sabato 23 febbraio 2013

Il Requiem di Maderna

Oggi alla lezione su Bruno Maderna una grande sorpresa. Il Requiem che Maderna scrisse nel 1946 e di cui si persero completamente le tracce. Si sapeva che esisteva perché Nono si ricordava di questo Requiem ma non si sapeva dove fosse finito. Poi fu ritrovato nel 2007, 61 anni dopo la composizione, in Pennsylvania e fu eseguito a Venezia nel novembre del 2009, 63 anni dopo la composizione e 36 anni dopo la morte di Maderna. 
Già da quest'opera molto giovanile emerge in modo clamoroso la bravura di Maderna nella scrittura per coro, eredità della gran tradizione tutta veneziana (Gabrieli). 
Il video che segue riproduce l'audio della prima esecuzione del 2009.



venerdì 22 febbraio 2013

Bruno Maderna

Domani alla Scuola di Musica del Garda, a Desenzano, ci sarà il terzo appuntamento di nove sulla musica contemporanea, una serie di lezioni tenute da Carlo Boccadoro.
Le prime due lezioni, su John Cage e Luciano Berio, erano cadute in dicembre e in gennaio.
La lezione di domani riguarderà Bruno Maderna. Poi seguiranno Stockhausen, Ligeti, Henze, minimalisti (Glass e Reich) e post-minimalisti.
Bruno Maderna mi è molto caro sia come compositore (ricordo quando alla fine degli anni '60 ascoltavo certe sue musiche alla radio, ad esempio i concerti per oboe con Lothar Faber) sia come direttore d'orchestra (ricordo come fosse ora una sua IX di Mahler alla Scala, credo nel 1969).
Bruno Maderna purtroppo morì troppo giovane.
Mi piacciono questi incontri che sono piuttosto informali anche se molto rigorosi nel loro svolgimento.
Certamente ci vorrebbe più tempo ma con gli spunti, le idee e le suggestioni che vengono proposti c'è da lavorare un bel po'.
Questi incontri mi piacciono anche per la levataccia che devo fare per prendere il treno alle 8 in modo da arrivare a Desenzano un'ora dopo dove viene a prenderci (me e Boccadoro che prende anche lui il treno) mio cugino Gigi, animatore, organizzatore e quant'altro nella scuola.
I ritorni a Milano sono precipitosi perché nel secondo pomeriggio dei sabati ho un'impegno fisso con delle allieve che mi attendono pazientemente ma dove arrivo quasi in tempo, puntualità del treno permettendo, cosa che non è per niente scontata, anzi, finora su due viaggi di ritorno, due ritardi di 30 minuti.
Ferrovie italiane!!!

Vivaldi vs Piazzolla

Ieri sera la violinista Natasha Korsakova con gli archi dell'orchestra Verdi diretti da Jader Bignamini hanno impaginato un concerto che in un certo senso è diventato un classico con l'esecuzione delle Quattro Stagioni (1723) di Antonio Lucio Vivaldi e le Quatro Estaciones Porteñas (1965/1970) di Astor Piazzolla.
Le stagioni sono state eseguite seguendone la contemporaneità. Quindi la primavera di Vivaldi è stata seguita dall'autunno argentino, ecc.
Le stagioni di Vivaldi, che appartengono alla sua opera 8, sono universalmente conosciute. Certamente si tratta di musica descrittiva, come molti altri concerti di Vivaldi, basata su sonetti di cui segue alla lettera il testo, però questa imitazione più che altro è suggerita, considerando anche gli scarsi mezzi a disposizione di Vivaldi. Può benissimo essere che il finale dell'Estate rappresenti un temporale estivo ma potrebbe essere tranquillamente visto come un semplice presto posto alla fine di un concerto; in altre parti invece si apprezza un reale intento descrittivo e narrativo. Tornando al descrittivo non credo che i pochi mezzi di Vivaldi siano una limitazione. Il temporale alla fine dell'Estate ha un impatto emotivamente tremendo, come l'avrà la tempesta della Pastorale di Beethoven, realmente terrificante nella semplicità dei mezzi impiegati, mentre invece le straussiane imitazioni della natura nella sua sinfonia delle Alpi scivoleranno via senza un fremito pur nel vuoto baccano dell'ipertrofica orchestra.
Le quattro stagioni di Piazzolla sono molto più urbane, riguardano Buenos Aires. Dopo la morte di Piazzolla sono stati riorchestrati per violino e archi dal compositore russo Leonid Desyatnikov con inserti dalle stagioni di Vivaldi (Autunno, Inverno, Primavera, Estate).
L'accostamento tra Vivaldi e Piazzolla è sicuramente ardito ma molto eccitante perché fa un certo effetto ascoltare la scatenata orchestra di Piazzolla, con i suoi giri di tango, pochi secondi dopo l'altrettanto scatenata orchestra di Vivaldi e qui si deve dire che gli archi dell'orchestra Verdi hanno dato una prova davvero ottima per compattezza, bellezza di suono e reattività (ci sarebbero in realtà anche molti altri aggettivi da utilizzare) sotto l'impeccabile direzione di Jader Bignamini che ha diretto tutto a memoria, come sempre, del resto.
Jader Bignamini si sta rivelando come una delle realtà più belle nel campo della direzione d'orchestra. Ha carisma, un bel gesto molto plastico, che rende l'idea del suono che l'orchestra produce, e concerta molto bene, in modo molto chiaro. Personalmente ne ho avuto sempre un'ottima impressione in tutte le occasioni in cui l'ho sentito.
Natasha Korsakova, pronipote del grande Nicolai Rimskij-Korsakov, è una gran violinista. Mancava da un po' in Auditorium e l'ho trovata in piena forma, a parte il fatto che è una bellissima donna e che il vestito di ieri sera, nero con vistoso spacco, la valorizzava in pieno. Ma, a parte questo, è veramente brava. Ha superato lo scoglio veramente impervio di Vivaldi con grande bravura, senza fare grandi invenzioni barocche, ma raccontando bene quanto accadeva, e in Piazzolla è stata sbarazzina e divertita al punto giusto. Mi piace molto questa violinista che suona con la giusta concentrazione ma anche divertendosi. Lo si vede dal suo volto molto spesso sorridente. Mi dicono inoltre che è pure molto simpatica di persona, qualità questa piuttosto rara tra i musicisti sempre e perennemente concentrati solo ed esclusivamente sulla propria arte e portatori spesso di una suscettibilità e di un narcisismo fastidioso ed eccessivo.
Belle esecuzioni, con due bis, Vivaldi e Bach, salutate da un Auditorium tutto esaurito (ma con qualche posto libero), e che sarà esaurito anche nelle due repliche, con un grandissimo successo e applausi a grandine. Ad essere obiettivi, un vero trionfo.

sabato 16 febbraio 2013

Gidon Kremer e la Kremerata Baltica

Fantastico concerto ieri sera di Gidon Kremer con la Kremerata baltica al Conservatorio per le Serate Musicali.
I concerti di Kremer sono sempre piuttosto originali nella scelta dei pezzi e questo non ha certo deluso le attese con una serie di pezzi in prima esecuzione a Milano.
Avevo già sentito l'anno scorso Kremer e la Kremerata e mi aveva fatto un'ottima impressione ma questa volta sono andati oltre con un concerto straordinario.
Il filo conduttore era quello delle stagioni.
Quindi abbiamo avuto l'esecuzione del secondo concerto per violino, archi e sintetizzatore di Philip Glass "The american four Seasons" costruito in otto parti che si susseguono senza soluzione di continuità: un Prologo e quattro movimenti, che rappresentano le stagioni, intervallati da tre songs per violino solo. I quattro movimenti non sono intitolati con i nomi delle stagioni, per cui possono essere associati liberamente ad esse. Del resto Glass ha dato come indicazione del luogo di composizione San Diego, un posto dove le stagioni non sono molto differenziate tra loro. Si tratta di un brano piuttosto lungo, di grande atmosfera, senza un attimo di cedimento, che personalmente mi ha prodotto uno stato d'animo di grande beatitudine diviso tra l'estasi della prima parte e l'eccitatazione del finale passando attraverso fantastiche atmosfere create con mezzi minimi. Assolutamente fantastica l'esecuzione salutata da un'autentica ovazione.
La seconda parte del concerto si è aperta con l'Estate di Vivaldi in una rivisitazione del percussionista del gruppo, Andrei Pushkarev, per vibrafono e archi. Interessante in alcune parti, soprattutto alcune dei primi due movimenti. Ad esempio sul finire del primo tempo quello che in Vivaldi è un assolo del violino è diventato una variazione per vibrafono accompagnato dal pizzicato di un contrabbasso, come in un brano jazz. Di grande atmosfera.
Sono seguiti poi un gruppo di pezzi, suonati uno di seguito all'altro, scritti per Kremer e la Kremerata da vari autori: Leonid Desyatnikov con due pezzi da Russian Seasons, Dobrinka Tabakova con Dawn da Sun Tryptich, Ciaikovskij/Raskatov con tre pezzi da The Season Digest, Georges Pelecis e il suo Flowering Jasmin, per violino, vibrafono e archi, un brano di grandissima atmosfera e suggestione che unisce un certo gusto minimalista con la propensione nordica alla melodia, che adoro, che possedeva ad esempio Sibelius, come nella Canzonetta op. 62a, e che tanto era apprezzato anche da Stravinskij, e per finire Piazzolla con Verano Porteno dalle Quattro stagioni a Buenos Aires.
Il tutto è stato salutato da un grandissimo successo dal pubblico del conservatorio che riempiva quasi tutta la grande sala.
Personalmente questo concerto mi ha lasciato del tutto soddisfatto perché, a parte il livello delle esecuzioni, vi ho trovato una quasi totale corrispondenza con certi miei gusti musicali attuali.
 a differenza del concerto di lunedì fatto da Giovanni Sollima dove si alternavano cose interessanti ad cose piuttosto risibili.
Per finire vorrei ricordare che Kremer suona un violino Nicola Amati del 1641. Quando quel violino fu costruito era ancora vivo Monteverdi che sarebbe scomparso due anni dopo.

venerdì 15 febbraio 2013

John Axelrod alle prese con donne di un certo fascino

Ieri sera per il ventiduesimo concerto della stagione dell'orchestra Verdi John Axelrod ha presentato alcune musiche che in un modo o nell'altro si ispirano a donne.
Il primo brano era la Meditazione e danza della vendetta di Medea, op. 23a di Samuel Barber, nato come un balletto per Martha Graham nel 1945; successivamente rielaborato in una suite per orchestra, nel 1955 Barber focalizzò l'attenzione su Medea sintetizzando il materiale in questo brano che fu tenuto a battesimo dal grandissimo Dimitri Mitropoulos a New York nel 1956. Barber è universalmente noto per il famoso Adagio per archi ma del resto della sua produzione, almeno in Italia, se ne sa poco, per cui non si conosce molto questo raffinato autore ed è stato un piacere poter ascoltare questo bel brano, suonato dall'orchestra e diretto benissimo da John Axelrod.
Seguiva la Danza dei sette veli dalla Salome di Richard Strauss, un brano del 1905. Fu l'ultimo brano che Strauss scrisse per la Salome e secondo me non è all'altezza dell'opera con il suo esotismo da turista bavarese in vacanza. La stessa immagine di Salome che mi si forma nella mente non è quella di una flessuosa e maliziosa ragazza ma quella di una ragazzona un po' troppo in carne a causa dei troppi wurstel bianchi mangiati con la senape dolce e annaffiati da troppe birre. Comunque grande esecuzione da parte dell'orchestra.
La prima parte del concerto è terminata con la Danza rituale del fuoco da El amor brujo di Manuel De Falla, autore poco prolifico ma raffinatissimo. Brano strafamoso che però andrebbe sentito nell'insieme del lavoro a cui appartiene.
Il concerto è terminato con Sheherazade op. 35 di Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov, scritto nel 1888 praticamente in contemporanea con altre due pagine orchestrali molto famose, La grande pasqua russa, op. 36, e il Capriccio espagnol, op. 34 del 1887, tre occasioni per scrivere altrettante composizioni dai colori sgargianti, tre manuali viventi di orchestrazione che saranno pure, come le ha definite un dottissimo studioso, "cime luminose del kitsch musicale europeo", ma che personalmente ho sempre trovato assolutamente godibili. E' interessante, ad esempio, vedere come l'orchestra di Rimskij-Korsakov, che a parte l'aggiunta dell'arpa e di alcune percussioni sostanzialmente è uguale all'orchestra di Brahms, suoni in modo completamente diverso andando in una direzione che porterà al primo Stravinskij che di Rimskij-Korsakov sarà allievo e che porterà alle estreme conseguenze l'insegnamento del suo maestro. Si sbaglierebbe però a pensare che Sheherazade sia un brano con il quale Rimskij-Korsakov sfoggia soltanto la sua abilità di orchestratore. In realtà egli utilizza la sua abilità per costruire un brano in cui l'orchestrazione sempre mutevole diventa espressione e sentimento arrivando anche a momenti di grande emozione come nel finale in cui il violino, che rappresenta Sheherazade, viene avvolto dal tema del sultano con cui, minacciosamente, si era aperta l'opera, che alla fine è placato, dolce, colmo di un pieno sentimento amoroso e tutto questo viene realizzato semplicemente con i colori dell'orchestra.
L'esecuzione data da John Axelrod è stata splendida, ottimamente concertata e condotta con una chiarezza d'idee e una capacità di coinvolgimento dell'orchestra assolutamente notevole. Il risultato è stato che l'orchestra lo ha seguito in modo assai encomiabile sia nei singoli (tutte le prime parti, il flauto di Massimiliano Crepaldi, l'oboe di Luca Stocco, il clarinetto di Fausto Ghiazza, il fagotto di Andrea Magnani, il corno di Giuseppe Amatulli, tutti i restanti fiati, le percussioni, l'arpa di Elena Piva e naturalmente il primo violino di Luca Santaniello, con qualche piccola pecca), sia nell'insieme.
Un grande concerto quindi dall'inizio alla fine.

giovedì 14 febbraio 2013

Vivaldi e Bach a confronto

Programma piuttosto impegnativo ieri sera per l'orchestra della Verdi barocca con musiche di Bach e Vivaldi.
Di Bach sono state eseguite le quattro Suite orchestrali, BWV 1066/1069 (nel video la seconda suite inizia al minuto 27:30, la terza al minuto 54:25, la quarta al minuto 1:20:45) che Bach compose in un periodo piuttosto lungo, prima del 1725 la prima suite BWV 1066, il 1738/39 la seconda BWV 1067, attorno al 1730 la terza BWV 1068 e il 1725, con aggiunte successive, la quarta BWV 1069, dal momento che il primo tempo di questa suite divenne la base per la cantata del Natale 1725 Unser Mund sei von Lachens, BWV 110. Il genere della suite nasce probabilmente dagli estratti di opere e balletti francesi e si presenta con un'ampia ouverure seguita da un insieme di danze. Il genere divenne molto popolare anche in Germania tanto che di Telemann, probabilmente il più prolifico autore di tutti i tempi, ne sono sopravvissute 135 che rappresentano solo una parte di quelle che egli scrisse.
Bach ne scrisse solo quattro (una quinta BWV 1070 è considerata spuria ed opera probabilmente di suo figlio Wilhelm Friedemann Bach) in un periodo piuttosto lungo e quindi non furono concepite come un insieme unitario. Gli organici sono differenziati tra le varie suite e si va dallo splendore della terza, che contiene la famosissima Aria scritta però per soli archi, e quarta suite che prevedono oboi, trombe e timpani, all'intimità della seconda con il flauto traverso e i soli archi.
Di Vivaldi sono stati invece eseguiti due concerti per viola d'amore, quello in Re maggiore RV 392 e quello in re minore RV 540 che prevede anche la presenza di un liuto.
Stravinskij di Vivaldi disse più o meno che aveva scritto 500 volte lo stesso concerto. Da un certo punto di vista non aveva torto senza considerare però quale e che varietà di concerti Vivaldi ha scritto, per quanti strumenti solisti e immettendo nella forma del concerto musica sempre molto interessante e di grande livello. Certo non si può dire che siano tutti dei capolavori ma è indubbio che nel loro insieme costituiscano un caleidoscopio irrinunciabile della musica barocca. Questi due concerti per viola d'amore, uno strumento assolutamente affascinante, ne sono stati, nella loro diversità, una prova evidente. E' stato molto interessante anche il confronto con Bach, tra la musica più autenticamente italiana e quella tedesca, anche se con influenze francesi e italiane evidenti, scritta da un autore, Bach, estremamente strutturato, solido come la roccia ma anch'esso con una vena di follia e di puro divertimento che ne fanno, non il noioso e pedante compositore che quando ero più giovane mi volevano far credere che fosse, ma uno dei più eccitanti compositori che siano mai nati, un compositore assolutamente moderno e sempre da scoprire e riscoprire.
Le esecuzioni, dirette da Ruben Jais, sono state in genere molto buone. Forse in Bach, in qualche danza, una tacca in più di metronomo non avrebbe guastato per rendere più vigorosa e scattante la musica ma nell'insieme tutto ha funzionato piuttosto bene.
Le esecuzioni di Vivaldi sono state splendide, in particolare quella del concerto in Re maggiore RV 392 che prevedeva come solista la prima viola dell'orchestra sinfonica, Gabriele Mugnai, che ne ha dato, assieme a Ruben Jais, un'esecuzione molto originale ed energica.
Molto pubblico con la platea quasi piena e grande successo anche per tutti i solisti, oltre a Gabriele Mugnai, Claudio Andriani, prima viole dell'orchestra barocca, e Giangicomo Pinardi, liuto, che hanno suonato nel concerto di Vivaldi RV 540 e Francesca Torri, primo flauto dell'orchestra barocca, che ha ben ben suonato nella difficile seconda suite bachiana.

martedì 12 febbraio 2013

While my guitar gently weeps

George Harrison è sempre stato un po' sottovalutato rispetto alla coppia Lennon-McCartney quasi fosse un'immagine un po' sbiadita.
 
In realtà aveva molto da dire, e questa While my guitar gently weeps lo dimostra ampiamente.


Follie, follie...

Molte sono le versioni del La Follia, da Diego Ortiz ad Arcangelo Corelli, da Marin Marais a Luis Venegas de Henestrosa.
A riguardo c'è un bellissimo CD di Savall.
A me piace moltissimo la versione di Antonio Vivaldi che costituisce la XII Sonata della sua Opera Prima.
Un'autentica follia, eseguita qui in modo supremo da uno dei più grandi maestri del violino barocco, Stefano Montanari.

venerdì 8 febbraio 2013

Con John Axelrod cambia la musica

Dopo il concerto della scorsa settimana dedicato a Dvorak e diretto da Aldo Ceccato, condotto con esiti incerti e piuttosto modesti, questa settimana arriva sul podio della Verdi il texano John Axelrod e la musica cambia decisamente. Axelrod infatti è un direttore dal gesto chiaro e sicuro che si traduce nella chiarezza della concertazione delle musiche che dirige.
Ieri sera il programma prevedeva l'esecuzione della IV sinfonia di Beethoven e della IV sinfonia di Brahms. Due quarte, quindi, che hanno due collocazioni completamente diverse nelle produzioni dei relativi autori.
La IV sinfonia di Beethoven op. 60 risale al 1806 e si colloca tra due sinfonie di grandissimo impegno, ovvero la terza sinfonia "Eroica" op. 55 e la quinta op. 67. Però la quarta si colloca anche in un periodo in cui Beethoven produce tantissima musica che costituisce il nucleo del suo periodo eroico, quello che più tipicamente si definisce beethoveniano, con il triplo concerto op. 56, la sonata "Appassionata" op. 57, il quarto concerto per pianoforte op. 58, i tre quartetti Rasumowsky op. 59, il concerto per violino op. 61, l'ouverture "Coriolano" op. 62, la sesta sinfonia "Pastorale" op 68, ecc.
La quarta sinfonia ha sempre un po' sofferto della vicinanza con due sinfonie con la terza e la quinta ma non è per niente trascurabile o da sottovalutare. Si tratta di una splendida sinfonia, con una grande orchestrazione, una sinfonia piena di brio e con momenti di altissimo virtuosismo orchestrale.
L'esecuzione di Axelrod, francamente, mi ha lasciato un po' perplesso per la resa generale e per alcune scelte esecutive discutibili. Nel primo tempo, ad esempio, il secondo tema è stato eseguito con un vistoso rallentamento del tempo e con una successiva accellerazione si è tornati al tempo originale dell'allegro. Lasciamo perdere la questione dei metronomi, ma in quel punto non c'è traccia di rallentandi che non rientrano nella poetica beethoveniana. Il secondo movimento è stato troppo estenuato. Meglio lo scherzo e il finale anche se non fulminanti.
Con la quarta sinfonia in mi minore op. 98 Brahms concludeva la sua avventura sinfonica. Questa sinfonia si colloca quindi all'apice estremo della sua musica dove Brahms, al culmine della sua maturità e della scienza musicale, realizza un brano di grande compattezza con  un materiale minimo come nel primo movimento, tutto costruito su un intervallo di terza discendente. Il finale è una passacaglia basata sullo stesso basso, con una piccola variante, del movimento finale, una ciaccona, di una cantata giovanile di Bach (min. 12.20), BWV 150, dove Brahms con infinita sapienza e fantasia varia il tema fino alla conclusione. 
Nell'esecuzione di Brahms da parte di Axelrod ho apprezzato molto la chiarezza con cui è stata proposta la sinfonia, cosa non facile, sia nei momenti più concitati, come i finali del primo e del quarto movimento, sia in quelli dalle sonorità più sottili, come il magnifico secondo movimento. Complessivamente quindi si è trattato di una bella esecuzione dai toni forse un po' troppo sommessi e autunnali.
L'esecuzione è stata registrata da una casa discografica per la realizzazione di due CD dedicati alle sinfonie di Brahms. Sentiremo poi i CD, conscio del fatto che dal vivo la musica fa un effetto del tutto diverso, nel bene e nel male.
Pubblico discreto e plaudente.

martedì 5 febbraio 2013

Andrea Barca in concerto

Ieri sera per le Serate musicali Andras Schiff e la violinista Yuuko Shiokawa, che è sua moglie, hanno tenuto un concerto al Conservatorio con musiche di Bach, Beethoven, Debussy e Mozart.
Di Bach è stata eseguita la magnifica IV sonata BWV 1017, di Beethoven la giovanile terza sonata dell'opera 12, risalente al 1797/1798 e dedicata a Salieri, mozartiana quanto basta ma opera di un giovanotto che stava cominciando a mettere a soqquadro i salotti e la vita musicale di Vienna, di Debussy la stupenda Sonata per violino e pianoforte, la sua ultima opera completata nel 1917, terza di sei sonate per ensemble diversi che non potè completare per la sopraggiunta malattia che l'avrebbe portato alla morte nel 1918, e di Mozart la sonata KV 454, un'opera viennese del 1784.
Le esecuzioni sono state tecnicamente impeccabili. Tutto molto ben suonato. A cercare il pelo nell'uovo Schiff ha sbagliato una nota all'inizio del secondo tempo della sonata di Beethoven, in un punto piuttosto semplice: anche lui è umano!
Dal punto di vista delle interpretazioni invece ho trovato che tutto sia stato suonato in modo troppo uniforme. Ne è venuto fuori un Bach molto classico, marmorizzato, che potrebbe forse essere anche accettabile ma che non aveva nulla della creatività barocca che si deve cercare di realizzare quando si esegue questa musica, vedi il violino di Stefano Montanari. Dove il discorso ha funzionato decisamente meno è stato in Beethoven ma anche in Mozart e Debussy. Lo si è visto molto bene anche nel bis, il primo movimento della sonata op. 24 "Primavera" di Beethoven. L'arabesco iniziale del violino ripreso dal pianoforte è stato magnifico ma quando è arrivato il secondo tema dove il violino si impenna e la musica si agita non ci si accorgeva quasi del cambio di passo dal momento che le sonorità non erano mutate di molto ma soprattutto mancava un'esecuzione che desse vera vita a quella musica.
Schiff, naturalmente, è un grandissimo pianista (amo moltissimo il suo Schubert ma non altrettanto il suo Beethoven), in possesso di un bellissimo suono, fin troppo, verrebbe da dire tando da sfiorare talvolta il lezioso, ma non penso che andrò ancora a sentirlo se dovesse tornare a suonare a Milano con la moglie.
Pubblico molto numeroso e buon successo.

domenica 3 febbraio 2013

Va vecchio John...

In questi giorni alla Scala ci sono le ultime repliche del Falstaff di Giuseppe Verdi. Ieri sera sono andato a vederlo e questo è stato per me un avvenimento perchè non vedevo un'opera dal vivo alla Scala da 30 anni.
Avevo già visto il Falstaff nel 1980 con la regia di Strehler e diretto da Lorin Maazel, con la Freni, mi sembra, e Juan Pons ed era uno spettacolo bellissimo, ambientato nella pianura lombarda.
La realizzazione presentata quest'anno è una coproduzione con la Royal Opera House, Covent Garden di Londra e ambienta l'opera in tempi più moderni ma con molto gusto. La regia, diRobert Carsen, è brillante ma sobria, direi piuttosto british, condotta con molta ironia e buon gusto. Le scene di Paul Steinberg semplici es essenziali. Lo spettacolo mi è sembrato quindi molto efficace con i movimenti scenici e la recitazione che non andavano mai contro la musica di Verdi. L'unico momento che non mi ha personalmente molto entusiasmato è stato quello della punizione di Falstaff nella foresta (Pizzica, pizzica, pungi, spiluzzica) che era un po' statica.
I cantanti mi sono sembrati mediamente molto buoni. Il protagonista era interpretato da Bryn Terfel che è stato molto autorevole. Molto brave le comari, Alice fatta da Carmen Giannattasio, sua figlia Nannetta fatta da Ekaterina Sadovnikova, Mrs. Quickly fatta da Marie-Nicole Lemieux e Meg fatta da Manuela Custer. Molto efficaci, ad anche ben interpretati, il Bardolfo di Riccardo Botta, il Pistola di Alessandro Guerzoni e il Dr. Cajus di Carlo Bosi. Buono anche il Fenton di Antonio Poli, con qualche piccola incrinatura mentre il Ford, alias Signor Fontana, di Massimo Cavalletti, che era alla sua prima recita, non mi ha particolarmente impressionato.
Dirigeva Daniel Harding che è stato quasi un interprete ideale per quest'opera così aerea, leggera, fatta di trasparenze ma che possiede anche momenti cupi e angosciosi che si risolvono però immediatamente. Gran direttore Harding, di una categoria superiore!
Amo profondamente il Falstaff da innumerevoli anni, da quando presi i dischi dell'edizione EMI diretta da Karajan (Gobbi, Panerai, Schwarkopf, Alva, Merriman, Fedora Barbieri, ecc.) a cui aggiunsi poi Toscanini e Bernstein con Fischer-Dieskau (!!!), e ieri sera ho ricevuto ancora da quest'opera un senso di profondo divertimento che nasce non solo dalla vicenda in sé, con le burle, le controburle, i travestimenti, la prosopopea del protagonista, i ridicoli piani di battaglia degli uomini, il cicaleccio delle comari, così genialmente realizzato musicalmente da Verdi, ma soprattutto, per me, dal piacere infinito di ascoltare questa musica così mobile, una musica che segue il testo con una precisione millimetrica piegandosi ad ogni inflessione della lingua, ad ogni parola. Bisogna essere veramente grati a Giuseppe Verdi, un italiano di cui possiamo andare molto fieri, che a 80 anni era capace di scrivere un capolavoro del genere pieno di vita e di ironia che ti aiuta a continuare a vivere, ma anche con una sottile vena di malinconia e di disillusione di fronte alla consapevolezza di una vita che sta per finire ma che è ancora in grado di dare qualche dolcezza.