sulla questione dell'amata immortale, anche se contiene però molte pagine di approfondimento sull'opera che sono molto interessanti ed illuminanti. Molto bella è anche la biografia del Riezler, non so se si trova ancora, e quella più recente di Piero Buscaroli, appassionata e virulenta, anche un po' sgradevole per alcune considerazioni, ma che presenta un'immagine di Beethoven più autentica come uomo ed inoltre illustra molto bene il momento storico nel quale visse Beethoven e si espande in modo tentacolare in avanti e indietro. Molto belle anche le biografie antiche di persone che conobbero Beethoven e gli furono amiche, Ries, Wegeler e Breuning.
Le lettere di Beethoven si possono trovare nell'edizione della Anderson (ILTE) difficilmente acquisibile e che soffre del fatto di essere tradotte in italiano dalla traduzione inglese; recente è l'edizione completa della Skira in sei volumi.
Per quanto riguarda i quaderni di conversazione si può fare riferimento all'opera di Magnani, però difficilmente recuperabile.
Altri riferimenti interessanti a Beethoven li si possono trovare ne "Lo stile classico" di Charles Rosen e dello stesso autore segnalo una bella opera dedicata alle sonate per pianoforte (Astrolabio).
Sulla sordità di Beethoven, argomento di importanza fondamentale, è molto bello il libro del Bilancioni, otologo, del 1921 (lo si può trovare, forse, su maremagnum.com).
Per quanto riguarda i cataloghi delle opere, l'edizione principe, il Kinsky-Halm (Henle Verlag 1955) che definisce le opere con numeri d'opus, da 1 a 138, e le opere senza numero d'opera (WoO), da 1 a 205, è in tedesco. Il catalogo più completo di tutti dell'italiano Giovanni Biamonti (ILTE, 1968) è quasi introvabile data la sua scarsa diffusione (lo si trova su maremagnum.com ma costa diverse decine di euro; fortunatamente ne posseggo una copia acquistata quarant'anni fa in un Remainders milanese per 3000 lire). In precedenza, in italiano esisteva in catalogo Bruers (1951 IV edizione) non completo ma molto apprezzabile per la passione che l'autore dimostra per Beethoven e le sue opere. Recentemente è stato stampato in italiano il catalogo Hess che allinea tutte le composizioni non comprese nel Kinsky-Halm con alcune sovrapposizioni.
Naturalmente queste citazioni sono incomplete perchè le opere esistenti su Beethoven sono tantissime. Il problema è verificare quanto queste opere riportino informazioni esatte o tramandino leggende non verificate.

martedì 23 marzo 2010

Un milione in piazza


Chiedo scusa a Ludwig van Beethoven, Wolfgang Amadeus Mozart, Franz Joseph Haydn, Franz, Schubert, Franz Liszt, Franz Kafka, Johann Sebastian Bach e famiglia, Claudio Monteverdi, Guillaume de Machaud, Richard Strauss, Wilhelm Furtwaengler, Stefan Zweig, Richard Wagner, Hans Rott, Gustav Mahler, Johannes Brahms, Arthur Schnitler, Galileo Galilei, Igor Stravinsky, Dietrich Buxtehude, Anton Webern, Franz Tunder, Alban Berg, Wolfgang Goethe, Heinrich Schutz, Torquato Tasso, Ludovico Ariosto, Kurt Weill, Dmitri Shostakovich, Dante Alighieri, Modest Mussorksky, Gorni Kramer, Frederic Chopin, John Cage, Duke Ellington, Alfred Schnittke, Giocachino Rossini, Georg Friederik Haendel, Thomas Mann, Feodor Dostoievskij, Luciano Berio, Giacomo Leopardi, Bruno Maderna, Francesco Petrarca, Gilles Binchois, Giovanni Boccaccio, Magister Perotinus, Luigi Boccherini, Italo Svevo, Carlo Porta, Georges Bizet, Hector Berlioz, Marcel Proust, John Ruskin, Lionel Hampton, Maurice Ravel, Claude Debussy, Frank Zappa, Charles Ives, Erik Satie, Edgard Varese, Olivier Messiaen, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Mario Murolo, Fabrizio de Andrè, Vincenzo Bellini, Paolo Conte, Bruno Lauzi, Anton Bruckner, Hugo Wolf, Robert Schumann, Leonard Coen, Philipp Glass, Il duo di Piadena, Enzo Jannacci, Leos Janacek, Bela Bartok, Niccolò Machiavelli, Leonard Bernstein, Aaron Copland, George Gershwin, Gyorgy Ligeti, Eugenio Montale, Pierre Boulez, John Adams, Sergei Prokofiev, Lev Tolstoj, Nicolai Gogon, Alexander Puskin, Boris Pasternak, Darius Milhaud, Jan Sibelius, Ingmar Bergman, Federico Fellini, Kenij Mizoguki, Theodor Dreyer, Giuseppe Ungaretti, Fritz Lang, Francis Ford Coppola, Cassius Clay, Renzo Arbore,...
ma questo video è proprio bello; idee chiare innanzi tutto. Del resto non ci si può aspettare niente di più quando più del 70% degli italiani si forma un'idea su qualsiasi cosa tramite i telegiornali e mediamente ogni italiano legge meno di un libro all'anno. Esercitare il potere è anche e forse soprattutto l'arte del far credere ed ora siamo arrivati anche al far credere che ci fosse oltre un milione di persone in piazza sabato scorso per una manifestazione flop. L'importante è ripetere sempre le stesse cose in modo che gli italiani tengano gli occhi ben tappati e le orecchie ben chiuse. Del resto, comunque, non devono preoccuparsi perchè noi italiani abbiamo una tendenza irrefrenabile valla smemoratezza e a tenerli ben chiusi, sia gli occhi sia le orecchie.

lunedì 22 marzo 2010

Stagione 2009/10 - Serie '900 V - Richard Strauss


Richard Strauss è stato un compositore che, nato nel 1864, ha avuto una vita tanto lunga da permettergli di arrivare al 1949; così potè assistere non solo alla prima guerra mondiale ma potè vivere, da tedesco, l'ascesa di Hitler, e la catastrofe della seconda guerra mondiale nella quale tutti i luoghi simbolo della sua vita furono distrutti sotto i bombardamenti: il teatro dell'opera di Dresda, di Vienna e soprattutto di Monaco di Baviera dove suo padre aveva suonato per quasi cinquant'anni il primo corno. Ma soprattutto visse il tradimento della cultura tedesca travolta dall'ondata di follia nel nazismo. Nel 1946, a guerra terminata, scrisse una delle sue ultimissime composizione, le Metamorphosen, uno studio per 23 archi solisti, 10 violini, 5 viole, 5 violoncelli e tre contrabbassi. In questa composizione tutto nasce da alcune cellule tematiche elementari che si sviluppano incessantemente con continui rimandi dall'una all'altra, nascendo una dall'altra in un processo di metamorfosi continua, più che di variazione in senso classico. Il pezzo inoltre è scritto per 23 archi solisti, quindi ognuno ha una propria parte e nessuno può mancare all'appello.
Pagina di straziante intensità e bellezza costruita come un arco che inizia da un momento di lutto e di grande oscurità e che si sviluppa successivamente arrivando ad un momento di grande vitalità e di grande suono, tenendo conto della piccola formazione, ma Strauss era un vero mago dell'orchestrazione, oltre che del contrappunto e dell'armonia, che si schianta contro il ritorno dell'inizio, come una presa d'atto definitiva che un certo mondo ideale, che era stato il suo mondo, non esisteva più e non era più possibile. Successivamente la musica tenta ancora una volta di risollevarsi e trovare nell'arabesco un momento di giovialità e di serenità ma viene nuovamente richiamata all'ordine e al lutto dell'inizio. Proprio alla fine Strauss cita il tema della marcia funebre dell'Eroica di Beethoven, ultima metamorfosi ma anche motore inconscio del brano considerando la grande similitudine tra quel tema e il secondo dei motivi, nelle viole, delle Metamorphosen. E con ciò tutto finisce.
Il maestro Colombo ha con la consueta maestria illustrato il brano, e tutto quello che gli sta attorno, che ha poi ben diretto con grande sensibilità. Un bravo a tutti gli archi che, in formazione ridottissima, avevano precedentemente eseguito un'altra pagina sublime dell'ultimo Strauss, ovvero il sestetto iniziale di "Capriccio", conversazione in musica, del 1942. Successo molto caloroso.

venerdì 19 marzo 2010

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 23


Olivier Messiean scrisse la sinfonia Turangalila a seguito di una commissione della Boston Symphony e del suo direttore Serge Koussevitzky. Messian la scrisse tra il 1946 e il 1948, mentre la prima esecuzione si tenne a Boston il 2 dicembre 1949 diretta dall'allora trentunenne Leonard Bernstein che sostituì Serge Koussevitzky malato.
Questo brano fa parte di una trilogia ispirata al mito di Tristano e ne costituisce il pannello centrale. La prima parte è un ciclo di canzoni, Harawi, Chants d'amour et de mort, nome inca di un genere di canto d'amore che in genere termina con la morte degli amanti, dove Messiaen, per i testi, oltre al francese utilizza anche inserti in lingua Quechua.
La sinfonia Turangalila, invece, è uno dei brani sinfonici più imponenti di tutto il '900 musicale. Serge Koussevitzky, il committente, reputava che, assieme alla Sagra della primavera di Stravinskij, si trattasse del brano più importante del '900 (nel 1950).
Prevede un'orchestra enorme (10 percussionisti, 10 contrabassi, ecc.) con un pianoforte concertante che ha parti cadenzali molto difficili e le onde Martenot che creano atmosfere incantate, estatiche e soprannaturali.
Turangalila è una parola sanscrita composta da turanga, che è il tempo che scorre, movimento, ritmo, e lila, gioco divino, della creazione, della distruzione. Messiaen disse che era semplicemente un "canto d'amore".
Originariamente Messiaen pensava di scrivere una vera sinfonia in 4 movimenti ma alla fine divenne un pezzo in 10 movimenti. I movimenti 2, 4, 6 e 8 sono incentrati sul tema dell'amore, estatico, passionale che trova il proprio culmine nell'ottavo movimento, Développement de l'amour; stupendo anche il sesto, Jardin du sommeil d'amour, dove il sonno amoroso produce il paesaggio assolutamente statico disegnato dalla musica dove si inseriscono i delicati inserti pianistici con richiami al canto degli uccelli, grande passione e centro poetico di tutta l'opera di Messiaen, assieme all'incrollabile fede cristiana e alla ricerca sul ritmo.
I movimenti 3, 7 e 9 sono le tre Turangalila; sono movimenti minacciosi, misteriosi.
Il quinto movimento, Joie du sang des étolies, è l'unione cosmica dei due amanti, un brano dall'eccitazione ritmica e di colori orchestrali assolutamente irresistibile.
Il tutto è incorniciato da una Introduzione, dove si presenta uno dei temi fondamentali della composizione, negli ottoni in fortissimo che intonano il tema della statua, e dal finale di incontenibile agitazione ritmica.
Per me questo brano è uno dei più grandi capolavori della musica. Non si può dire che Messiaen non pensasse in grande quando componeva; ad esempio il finale è basato su una cellula ritmica piuttosto normale ma è incredibile il modo in cui Messiaen lo sviluppa fino a costruire un edificio sonoro smisurato, un po' come succede nell'ultimo tempo delle Visions de l'Amen per due pianoforti del 1943, dove un corale viene espanso e portato alla glorificazione più totale e realmente luminosa, come una luce vera.
Allo stesso modo termina la Turangalila, con una luce abbagliante.
Pubblico da concerto per abbonati con musica del '900, quindi scarso. Quelli che ancora hanno difficoltà, diciamo così, con questa musica, sono probabilmente gli stessi che quarant'anni fa non andavano ad ascoltare alla Scala la V sinfonia di Mahler diretta da Barbirolli, o la VII fatta da Horenstein o la IX fatta da Bernstein con i Filarmonici di Vienna (platea vuota!), o uscivano tra un movimento e l'altro simulando un impegno improvviso o un attacco improvviso di gastroenterite acuta, e che ora Mahler lo ascoltano perchè alla fin fine ci hanno fatto l'abitudine, come con Beethoven che ascoltano fin da bambini e di cui conoscono le nove sinfonie, che poi sono 4 (III, V, VII e IX) e poco altro. Per Messiaen invece bisogna probabilmente aspettare i pronipoti. Non è certamente musica di semplicissimo ascolto e ci vuole anche un po' di pazienza e ci si deve lasciare andare a queste visioni, ma almeno bisogna provarci! Non possiamo ancora sentire commenti che manca melodia (solita critica alla musica "moderna"), che le dissonanze... ecc. per una musica che ha più di mezzo secolo.
Juanjo Mena, direttore spagnolo allievo di Celibidache che aveva diretto lo scorso anno una VIII sinfonia di Bruckner non molto convincente dal punto di vista della visione architetturale, e che aveva iniziato con il Preludio e morte di Isotta, ha ben diretto Messiaen con tempi abbastanza sostenuti, non velocissimi, ottimamente coadivato da Simone Pedroni al pianoforte e da Valerie Hartmann Claveire alle onde Martenot. Orchestra in gran forma (erano quasi di più loro del pubblico).

lunedì 15 marzo 2010

Stagione 2009/10 - Ciclo Haydn - Concerto 6

Concerto con titolo "La guerra" ovvero i riferimenti alla guerra nella musica di Haydn.
Per esemplificare questa relazione è stata eseguita la sinfonia N. 69 "Laudon", la N. 100 "Militare" e il concerto per tromba.
La sinfonia N. 69 porta il nome di un generale austriaco, eroe nazionale per la guerra contro i turchi. In realtà quando Haydn componeva quest'opera, verso la fine degli anni '70, non pensava per nulla al generale nè alla guerra; anzi, quello era un periodo in cui Haydn si era staccato dalle concitazioni dello Sturm und Drang per approdare a una nuova serenità e ad uno stile brioso. In effetti questa sinfonia è piuttosto vivace nei due movimenti estremi e senza complicazioni di sorta. Il nome fu affibiato dall'editore Artaria, alcuni anni dopo, per vendere più copie, anche attraverso una trascrizione per pianoforte; in effetti funzionò e il brano divenne un successo commerciale.
Il concerto per tromba, strumento militare per eccellenza, del 1796, è un brano molto difficile per il solista, qui la nostra prima tromba Alessandro Caruana, valorosissimo, perchè il solista deve suonare un sacco di note che normalmente non suona, con gran salti e virtuosismi ma è anche chiamato a suonare piano e belle melodie cantabili. Credo che il pezzo più famoso sia il finale che possiede una immediatezza e spontaneità meravigliosa dove si dimostra che se la musica è bella può anche essere facile ed immediatamente orecchiabile e che la musica, per essere interessante, non deve essere per forza difficile, anzi, in genere si deve diffidare da ciò che appare astruso perchè la grande arte alla fin fine è sempre semplice, basta capirla!
Per finire la famosa sinfonia N. 100. Si chiama "Militare" per via del secondo movimento che è un canto schiettamente popolare interrotto da inserti violenti di musica turca, con grancassa, piatti e triangolo e sempre in fortissimo, come si faceva ai tempi quando si rappresentavano le turcherie; verso la fine una tromba intona un richiamo militare a cui risponde un'ultima scarica drammatica di tutta l'orchestra che porta alla conclusione questo movimento.
Questi strumenti "turchi" torneranno poi nel finale ma questa volta per unirsi alla concitazione del finale, con un effetto gioioso e decorativo che enfatizza lo spirito vivace e spensierato della musica. Certamente si possono anche immaginare dei turchi, che come tanti Osmin mozartiani, si uniscono alla danza finale con i loro enormi turbanti, i gonfi pantaloni e le scimitarre sguainate. Per il resto il primo movimento è un capolavoro di delizie musicali a partire dalla solenne introduzione per continuare con lo spigliatissimo primo tema e un secondo tema assolutamente irresistibile il tutto poi elaborato in uno sviluppo musicale di grande intensità mentre l'elegante minuetto ha un bel carattere danzante.
Anche il titolo "Militare" non fu dato da Haydn ma si impose da subito dopo la prima esecuzione a Londra. Haydn lasciava fare perchè, fatti due conti, erano tutti soldi in più che guadagnava.
Bravo come al solito il maestro Grazioli, in questi giorni superimpegnato anche con il concerto della stagione.
Per quanto riguarda l'orchestra mi sento di poter dire che suoni con sempre maggiore consapevolezza e cultura. Suonare questi classici non è facile e fa bene all'ensemble.
Ora li attende, nel prossimo concerto della stagione, un cimento temibile, la sinfonia Turangalila di Messiaen.

venerdì 12 marzo 2010

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 22


Nel 1960 Dmitri Shostakovich scrisse il suo VIII quartetto op 110 dedicandolo a tutte le vittime del fascismo e di tutte le guerre. Al di là di questa dedica questo lavoro ha una fortissima connotazione autobiografica a partire dal motto che lo percorre da cima a fondo che è formato dalle quattro note delle sue iniziali (DSCH che corrispondono a re, mi bemolle, do, si, è che è riportato anche sulla sua tomba), alle citazioni di molte sue opere precedenti, sinfonie 1, 5, 6, 9, primo concerto per violoncello, ecc.) che si innestano nella composizione con grandissima naturalezza. Pagina cupa e claustrofobica costruita in cinque movimenti come un arco dove l'inizio torna alla fine con al centro due movimenti più mossi, il primo aggressivo e che impone quasi una presenza fisica dell'autore, il secondo un grottesco valzer sempre integralmente basato sull'utilizzo del motto iniziale di quattro note. Rudolf Barshai ne fece una trascrizione per orchestra d'archi che fu molto ammirata da Shostakovich medesimo che l'autorizzò e quindi nel catalogo di Shostakovich appare come op. 110a e con il titolo di Sinfonia da camera; successivamente Barshai trascrisse anche altri quartetti di Shostakovich. Bashai non si limitò a trascrivere il quartetto ma in un certo senso ricreò l'opera per il nuovo organico attraverso la divisione degli archi e l'opposizione delle prime parti a tutti gli altri archi; questo produce un incremento di intensità che, come ammise Shostakovich medesimo, suonava quasi meglio dell'orginale per quartetto. Al di là di queste considerazioni si tratta di un'opera bellissima tipica di Shostakovich, un compositore che non sapeva e non poteva ridere nè sorridere ma al massimo poteva essere ironico e sarcastico.

Proseguendo nel cammino di composizioni cameristiche, come secondo brano si è potuta ascoltare la magnifica quinta sinfonia di Schubert del 1816, opera perfetta nel suo classicismo, nelle proporzioni e nell'equilibrio delle sue parti. Dopo la precedente quarta, la "Tragica", qui Schubert scrive una sinfonia senza trombe, clarinetti e timpani. Un piccolo brano cameristico di grande poesia e dalle evidenti ascendenze mozartiane ma che mette in evidenza una grande proprietà di stile e di linguaggio nel diciannovenne Schubert. Personalmente, a parte la sinfonia di Do maggiore, La Grande", questa è la sinfonia che preferisco di Schubert.

A concludere, e tornando ancora più indietro, al 1795, si è ascoltata la sinfonia n. 104 di Haydn, "London", l'ultima sua sinfonia, la sinfonia che porta a conclusione il suo lunghissimo percorso artistico come compositore sinfonico; poco dopo arriverà Beethoven. E' una sinfonia magnifica scritta da un grandissimo maestro che ancora pochi decenni fa veniva considerato solo in funzione della sua opera di definizione della forma sinfonia e quartetto per archi, una specie di Giovanni Battista che era esistito solo in funzione della venuta del nuovo messia, Beethoven. Ciò non è vero. Haydn fu un compositore di valore assoluto in sè e Beethoven stesso lo adorava, anche se ebbe qualche problema con lui quando ne fu allievo. Sinfonia piena di spirito ed arguzia che termina con la gran volata del finale basato su un canto slavo che peraltro, come accade ad Haydn ed anche a Mozart quando utilizzano canti popolari, non diminuisce assolutamente il valore musicale del brano; oltretutto si tratta di un brano, ed in genere di una sinfonia, magnificamente orchestrata da un compositore che è stato uno degli orchestratori più geniali e sperimentali di tutta la storia della musica.
Il concerto doveva essere diretto da Rudolf Barshai, classe 1924, che tutti gli anni torna a dirigere la Verdi ma quest'anno è stato impedito per motivi di salute ed è stato sostituito dal maestro Giuseppe Grazioli che quest'anno sta portando avanti il ciclo Haydn. Quindi è stato quasi naturale dirigere questo concerto che terminava proprio con la 104 di Haydn. La direzione di Shostakovich è stata magnifica, con gran resa degli archi ed una adesione totale degli orchestrali a questa musica di Shostakovich di cui hanno peraltro eseguito già più volte tutte le sinfonie e le hanno anche incise su disco con Oleg Caetani ma indimenticabile è una VII con Vladimir Jurowsky che si trova su iTunes. Molto bene anche Shubert soprattutto dal II movimento in avanti. Personalmente ho trovato l'esecuzione del primo movimento della sinfonia di Schubert, soprattutto delle prime battute, leggermente troppo rapida e questo rendeva vagamente affannoso il fraseggio che invece dovrebbe essere estremamente semplice e naturale, ma è veramente difficile eseguire quell'inizio.

mercoledì 10 marzo 2010

venerdì 5 marzo 2010

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 21


Concerto diretto da Ludovic Morlot in qualche modo dedicato al tema del destino ed al passaggio dalle tenebre e da una situazione di oscurità ed angoscia al suo superamento ed alla gioia.
Si è iniziato con la sinfonia della Forza del destino di Verdi, brano di gran resa sinfonica composto da Verdi per la ripresa alla Scala del 1869 dopo la prima a San Pietroburgo del 1862.
Bela Bartok, ungherese, dovette fuggire dalla sua terra quando l'ostilità verso l'arte "degenerata" di un regime idiota e criminale che faceva il pari con un altro regime un po' più ad est ma altrettando idiota e criminale si estese ai paesi vicini. Andò negli Stati Uniti, a New-York, dove visse i pochi anni che gli restavano da vivere in condizioni economiche piuttosto precarie, aggravata purtroppo anche dalla malattia che lo colpì, la leucemia, ma con una grandissima dignità ed integrità morale. Per venire incontro ai suoi problemi il grande direttore Serge Koussewitzky, direttore della Boston Symphony Orchestra e fondatore del festival di Tanglewood dove emerse il genio di Leonard Bernstein, nel 1943 gli commissionò un'opera per orchestra per la somma di 100o dollari.
Tra agosto e ottobre di quello stesso anno Bartok scrisse il Concerto per orchestra che fu eseguito il 1° dicembre dell'anno successivo. Bartok ha descritto questo brano come una musica che, con l'eccezione del secondo movimento che ha un andamento scherzoso, passa da una situazione di oscurità alla luce in una visione più ottimistica. Il titolo di Concerto per orchestra si riferisce al fatto che la scrittura è estremamente virtuosistica e tutti gli strumenti sono prima o poi chiamati ad uscire allo scoperto con passaggi solistici alcuni dei quali di difficoltà piuttosto temeraria. Sono cinque movimenti. Il primo, in forma sonata con introduzione lenta, è un'Introduzione che alterna momenti di raccoglimento a momenti di grande clamore fonico nei fiati chiamati ad intonare inni giubilanti. Il secondo tempo, Presentando delle coppie, vede l'entrata di tutti i fiati a coppie, fagotti, oboi, clarinetti, flauti, trombe e tromboni che intonano un commovente corale. Il terzo tempo, Elegia, torna alle atmosfere notturne del primo alternate ad improvvisi fortissimi che intonano melodie ungheresi in modo doloroso e violento; movimento intensissimo con accenti quasi mahleriani che si conclude poeticamente in un'atmosfera sospesa. Il quarto tempo, la Serenata interrotta, parte con una bella melodia ungherese che viene interrotta da un temino che si allarga fino a diventare un insieme di trilli e sberleffi, per poi tornare alla poetica atmosfera dell'inizio lasciandosi alle spalle volgarità e cialtroneria. Il temino cita un momento della VII sinfonia di Shostakovich, "Leningrado", ma non è una parodia di Shostakovich, è una parodia del medesimo regime e della medesima violenza che Shostakovich evocava nella sua musica. Il Finale è un funambolico e fantasmagorico brano sinfonico in cui l'orchestra ha modo di sfoggiare tutto il suo virtuosismo; una visione positiva, gioiosa e coraggisamente ottimistica ancora più coinvolgente se si tiene conto che proviede da un uomo in esilio, povero, malato e che sarebbe morto poco dopo, nel 1945, al cui funerale andaro in 10 persone, lui che era uno dei due o tre più grandi musicisti del '900.

Per terminare si è potuta ascoltare la V sinfonia di Beethoven.
Beethoven la scrisse sostanzialmente tra il 1806 e il 1807 e la presentò al pubblico nella storica accademia del 22 dicembre 1808. Le bozze dimostrano che tutte le volte che Beethoven tornò su questa composizione lo fece per sottrarre non per aggiungere, arrivando così al massimo della concentrazione dove nessuna nota potrebbe essere tolta o aggiunta senza alterare l'equilibrio perfetto della composizione. Dai suoi contemporanei la sinfonia fu omologata al romanticismo mentre in realtà è una delle massime manifestazioni del razionalismo e dell'idealismo classico. Tutto nasce dal famoso motivo iniziale in levare del primo movimento che circola in vaie composizioni dello stesso periodo ma mai come in questa sinfonia diventa il cardine e il motore dello sviluppo musicale, portato avanti con una inventiva e una logica assoluta, di tutta la sinfonia. La sinfonia, che appartiene in pieno al periodo eroico di Beethoven, ha un andamento quasi militaresco anche nel secondo movimento in cui si alternano momenti di raccoglimento e di profonda umanità a momenti imponenti e grandiosi, dei veri e propri inni che non riescono mai ad affermarsi pienamente. Lo scherzo è oscuro e fosco, trasmette un'inquietudine che diventa alla fine vera e propria oscurità nel macabro e grottesco ponte che porta al radioso finale, uno dei più travolgenti finali sinfonici di tutta la storia della musica, anzi, il più incredibile finale sinfonico, un finale che travolge tutto quanto di negativo l'aveva preceduto. Beethoven è veramente capace di farci compiere il percorso che dal dolore e dalla consapevolezza della nostra mortalità ci porta verso la luce della gioia più umana ed esaltante!
Naturalmente tutti i più grandi direttori d'orchestra si sono misurati con questa musica ma credo che nessuno lo abbia fatto meglio di Furtwaengler.
Le esecuzioni di Morlot, giovane direttore, sono state in genere molto buone ma poco intense. Lo si è avvertito subito all'inizio della sinfonia de "La forza del destino" dove i tre accordi iniziali e la pausa seguente non avevano quella tensione che ci si potrebbe aspettare. Anche nel primo tempo della sinfonia di Beethoven tutto era a posto ma con un lieve deficit di intensità; la stessa cosa è accaduta nel ponte che porta da III al IV movimento che non era abbastanza scuro e soffocato per cui l'effetto grandioso del passaggio al IV movimento non è stato così imponente ed esaltante come dovrebbe essere e anche la coda finale non è arrivata allo scatenamento folle a cui dovrebbe arrivare; però è veramente molto difficile riuscirci. Comunque ha fatto suonare molto bene l'orchestra, anche Bartok è stato molto bello, che ha risposto con grande impegno e virtuosismo. Al primo violino Nicolai Freiherr von Dellingshausen, che da quando Eriko è andata via, si alterna validamente con il primo violino Luca Santaniello.

giovedì 4 marzo 2010

Stagione 2009/10 - La Verdi barocca - V


Nel programma musiche di Vivaldi e Haydn.
Di Vivaldi è stato eseguito lo Stabat Mater RV 621. Non è chiaro quando sia stato scritto, probabilmente nel periodo 1713/1719 anche se altre ricerche portano a ritenere che sia del 1712 e che sia stato scritto da Vivaldi a seguito di una commissione proveniente da Brescia della quale si è trovato il pagamento nei registri della basilica. E' una composizione in otto parti con Amen finale dove i numeri 1, 2 e 3 sono identici, musicalmente ai numeri 4, 5 e 6. Composizione severa che abbandona i fasti tipicamente vivaldiani, autore che soffre ancora troppo della fama di autore solo di concerti mentre in realtà scrisse anche un gran numero di opere vocali per il teatro e per la chiesa.
Grandissima esecuzione del contralto Sonia Prina, che brilla per la gran voce e per la grande simpatia.
Nella seconda parte, di Haydn sono state eseguite le "Le sette ultime parole del nostro Redentore sulla Croce". Questa composizione fu scritta da Haydn, probabilmente nel 1786, a seguito di una commissione della cattedrale di Cadice. In quella cattedrale il Venerdì Santo si oscurava la chiesa che restava illuminata solo da alcuni ceri. Il vescovo leggeva le ultime sette parole di Gesù Cristo sulla croce lasciando lo spazio tra una frase e l'altra per un momento di meditazione. Haydn quindi compose sette adagi strumentali, uno per ogni frase, da suonarsi dopo l'enunciazione delle frasi facendoli precedere da una introduzione e seguire da una descrizione del terremoto che sconvolge il Golgota dopo la morte di Cristo. Si tratta di una composizione di grandissima ispirazione e grandissima e sublime bellezza, come ad esempio nella seconda parte dopo l'introduzione, dovendo ispirare al fedele sentimenti di commiserazione, pietà, speranza. Haydn medesimo ne realizzò successivamente un adattamento per quartetto d'archi. Esiste anche una versione pianistica non di Haydn ma da lui approvata. Qualche anno dopo la composizione, passando da Passau, ascoltò la composizione a cui il Kapellmeister locale aveva adattato un testo. L'idea gli piacque e così, aiutato dal barone von Swieten, colui cha aveva avvicinato Mozart a Bach e che indusse Haydn a rivitalizzare il genere dell'Oratorio diventandone il librettista per "La Creazione" e "Le Stagioni" (al barone Beethoven dedicò la prima sinfonia), adattò un testo in schietto stile pietista alle melodie della sua musica. Personalmente continuo a preferire la versione puramente strumentale perchè permette di godere meglio della purezza di questa musica anche se l'aggiunta del coro in vari momenti è assai suggestiva, ad esempio nel terremoto finale.
Bella e franca esecuzione da parte dell'ensemble de la Verdi barocca rinforzato per l'occasione di corni, trombe, tromboni, clarinetti e timpani.
Grande coro che nonostante sia formato solo da 16 coristi sviluppa un volume sonoro veramente imponente ma che è capace anche di grandi morbidezze e di momenti di grande interiorità.