giovedì 31 dicembre 2009

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 12


Beethoven scrisse la IX sinfonia tra il 1822 e il febbraio 1824.
È scritta per flauto piccolo, due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, timpani, triangolo, piatti e grancassa (per il finale), archi ed è dedicata al re Federico Guglielmo III di Prussia.
Dall’epoca della VII e VIII sinfonia, il 1812, passeranno 3 anni perché si trovino le prime idee che daranno origine alla sua IX sinfonia, ma diversi elementi fondamentali, sia musicali sia ideologici, risalgono ad un tempo molto anteriore.
In una lettera da Bonn del 23 gennaio 1793 scritta dal consigliere di stato Fischenisch a Charlotte Schiller, figlia del poeta, si legge: “Le accludo una composizione del Feuerfarb (Il colore del fuoco, scritta nel 1792 prima della partenza da Bonn e pubblicata poi nel 1805 come op. 52) e desidererei conoscere la sua opinione in proposito. È di un giovane di qui, i cui talenti musicali sono generalmente magnificati e che il principe elettore ha mandato or ora a Vienna a studiare con Haydn. Egli musicherà anche la Gioia di Schiller, strofa per strofa, m’attendo qualcosa di perfetto poiché, per quanto ne so, egli è del tutto portato verso ciò che è nobile e grande. D’altronde egli non si occupa di piccolezze, come quella che le accludo, composta soltanto per soddisfare il desiderio di una dama”.
Nel 1794/95 Beethoven scrisse un lied intitolato Seufzer einer Ungeliebten und Gegenliebe (Sospiro di un disarmato ed amore reciproco) con la forma di un Recitativo-Andantino-Allegretto; il tema di quest’ultimo allegretto è del tutto simile a quello della Fantasia Op. 80, evidente preannuncio della IX sinfonia.
Nel 1798/99 Beethoven scrive un frammento di canto per voce e pianoforte sul verso dell’Inno "An die Freude" “Muss ein lieder Vater wohnen” che troverà nella IX sinfonia la sua più grande realizzazione.
Tra il 1808 e il 1809, Beethoven scrive la Fantasia op. 80 per pianoforte, orchestra e coro dove viene ripreso e ampliato il tema del Gegenliebe del 1794/95, tema che ha una analogia abbastanza evidente con il tema della gioia del finale della IX sinfonia.
Nel 1815 Beethoven porta a termina l’ouverture in Do maggiore “per l’onomastico” pubblicata nel 1825 come op. 115; negli abbozzi del 1811 e 1812 alcuni motivi sono combinati con i primi versi dell’Inno "An die Freude" ma senza analogie musicali con la IX sinfonia.
A partire dal 1815 si cominciano a trovare nei suoi quaderni vari spunti musicali riconducibili alla IX sinfonia.
In un quaderno del 1815 usato per la sonata per violoncello e pianoforte op. 102 n. 2 si trova uno spunto di una fuga che diventerà poi il tema dello scherzo della IX.
In un quaderno successivo si trova lo stesso spunto con le seguenti parole: “Sinfonia al principio soltanto quattro voci; due violini, viola, violoncello, bassi in mezzo forte, con altre voci e se possibile lasciare entrare man mano ogni altro strumento” e lo stesso spunto si trova anche in un quaderno del 1817 assieme ad altre idee del primo movimento della IX assieme a spunti per la sonata per pianoforte op. 106.
Nella seconda metà del 1818 Beethoven scrive: “Adagio cantico. Canto religioso per una Sinfonia negli antichi modi: Herr Gott dich loben wir. Alleluia, in un modo indipendente o come introduzione ad una fuga. Forse in questa seconda maniera l’intera Seconda Sinfonia potrebbe essere caratterizzata con l’entrata delle voci nel Finale o già nell’Adagio. Decuplicare i violini nell’orchestra, ecc., per l’ultimo movimento. O l’Adagio sarà in qualche modo ripetuto negli ultimi pezzi in cui le voci poi entrano gradatamente. Nell’Adagio come testo un mito greco o un cantico di chiesa, nell’allegro festa a Bacco”.
L’accenno alla “secondo Sinfonia” si riferisce al fatto che, come risulta da una conversazione di Beethoven dell’estate 1822, nel 1818 egli aveva intenzione di scrivere due nuove sinfonie. La prima era destinata alla Società Filarmonica di Londra e doveva essere completamente strumentale; l’altra sinfonia, la tedesca, sarebbe stata concepita in funzione di un coro finale con un testo all’inizio non ben determinato ma che poi si concretizzò nell’ode alla gioia di Schiller. Beethoven successivamente fuse i due progetti in uno solo.
Dopo gli anni 1819/22, dedicati ad opere fondamentali come le ultime 3 sonate per pianoforte, la Missa solemnis e le variazioni Diabelli, dal 1822 Beethoven riprende i lavori per la IX sinfonia e vi si dedica quasi esclusivamente fino al 1824.
Tra l’estate e l’autunno del 1822 vengono portati avanti i lavori per il primo movimento e compaiono per la prima volta le parole e la musica dell’inno “An di Freude”. Nell’aprile 1823 il secondo movimento è tutto abbozzato, in ottobre 1823 l’adagio è terminato. Fra l’estate e l’autunno 1823 riprende a lavorare al finale la cui introduzione strumentale lo terrà occupato per quasi sei mesi.
Nel febbraio 1824 la sinfonia è terminata e verrà eseguita per la prima volta il 7 maggio dello stesso anno a Vienna, al teatro di Porta Corinzia.
In questa sinfonia Beethoven decise di compiere un gesto nuovo rispetto al passato, ovvero introdusse la parola nella sinfonia che era sempre stato un genere assolutamente strumentale e fece questo gesto per giungere, attraverso un lungo percorso, alla più grande esaltazione di un concetto altamente nobile ed universale come quello di fratellanza e di gioia, di bontà, di libertà e di umanità.
Però la sinfonia non deve essere intesa come un poema sinfonico o una cantata. I quattro movimenti della sinfonia sono connessi tra loro profondamente: i primi tre movimenti sono tragici, pieni di passione, fantastici, bizzarri, mutevoli contemplativi, affettuosi ed alla fine la voce umana interviene per risolvere tutto quanto lo ha preceduto nella gioia e nel tripudio.
Il risultato finale fu raggiunto da Beethoven dopo un lungo lavorio e molti tentativi e non sappiamo se la forma finale della sinfonia, soprattutto del finale, soddisfece mai del tutto Beethoven. Infatti il punto in cui la voce entra in gioco fu uno snodo molto difficile da risolvere per Beethoven. La voce umana sarebbe dovuta entrare per illuminare quanto era venuto prima nelle parti strumentali e nello stesso tempo doveva dare forma ad un ideale presente fin dall’inizio; inoltre non era facile trovare questo passaggio, anche dal punto di vista psicologico, tra la musica pura e la musica vocale, quasi una dichiarazione che la musica da sola non era più sufficiente e si doveva ricorrere alla parola anche correndo il rischio di risultare goffi e grossolani rispetto alla purezza della musica strumentale. Egli doveva trovare un modo per rendere necessario l'intervento della voce umana che altrimenti sarebbe risultata superflua e non giustificata. Era un passaggio difficile che sarà pieno di conseguenze per la musica successiva, perchè si carica esplicitamente la musica, arte priva di significati, di un significato preciso, e che sarà anche criticato da alcuni studiosi che di fronte al finale esprimeranno considerazioni non propriamente benevole considerando quanto Beethoven avesse tradito le ragioni della musica pura.
Il passaggio tra la musica strumentale e la parte vocale fu dunque caratterizzato da un lungo travaglio che è documentato da diverse bozze.
Sopra un preludio-recitativo al finale si trova una frase: “Non questo…. Ricordiamoci della nostra disperazione” che segna il passaggio dalla dolcezza dell’adagio al finale. Segue un passo strumentale tumultuoso simile a quello che attualmente introduce il finale a cui seguono le parole: “Oggi è un giorno solenne; che sia celebrato con il canto”. Dopo la ripresa del passaggio tumultuoso vengono citate le battute iniziali del primo movimento a cui segue il recitativo: “Oh no, non questo; qualche cosa di differente e di più piacevole è quello che io cerco”; a ciò segue il tema del secondo movimento, lo scherzo e il recitativo prosegue perentorio: “Neppure questo! Non è affatto meglio, ma soltanto più allegro”; a questo punto vengono riprese alcune battute del terzo movimento, l’adagio, interrotte dal recitativo: “Anche questo è troppo tenero; si deve cercare qualche cosa di più sveglio, come… vedrò io stesso di cantarvi qualche cosa, le voci non dovranno che seguirmi”; seguono alcune battute strumentali del tema della gioia a cui la voce risponde: “È questo! Infine l’abbiamo trovata. Gioia, bella scintilla di Dio…” che è già in una forma molto simile all’entrata del basso “O Freunde, nicht diese Töne…” della redazione definitiva.
Successivamente però Beethoven pensò ad una introduzione strumentale più breve con una entrata diretta del coro.
Nella versione definitiva, dopo l’introduzione tumultuosa e furiosa che crea un netto contrasto con l’adagio appena terminato, segue il recitativo strumentale dei violoncelli e contrabbassi ma, come scrive Beethoven, “Selon le caractère d’un Recitativ mais, in tempo” con le reminiscenze dei tempi precedenti tutte rifiutate e la germinazione del tema della gioia, prima solo accennato, poi sviluppato sempre più ampiamente che termina però ancora nel tumulto dell’inizio ed a questo punto, per mettere ordine, entra la voce del basso “O Freunde, nicht diese Töne! Sondern lasst uns angenehmere anstimmen, und freudenvollere!” (Amici, non questi suoni! Ma lasciate che intoniamo canti più graditi e gioiosi!) che sono le uniche parole rimaste tra le tante che Beethoven pensò a cui segue il vero e proprio inno schilleriano con l’entrata del coro sulla parola “Freude” (Gioia!).
Nel suo complesso la sinfonia ha dimensione inusitate e una qualità musicale nuova che risente di tutta l’evoluzione dell’arte beethoveniana.
Il primo movimento, “Allegro ma non troppo e un poco maestoso” inizia su un tremolo indistinto e misterioso su cui si staglia il frammento di due note (mi la la mi mi la ecc), che intensificandosi sempre di più porta all’entrata del tema vero e proprio, come una folgorazione, che definisce anche in modo inequivocabile la tonalità di re minore. È un tema che si presenta con una forza anche fisica impressionante e se mai esiste un tema di sinfonia questo è probabilmente il più grande. A questo tema risponde un tema più dolce e tutto lo sviluppo viene giocato sulla permutazione, trasposizione timbrica, dilatazione di frammenti di questi motivi. Il movimento nel suo complesso rispecchia ancora le proporzioni classiche della forma sonata ma tutto è ampliato, ingrandito, osservato ora da vicino, come con un microscopio, ora da lontano, in una serie di contrasti, abbattimenti, lotte e gesti tragici che raggiungono il loro culmine nella perorazione finale in cui il tema viene proiettato ad altezze di tragicità quasi fisicamente insostenibile.
Lo scherzo, “Molto vivace” è un turbine inarrestabile che esprime una forza inesauribile. È basato su un ritmo che si era già sentito nel primo tempo della VII sinfonia. È come un brulichio di forze che si esprimono danzando e che danno vita ad un turbine pieno di fantasia e di un umorismo anche un po’ grossolano che si placa nella più grande purezza del trio annunciato dal un fortissimo del trombone.
Il terzo movimento “Adagio molto e cantabile” vede una delle più grandi espansioni liriche di Beethoven che lo costruisce su due momenti distinti, l’adagio iniziale e un andante moderato da suonarsi un po’ più velocemente. Ogni volta che i due momenti si ripresentano Beethoven opera una espansione del materiale musicale che produce però contemporaneamente un effetto di approfondimento. Cioè la musica si espande e si approfondisce e interiorizza sempre di più. Questo effetto ricorda quanto accade in altri movimenti analoghi, come nel trio dell’arciduca, nei finali delle sonate op. 109 e 111, nel quartetto il la minore op. 132 o nel “Crucifixus” della Missa solemnis sulla parola “Passus”, tutti momenti musicali che appartengono alla più grande gloria dell'arte beethoveniana.
Il finale è tutto per aria, sollevato da terra, un lungo percorso che dall’invocazione iniziale di intonare nuovi suoni giunge al più totale scatenamento gioioso del prestissimo finale. Non è musica sempre bella e Beethoven ha scritto di meglio in altre occasioni ma Beethoven è sempre significativo e non possiamo sottrarci alla sua voce.
Ieri sera l’orchestra Verdi, come ogni anno, l’ha eseguita con il coro Verdi, il soprano Melena Juntunen, la mezzosoprano Maria Josè Montiel, il tenore Kornelius Jan Dusseljee e il basso Stephen Gadd sotto la direzione di Wayne Marshall.
Il quartetto vocale, una volta tanto, era molto buono con un tenore finalmente non asfittico come accade spesso di sentire; ottima l’entrata del basso e molto brave le due donne nelle variazioni iniziali del tema della gioia.
Coro impeccabilmente preparato da Erina Gamberoni e come al solito grande nella memoria di Romano Gandolfi.
Wayne Marshall, per sua stessa ammissione, non aveva mai diretto una sinfonia di Beethoven ed ha iniziato con questa IX. Detto che la concertazione era molto buona e chiara vorrei solo fare alcune osservazioni. Innanzitutto sui tempi utilizzati. Probabilmente questa è la IX di Beethoven più veloce che abbia mai sentito che è durata al massimo 60 minuti. Se si considera che l’ultimo Abbado si aggira sui 63 e Toscanini sui 66 si vede bene quanto Marshall sia stato rapido. Però non mi ha disturbato tanto la rapidità quanto la distribuzione dei tempi abbastanza indifferenziati. Ad esempio nell’adagio i due momenti, adagio-andante, era quasi simili dal momento che l’adagio era staccato ad un tempo un po’ troppo rapido. Il primo movimento è stato eseguito ad un tempo così rapido che la perentorietà della musica faticava un po’ a rendersi evidente ed inoltre questo tempo veniva tenuto sempre costante senza variazioni. L’entrata dell’inno alla gioia è stato preso a passo di carica quando invece, forse, sarebbe meglio, almeno partire ad un tempo più moderato per poi crescere man mano. Anche il “Seid umschlungen Millionen” (Andante maestoso) era un po’ troppo rapido per cui la solennità del momento ne faceva un po’ le spese e così pure il successivo “Adagio ma non troppo ma divoto” sulle parole “Ihr stürzt nieder, Millionen!”. Lo scherzo è stato ottimo ma il trio avrebbe bisogno di un tempo leggermente più moderato per dargli modo di respirare.
Oltre a ciò Marshall ha fatto suonare gli archi con pochissimo vibrato per cui, soprattutto i violini, avevano un suono come un filo e leggermente aspro. Niente di male, ma l’entrata dei violoncelli e contrabbassi nel finale ne ha risentito un po’ come pure la melodia nell’adagio.
Comunque, orchestra bravissima e grandissimo successo.
Tra le esecuzioni della IX a me personalmente piace in modo particolare quella degli anni ’60 diretta da Otto Klemperer, forse la più grande IX. Altre esecuzioni mi piacciono molto, Abbado, il compianto Sinopoli, Walter ma soprattutto quella di Furtwaengler, eseguita per le Berliner Festwochen il 6 settembre 1951, giorno in cui nasceva un bambino che da allora è cresciuto e che ha scritto queste brevi note su questo bellissimo brano musicale.
Buon anno a tutti!

PS
Le citazioni sono state tratte dal catalogo delle opere di Beethoven di Giovanni Biamonti (1968) e da antiche reminiscenze dell'analisi della IX fatta da Massimo Mila, allora su copia di dispensa universitaria ed ora su Einaudi, autore da rileggere.

mercoledì 23 dicembre 2009

Stagione 2009/10 - La Verdi barocca - II


Ieri sera bel concerto con il Messiah di Haendel. Il Messiah naturalmente è opera famosissima anche solo per il celeberrimo Halleluja che chiude la seconda parte.
Due anni or sono questo oratorio era già stato eseguito con l'orchestra e il coro "normali" diretti da Neville Marriner, grande specialista di questo repertorio britannico con il quale ha una profonda affinità dovuta alla sua frequentazione fin dalla prima giovinezza. Del resto questa è musica che per gli inglesi è connaturata alla loro stessa esistenza.
Quest'anno l'esecuzione è stata affidata alla neonata Verdi Barocca, complesso snello che si compone di un'orchestra che suona su strumenti originali o copie di strumenti originali e di un coro di una ventina di membri specializzati nel repertorio barocco ottimamenti diretti dal maestro Rubel Jais con la collaborazione dell'ottimo direttore del coro e organista Gianluca Capuano.
Di quest'opera esistono molte varianti perchè lo stesso Haendel adattò alcune parti alle circostanze esecutive, la disponibilità di un cantante particolare, la location, ecc. Del resto il Messiah fu da sempre un oratorio di grandissimo successo e venne riproposto in continuazione negli anni successivi alla prima di Dublino del 1742; subì anche varie trascrizioni con aggiunte di strumenti, lo fece anche Mozart, un po' come accadde poi alle opere di Rossini.
Questa esecuzione è stata fatta seguendo la lezione della prima esecuzione di Dublino del 1742 che prevede solo archi, due oboi, due trombe e timpani, questi ultimi utilizzati solo in un paio di occasioni.
L'uso di complessi così ridotti non è stato affatto uno svantaggio anzi ha permesso di valorizzare meglio la polifonia e l'articolazione delle parti, cosa che si perde un po' se ci si trova davanti un coro di 80 persone e un'orchestra proporzionalmente espansa con 50 archi che suonano con un bel vibrato degno di Schumann. Invece una quarantina tra suonatori e coristi sviluppano comunque un volume sonoro del tutto soddisfacente e ridanno a questa musica colori, dinamiche, chiarezza ed equilibrio. Inoltre si rende evidente a quale incredibile risultato arrivi Haendel utilizzando un ensemble così ridotto. Per dire che genio era Haendel si deve osservare che il Messiah fu scritto in 3 settimane.
I quattro cantanti erano ottimi. Del resto la soprano Sonya Yoncheva, la mezzosoprano Sonia Prina, il tenore Cyril Auvity e il basso Christian Senn hanno tutti cantato con gente del calibro di William Christie, Jordi Savall, Rinaldo Alessandrini e Jean-Christophe Spinosi affrontando il repertorio barocco da Vivaldi a Haendel a Purcell ma arrivando anche a Mozart e Rossini.
A me in particolare è piaciuta la soprano, veramente magistrale nell'articolazione delle parole nella combinazione con le tirate virtuosistiche di alcune arie veramente difficili come questa Rejoice Greatly, O Daughter of Zion e la mezzosoprano molto espressiva nella grande aria della seconda parte He Was Despised.
Fra tutti i brani del Messiah, senza fare torto a nessuno, a me piace soprattutto questo, il coro All we like Sheep.
Molto pubblico e grande successo per questi giovani che è giusto incoraggiare e gratificare con la nostra riconoscenza.

lunedì 21 dicembre 2009

Nevica


Nevica.
Strade bianche, marciapiedi bianchi, atmosfera ovattata, auto che passano silenziose, passi silenziosi, ricordi d'infanzia.
Peccato che ci sia Milano di mezzo.
Tangenziali bloccate, strade di uscita bloccate, circonvallazioni bloccate, vie laterali (quasi) bloccate, auto ovunque e mezzi pubblici di conseguenza in grandissima difficoltà, marciapiedi trasformati in sentieri di montagna.
Mezzi spalaneve, zero, spargisale, zero, strade impraticabili.
Su un tabellone a messaggi variabili, sono quei tabelloni forieri di messaggi del tipo "Attenzione piove, quidate con prudenza", c'era scritto: "Attenzione nevica, guidate con prudenza"; in effetti andavano tutti a 2 KM/h, più prudenti di così!

Concerto in Senato

Ieri mattina concerto in Senato con la Cherubini e Muti con Beethoven, V sinfonia e bis con la sinfonia del Don Pasquale di Donizetti. Finalmnete la musica, dopo la parentesi alleviana dello scorso anno, è tornata in quella sala tanto augusta.
Ciò che resta costante è la presenza incombente della Milly nazionale, onnipresente. Il problema della Milly è che parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla, parla... per non dire quasi nulla. L'anno scorso c'era Allevi e le devono aver detto che è un genio della musica classica-contemporanea e quindi giù con il genio di qui, il genio di lì, il genio di su, il genio di giù. Quest'anno c'era Beethoven, quindi sul fronte del genio non c'era tanto da insistere ma la sua V sinfonia, che cos'è? Chiaro, un vero e proprio inno all'ottimismo. Poi ha tenuto a dirci che le prime 4 note della sinfonia sono il destino che bussa alla porta, destino però sovvertito dall'ottimismo incoercibile del Beethoven stesso, che evidentemente era uno che vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno, ammesso che lo avanzasse. Italiani, siate ottimisti!

venerdì 18 dicembre 2009

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 11


In Questo concerto ancora musica russa!
Dichiaro subito di non amare il primo autore, Aleksandr Konstantinovich Glazunov (1865-1935). Ebbe un inizio folgorante con la prima sinfonia, scritta a 16 anni, con la quale ebbe un successo clamoroso che lo portò in giro per l'Europa, passando anche da Weimar in reverente omaggio a Liszt. Grandissimo orchestratore e in possesso di scienza musicale infinita, scriveva però, secondo me musica non interessante, formale, decorativa, sostanzialmente non sentita intimamente.
Ad esempio il primo brano, il Poème Lyrique Op. 12 del 1882 risente chiaramente dell'influenza di Ciaikovskij ma di Ciaikovskij non possiede la poesia dei suoi momenti migliori, più che altro è un'imitazione di Ciaikovskij.
Il brano successivo, il Concerto per sax contralto e archi, Op. 109, è una delle sue ultime composizioni, finito nel 1934; un'opera con venature neoclassiche basato su un'idea che ricorre per tutto il brano dall'inizio alla fine. Francamente non mi ha molto riscaldato, anche se il finale aveva una certa originalità.
Nella seconda parte finalmente un po' di musica! E' arrivato l'originale, ovvero Ciaikovskij con la strafamosa suite dello Schiaccianoci; non c'è voluto molto, è bastata la prima nota dei violini nell'Ouverture.
Da lì poi su su passando gustando tutti i bon bons musicali fino al walzer dei fiori, grandissimo walzer russo (preferisco i walzer alla russa a quelli viennesi) con l'inserimento, prima del walzer, del grande Passo a due. Sarebbe bello che il mondo si muovesse danzando un passo a due o un valzer di Ciaikovskij!
Quando si eseguono musiche così famose si corre sempre il rischio di risultare banali, invece il giovane maestro russo Evgeny Bushkov, direttore dell’Orchestra Sinfonica di Stato Novaya Rossiya a Mosca, un capellone stile Berlioz ai tempi della Sinfonia Fantastica, l'ha presa di petto e ne ha dato un'esecuzione vibrante e di grande personalità.
La giovane sassofonista Asya Fateyeva è bravissima; fisico da adolescente ma grande personalità e dominio dello strumento. Brava veramente!
Grande l'orchestra che ormai è una certezza per costanza di rendimento.
Al primo violino c'era Eriko Tsuchihashi, la nostra primo violino giapponese.

Regalo di Natale

Avendomi Elena fatto un regalo molto importante devo ricambiare anche se non credo possa essere eguagliato.
Ho pensato ad un lied di Schubert "Der König in Thule" D367.
La poesia di Goethe nacque nel gennaio 1774 ed è coeva alla stesura del primo Faust dove fu inserita nel 1775. Nella versione finale del Faust è contenuta nella scena ottava, “Sera”; Gretchen la canta mentre si sta spogliando per andare a letto sotto l’influsso del primo incontro con Faust.
Il lied fu composto all’inizio del 1816, Schubert aveva 19 anni.
Il lied fu pubblicato il 9 luglio 1821 come op. 5 n. 5 e dedicato al suo maestro Antonio Salieri, quel mite veronese, era di Legnago, che avrebbe avvelenato Mozart.
Il lied è in stile strofico dove le sei strofe sono raggruppate a coppie ed ha un tono arcaico da antica saga raccontata in una buia stanza; fondamentale è la prima sillaba, "Es" in levare che l'interprete intona prima dell'entrata del pianoforte che procede per accordi perfetti e importantissime sono le pause.
Una musica semplicissima enormemente evocativa.

Il testo di Goethe è il seguente:

Es war ein König in Thule,
Gar treu bis an das Grab,
Dem sterbend seine Buhle
Einen goldnen Becher gab.

Es ging ihm nichts darüber,
Er leert' ihn jeden Schmaus,
Die Augen gingen ihm über,
So oft er trank daraus.

Und als er kam zu sterben,
Zählt' er seine Städt' im Reich,
Gönnt' alles seinem Erben,
Den Becher nicht zugleich.

Er saß beim Königsmahle,
Die Ritter um ihn her,
Auf hohem Vätersaale,
Dort auf dem Schloß am Meer.

Dort stand der alte Zecher,
Trank letzte Lebensglut,
Und warf den heil'gen Becher
Hinunter in die Flut.

Er sah ihn stürzen, trinken
Und sinken tief ins Meer.
Die Augen täten ihm sinken
Trank nie einen Tropfen mehr.

Ovvero:

C’era un re in Thule,
fedele fino alla tomba,
morendo la sua amante
gli diede una coppa d’oro.

Nulla gli era più caro di quella,
ad ogni banchetto la vuotava,
gli occhi gli si riempivano di lacrime,
ogni volta che ci beveva.

E quando fu vicino a morire,
contò le sue città nel regno,
tutto lasciò al suo erede,
ma non la coppa.

Sedeva al banchetto reale,
i cavalieri attorno a lui,
nell’alta sala degli avi,
là nel castello sul mare.

Là stette il vecchio bevitore,
bevve l’ultimo ardore della vita,
e gettò la sacra coppagiù tra le onde.

La vide cadere, riempirsi
e sprofondare nel mare.
I suoi occhi si spensero
lui non bevve più un sorso.

Elena, tanti auguri per tutto quanto ti può capitare in futuro!

Ho scelto questa esecuzione con Elisabeth Söderström, grande soprano svedese recentemente purtroppo scomparsa, grande Melisande nel Pelleas di Debussy diretto da Boulez.

giovedì 17 dicembre 2009

Asya Fateyeva


Questa sera concerto in Auditorium con Asya Fateyeva, classe 1990, che esegue il concerto di Glazunov per sax e orchestra.
Non amo molto Glazunov ma sono molto curioso di ascoltare questa giovanissima musicista ucraina che ha fatto questa scelta inusuale o certamente meno usuale, per una donna, di un pianoforte, un oboe o un flauto.
Deve essere veramente tosta, del resto ha iniziato a suonare a 10 anni.

Georg Böhm

Georg Böhm (1661-1733) fu compositore ed organista tedesco. Dal 1698 fino alla morte fu organista della Johanneskirche a Lüneburg dove, nel 1700, soggiornò anche il giovane Johann Sebastian Bach che apprezzava molto la sua musica.
La sua più tipica composizione è la partita corale, ovvero un brano costruito come una serie di variazioni su un tema di corale; questa forma fu usata anche dal giovane Bach in composizioni analoghe quali quelle che vanno da BWV 766 a 771, tutte opere scritte nei primissimi anni del '700, quando Bach non aveva ancora vent'anni.
Di Georg Böhm mi piace in particolar modo il preludio corale "Vater unser im Himmelreich", ovvero il "Padre nostro" che esiste in due versioni, una piuttosto semplice ed un'altra ornata con un andamento quasi da improvvisazione.
Bella questa esecuzione di Menno van Delft sull'organo Arp Schnitger nella Jacobikerk a Uithuizen, in Olanda, bellissimo organo del 1700 recentemente restaurato.

martedì 15 dicembre 2009

Orchestra dell'Assunta in Vigentino


Nel 1993 A Milano l'orchestra della RAI chiuse i battenti e la stessa cosa accadde alla gloriosa orchestra dell'Angelicum, dove avevo ascoltato tanti bei concerti che talvolta vedevano anche la partecipazione dell'altrettanto glorioso coro della Polifonica Ambrosiana, fondato da Mons. Giuseppe Biella.
Alcuni musicisti che si ritrovarono a spasso ottennero accoglienza presso la chiesa milanese di Santa Maria Assunta in Vigentino, una chiesa del '500 a due passi da casa mia e così si organizzarono in una piccola orchestra d'archi.
La chiesa infatti ha il vantaggio di un'ottima acustica e il prete di allora era pure lui un musicista e pianista.
Da allora ogni anno, e siamo al XV, si producono in una piccola stagione di concerti che prevede circa 10 concerti all'anno a partire da ottobre con la cadenza di circa un concerto al mese.
Nel tempo i membri sono man mano cambiati ed ora accanto ad alcune teste imbiancate di anziani signori a cui piace ancora suonare siedono giovani alle prime armi che si fanno le ossa suonando insieme, ma c'è anche il commesso di un negozio di dischi del centro di Milano. L'attuale direttore è Paolo Volta.
Considerando l'organico a disposizione l'orchestra nelle sue stagioni ha girovagato soprattutto nel repertorio tra il '600 e il '700, da Corelli a Jommelli, da Sammartini a Paisiello, da Boccherini a Cimarosa, da Pergolesi a Durante, da Bach a Mozart e Haydn ma inoltrandosi anche nel repertorio ottocentesco e novecentesco.
Il concerto di ieri sera in questo senso è stato piuttosto paradigmatico dell'attività dell'orchestra allineando il VI brandeburghese di Bach, un concerto per violoncello di Nicolò Porpora, l'adagio per archi di Samuel Barber e il delizioso "Il natale dei bambini" op. 36, trascritto per archi, di Niels Gade, autore danese amico di Mendelssohn e Schumann che sul suo cognome (GADE corrisponde nella nomenclatura tedesca a Sol, La, Re, Mi) un branetto dell'album per la gioventù.
Pubblico numeroso come sempre e gente assiepata nelle cappelline laterali e su tutti i gradini esistenti.
E' molto bello andare a questi concerti dove ti capita di incontrare la vecchia maestra di tuo figlio, la commessa del supermercato, il giornalaio, il vicino di casa, il parrucchiere e dove lo sguardo può girovagare sulla bella e semplice architettura della chiesa, sul suo altare policromo sotto il quale si dispone l'orchestra, sugli stucchi e gli affreschi del soffitto che saranno prossimamente restaurati per farli tornare al loro antico stato con la speranza che sia restaurato anche il vecchio organo da troppi anni incolpevolmente silenzioso.

lunedì 14 dicembre 2009

Attentato!?

A proposito di quello che è successo ieri sera a SB.
L'attentatore è un malato in cura.
SB ha rischiato di essere ferito ben più seriamente o addirittura ucciso e ciò poteva accadere se l'attentatore fosse stato più lucido o determinato.
Il servizio di protezione del premier cosa faceva?
Possibile che non si accorga di uno che prende la mira?
Detto questo sento vari politici di tutte le parti lanciarsi in accuse reciproche.
In questo modo il mondo politico italiano assomiglia sempre di più all'agone calcistico dove ci si insulta bellamente tra opposte fazioni e i giornalisti non fanno quasi nulla per moderare i termini tranne poi, quando succede qualcosa di grave o ci scappa il morto, versare lacrime di coccodrillo e dire che siamo tutti responsabili, che anche noi dobbiamo moderare i toni e così via con banalità di questo tipo di cui ci si dimentica immediatamente la domenica successiva.
Sono almeno trent'anni che sento bischerate del genere.
Credo che questo clima non si addica alla politica per cui spero che da parte di tutti venga moderato il linguaggio a vantaggio di un confronto più costruttivo e non basato sul massimalismo, sul populismo e sul culto o l'odio di una personalità.

Ora aspetto il boom di vendite del Duomo souvenir che tanti probabilmente regaleranno a Natale, i gruppi di idioti su Facebook che inneggiano ed osannano all'attentatore e Bruno Vespa con il plastico di piazza del Duomo e la statuetta in mano.
"Il Giornale" di oggi titolava "Violenza costituzionale", cioè? Che significa? I mandanti morali sono forse coloro che difendono la costituzione, Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, ecc? Mi sembra aberrante.

Stagione 2009/10 - Serie '900 III - Berg & Webern


Nel discovery concert di ieri mattina il maestro Francesco Maria Colombo ha proseguito con la perlustrazione di quel periodo musicale che si estende dall'inizio del '900 fino alla morte di Alban Berg nel 1935.

Dopo aver parlato la volta scorsa di Arnold Schoenberg, questa volta ha preso in considerazione i suoi due grandi allievi, Alban Berg e Anton Webern.

Periodo cruciale quello di inizio secolo, in cui a Vienna l'arte prende la strada del dionisiaco e della profondità, mentre a Parigi prende quella apollinea dell'ordine e del distacco da tutto ciò che era stato nell'arte precedente.

Dopo il Tristano di Wagner il linguaggio musicale da un lato si complicò sempre di più arrivando a dei grovigli parossistici come quelli delle composizioni giovanili di Schoenberg e dall'altro si prese coscienza che la dissonanza non doveva/poteva più essere vista, come nell'armonia classica, come un punto di transizione e tensione verso un'altra consonanza, ma assumeva un valore in sè e si arriva anche al punto in cui, ribaltando l'approccio al problema consonanza/dissonanza, la consonanza non è più un punto di approdo ma di instabilità e la dissonanza viene vista come un punto di riposo. Si poneva però il problema di come andare avanti su questa strada e soprattutto come riuscire a costruire brani di una certa estensione, visto che tutto quanto veniva scritto aveva le caratteristeche dell'aforisma. Arnold Schoenberg passò un periodo estremamente critico dove praticamente smise di comporre ed alla fine ne uscì con la codificazione della tecnica dodecafonica nella quale ogni nota ha lo stesso peso delle altre e tutto nasce da una serie di 12 note diverse trattata con tecniche precise.

Con la tecnica dodecafonica Schoenberg sarà in grado di scrivere opere vaste come "Mosè e Aronne", rimasta però incompiuta, e Berg scriverà opere capitali come "Wozzeck", "Lulu" e il concerto per violino.

Webern, invece, una asceta intransigente che, come riconosceva con enorme stima lo stesso Stravinskij che in genere era molto acido con i colleghi, proseguirà per tutta la vita incurante di tutto e di tutti, a forgiare gemme purissime, aforismi brevissimi in cui ogni nota e ogni pausa è calcolata al millimetro, brani nei quali in pochi secondi si concentra un intero universo.

Di Berg, un uomo alto e bello come Oscar Wilde, è stata eseguita la prima parte della suite dalla "Lulu", un brano estremamente lirico, ma di una liricità malata come del resto si addice al tema della Lulu, una donna perversa, amante di innumerevoli uomini che porta tutti alla rovina tranne l'ultimo, Jack lo squartatore, che la ucciderà.

Di Webern invece sono stati eseguiti i magnifici 6 pezzi opera 6 del 1909. Opera concentratissima di grande poesia e lirismo, tranne che nel IV brano, una marcia funebre, probabilmente la marcia funebre più terrificante di tutta la storia della musica, scritta solo per percussioni e fiati, un grido espressionistico di inaudita violenza.

Si può notare anche come questo tipo di musica abbia influenzato tutta la musica da film, tanto che Schoenberg stesso scrisse una colonna sonora per un film immaginario. Non esiste musica da film che non ricordi questa musica di inizio '900 ogni volta in cui si deve rappresentare in musica sentimenti quali la paura, la tensione, l'angoscia, il terrore.

venerdì 11 dicembre 2009

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerti N. 9 & 10


L’orchestra Verdi, dalla sua fondazione da parte di Vladimir Delman grandissimo in Ciaikovskij, ha un destino russo nella sua anima.
Nel concerto della settimana scorsa abbiamo avuto un altro Prokofiev con il II concerto per pianoforte; opera impervia ottimamente spadroneggiata dal pianista coreano Kun Woo Paik ben assecondato dal direttore danese Michael Schønwandt il quale si è prodotto successivamente in una buona esecuzione della IX sinfonia di Dvorak, la famosa sinfonia “dal nuovo mondo”. Questa è un’opera talmente famosa che è difficile perfino parlarne senza cadere nel banale. Vorrei solo dire che questa sinfonia non è una sinfonia “del nuovo mondo” ma una sinfonia inviata al “vecchio mondo” dal “nuovo mondo”. Infatti è un’opera assolutamente boema, una testimonianza viva dell’amore di Dvorak per la propria terra. Un’opera che vede al suo centro emozionale il II movimento, una delle pagine sinfoniche più belle di tutto Dvorak. L’esecuzione è stata in genere ottima ma alla fine del IV movimento, in quel punto in cui tutti i temi dell’opera si riassumono e vengono ripresi, esattamente lì in quel punto è mancato qualcosa, c’è stata una diminuzione di concentrazione, probabilmente una mancanza di visione che rende così epico e grandioso il finale. Da sempre su tutte le esecuzioni preferisco Toscanini; so perfettamente che altre esecuzioni possono forse essere più lussureggianti o idiomatiche, da Kubelik ad Ancerl, da Karajan a Bernstein, da Neumann ad Abbado, ma a me è sempre piaciuto quel modo diretto ed onesto di affrontare questa musica da parte di Toscanini che la fraseggia in modo impareggiabile da grande maestro di musica.


Nel concerto di ieri sera ancora e solo musica russa di un periodo che va dal 1895 al 1938.
Il primo brano era la I sinfonia di Vasily Sergeyevich Kalinnikov, autore, credo, ignoto ai più. Nato nel 1866, morì di tubercolosi a Yalta nel 1901, un paio di settimane prima di Giuseppe Verdi. Di famiglia molto povera iniziò a studiare musica nella scuola locale; poi si trasferì al conservatorio di Mosca che dovette però abbandonare perché non poteva pagare le tasse di iscrizione. Suonatore di fagotto (strumento fondamentale in tutta la musica russa), col quale si guadagnava da vivere, timpani e violino (di fila) attirò l’attenzione del critico e didatta Semyon Nikolayevitch Kruglikov che gli impartì lezioni di armonia e lo avvicinò ad altri musicisti. Si guadagnò una raccomandazione di Ciaikovskij per un teatro di Mosca ma la sua salute era precaria e dovette andare in Crimea dove iniziò a comporre.
La sua I sinfonia fu composta negli anni 1894/95 e fu eseguita nel 1897.
Dico subito che si tratta di un’opera bellissima, onesta, sana e sincera che attirò l’attenzione anche di Toscanini che la eseguì nel 1943.
È un’opera che risente chiaramente dell’influenza di Ciaikovskij e di Borodin (nello scherzo). Queste influenze sono particolarmente visibili nel trattamento dei fiati e nel modo in cui vengono esposte le melodie e nel tipico dialogo tra archi e fiati.
Si tratta di un’opera assolutamente classica scritta da un esponente di quella scuola russa che aderiva ancora alla forma sonata e che quindi, come ricorda Bortolotto, aveva perso la prima linea della musica.
Il primo movimento inizia con una bella melodia che avrebbe sottoscritto anche Ciaikovskij; una melodia ampia che richiama grandi orizzonti. A questa segue un secondo tema bellissimo prima nelle viole e violoncelli e poi in tutti gli archi con un effetto molto coinvolgente.
Il secondo movimento è caratterizzato da un accompagnamento incantato di due note dei violini e dell’arpa che danno vita a una bella melodia dell'oboe.
Scherzo alla Borodin, vigoroso e con richiami alla musica popolare e finale che riprende il tema del primo movimento e si sviluppa poi come una grande festa con apoteosi finale.
Opera forse ingenua e ancora immatura in alcune parti ma che testimonia il grande amore di Vasily Sergeyevich per la grande madre Russia, in un momento ancora incantato prima della catastrofe.
Opera che ha una orecchiabilità immediata che merita di essere assolutamente conosciuta non tanto perché abbia avuto un ruolo nell’evoluzione della musica ma perché è bella.


Seguiva il concerto per violoncello e orchestra di Nikolai Yakovlevich Myaskovsky, autore forse ancora più ignoto, almeno al pubblico italiano. Nato vicino a Varsavia nel 1881 morì nel 1950 scrisse 27 sinfonie. Conosco la VI sinfonia, del 1921/23. Questa sinfonia mette in evidenza una caratteristica della musica di Nikolai Yakovlevich che ho ritrovato anche nel concerto per violoncello e cioè la tendenza agli scarti improvvisi d’umore e all’introversione, come se un’immane tragedia lo sovrastasse. Nel finale della VI sinfonia il turbinio della canzone rivoluzionaria francese citata viene interrotto due volte, la seconda volta anche dal coro, dal canto funebre della tradizione ortodossa del distacco dell’anima dal corpo con effetto raggelante che porta la sinfonia allo spegnimento. La stessa cosa accade nel finale del concerto, che segue ad un privo movimento lirico e meditativo, un allegro che non riesce mai ad essere veramente allegro e non riesce neanche ad essere grottesco come accade invece in Shostakovich, un movimento dove il violoncello, con la sua voce grave e profonda, riporta sempre il discorso ad una dimensione riflessiva ritornando all’inizio del concerto, lì dove era iniziato.


Il concerto si è concluso con l’esecuzione della suite da “Il bullone” di Dmitrij Dmitrievich Shostakovich, balletto del 1931. Questa è un’opera del periodo più modernista di Dmitrij Dmitrievich, un periodo in cui gli artisti pensavano che sotto il regime ci fosse la possibilità di essere liberi di esprimere la propria creatività nei modi più vari ed audaci. Impararono molto presto che non era così e passarono un guaio molto serio, per alcuni senza ritorno. Il balletto narra la storia di un gruppo di proletari operai che salvano la fabbrica da altri operai che la vorrebbero sabotare lanciando bulloni nei suoi ingranaggi. Ad argomento grottesco segue musica adeguata, occasione che Shostakovich non perde lanciandosi in una polka che vede un assurdo dialogo tra due ottavini, un fagotto ed un trombone, uno sdolcinatissimo tango invero con movenze alquanto russe, tipo un "Bolero tartare" alla Rossini, e gran finale.



Esecuzione impeccabile dell’orchestra ben diretta da Alexander Vedernikov, fino a quest’anno direttore del Boshoi di Mosca ma attivo anche in Italia in varie sedi.
Al violoncello Alexander Kniazev, moscovita del 1961, che ha ottimamente suonato nel concerto con bel suono pieno e doloroso. Si è prodotto in due bis bachiani (l’anno prossimo eseguirà le suite di Bach a San Pietroburgo); esecuzioni sicuramente inusuali, o almeno, personalmente non ho mai sentito le suite di Bach suonate così, in modo disinvolto, dove le danze diventano vere danze anche rudi. Molto interessante e abbastanza provocatorio.

mercoledì 9 dicembre 2009

Corvara


Ritorno da una breve vacanza a Corvara.
Tempo discreto, ieri pomeriggio una bufera di neve, oggi un bellissimo sole con -10.
Bellissimi paesaggi invernali.
Belle giornate con la nostra amica Roberta, una sorella per mia moglie, e i suoi figli.
Ora si torna per questo intenso mese breve tra attese, feste e vacanze. Praticamente sono già a gennaio.

mercoledì 2 dicembre 2009

Concerto di Carlo Boccadoro

Ieri sera bel concerto di Carlo Boccadoro dedicato a musiche nelle quali il gioco, in qualche misura, gioca un ruolo importante.
Grande divertimento anche del pubblico direttamente coinvolto nella “composizione” di due brani, il primo di Mozart, Musikalisches Würfenspiel, l’altro di Giovanni Mancuso, I Draghi Locopei.
I due brani, pur nella loro distanza sono piuttosto simili.
Nel brano di Mozart, scritto circa a 7 anni, si compone un minuetto classico in forma ABA dove ogni parte è di 8 battute. Mozart scrisse una serie di battute per la parte A e la parte B ma la sequenza delle battute è determinata dai risultati del lancio di due dati. Ad ogni numero da 2 a 12 e per ognuna delle 8 battute corrisponde una delle battute scritte da Mozart. Il risultato è del tutto casuale ma incredibilmente sta sempre in piedi nel senso che ne viene fuori un brano che non sarà un capolavoro ma ha una sua logica anche perché il rapporto fondamentale di tonica dominante tra A e B viene sempre rispettato.
Nel brano di Mancuso invece ad ogni lettera dell’alfabeto e ad ogni segno di interpunzione sono state associate delle battute o gesti musicali ed inoltre sono previste anche delle azioni che il pubblico deve fare, bere un bicchiere d’acqua, alzarsi in piedi, togliersi il cappello, ecc. Si può giocare, ad esempio, estraendo a sorte un certo numero di tessere oppure inventando una parola o prendendo una parola o una serie di parole. In ogni caso ciò produce una serie di gesti che nel loro complesso producono il brano.
Non c’è praticamente nessuna differenza tra i due brani se non per l’effetto che si produce.
Nel caso di Mozart un branetto più o meno piacevole e grazioso anche se costruito casualmente, nel caso di Mancuso, un brano che può essere curioso, strano, senza senso o con un senso casuale. Ciò è dovuto al fatto che naturalmente nel brano di Mancuso manca l’unità tonale che è presente in Mozart.
Ciò mi fa venire in mente una considerazione sulla musica contemporanea.
La musica contemporanea, come noto, gode di molto meno consenso e pubblico della musica cosiddetta classica. In genere si dice che non è comprensibile e non è piacevole.
Però, quando si ascolta ad esempio un tempo di una sinfonia di Beethoven, che cosa si ascolta realmente? Io non credo che tutto il pubblico sia in grado di cogliere il primo tema, il secondo tema, le modulazioni, lo sviluppo dei temi, ecc. ovvero di capire veramente come è costruito il brano. Però, nel caso di un compositore classico, ciò non produce incomprensione nel pubblico perché la musica possiede comunque delle caratteristiche melodiche e armoniche tali per cui risulta piacevole all’ascolto e ciò rende fruibile il brano anche in assenza di una conoscenza più approfondita della musica, anche se comunque è necessaria una certa abitudine all’ascolto.
La musica del ‘900 non ha caratteristiche diverse da quella dei secoli precedenti. Si parte da un certo materiale musicale che può essere una canzone, lo facevano già nel medioevo, o un brano di un altro autore, o un’idea nuova e ci si lavora attorno per sviluppare, girare, rigirare, vedere sotto tanti punti di angolazione il materiale musicale come fa, ad esempio, Beethoven nello sviluppo del primo tempo della III sinfonia. Però la musica del ‘900 non ha in genere melodia in senso classico e le funzioni armoniche classiche cadono, per cui è una musica che ti disorienta. Se ti viene spiegata la capisci un po’ di più ma comunque il risultato finale non è sempre piacevolissimo all’udito.
Vorrei però anche dire che una musica non può essere apprezzata solo se si capisce come è costruita. Cioè non posso apprezzare un brano dodecafonico solo perché capisco come la serie viene girata e rigirata, ma mi dovrebbe fare comunque un certo effetto, dovrebbe destare in me un interesse indipendentemente da tutto il lavorio che ci sta dietro, nello stesso modo in cui riesco ad apprezzare una composizione di Bach anche se non conosco tutte le regole del contrappunto.
La musica contemporanea dovrebbe quindi uscire da certe torri d’avorio in cui si chiude per aprirsi e rendersi comunque interessante ed ascoltabile senza pretendere nell’ascoltatore una competenza musicale specifica.
Tra glia latri brani eseguiti vorrei segnalare Logica in fiamme di Silvia Colasanti, Mastermind di Mauro Montalbetti, Modern Love Waltz di Philip Glass, Water Music di John Cage e Variazioni Goldrake di Boccadoro.
Grande successo personale di Boccadoro che è anche una persona molto simpatica ed ironica.