martedì 31 luglio 2012

Sinfonia di Luciano Berio

Uno dei brani più formidabili del secondo novecento per orchestra e voci: Berio lo scrisse per gli Swingle Singers.
Particolarmente famoso il terzo movimento che si sviluppa sullo scherzo della seconda sinfonia di Mahler che emerge, viene in primo piano, sprofonda, scompare mentre al di sopra galleggia un collage di citazioni da altri autori, Debussy, Ravel, Strauss, Stravinskij, Beethoven, Berg, ecc. ecc.
Un brano meraviglioso, ma tutta la sinfonia è un brano fantastico.
Avevo, anzi, ho ancora il vecchio disco della sinfonia diretto dallo stesso Berio con la New York Philharmonic nel 1968. Non so se è stato ripubblicato in CD; fino a qualche tempo fa mi sembrava di no. Sarebbe un peccato perchè era un'esecuzione fantastica.
Ho avuto la possibilità di ascoltarla dal vivo una volta negli anni '70 alla Scala, con gli Swingle Singers, non ricordo  chi fosse il direttore.
Riuscirò a risentirla almeno una volta ancora?

martedì 24 luglio 2012

Università

Mio figlio grande oggi ha fatto l'ultimo esame all'università, ingegneria.
Ha fatto l'università in modo molto semplice: corsi del primo semestre, esami a febbraio; corsi del secondo semestre; esami tra giugno e luglio.
In questo modo non ha mai dovuto recuperare alcun esame ed è sempre stato perfettamente in corso e con ottimi voti.
Da qualche tempo sta' già preparando la tesi, una tesi doppia fatta in inglese con il suo amico Fabio, e penso che entro l'anno raggiungerà anche questo obiettivo.
Senza dubbio è stato molto bravo, come sempre, del resto.
Dal giorno in cui è nato (11 ottobre, bilancia ascendente ariete), al mese e mezzo passato in incubatrice in quanto nato di sette mesi e mezzo, da quando facevamo insieme i puzzle di Paperino, i primi Lego e gli disegnavo il caimano e i funghetti di Fantasia fino allo sfinimento che poi lui rifaceva molto meglio di me perchè ha una bellissima mano da disegnatore, ad oggi, abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto.
Credo non ci sia nessuno al mondo che io stimi più di mio figlio (l'amore verso di lui come figlio non lo conto perchè è perfino pleonastico parlarne).

lunedì 23 luglio 2012

Ciofeche 3

Ci sarebbero diversi termini abbastanza precisi per definire un prodotto musicale come questo.
Poichè ho attivato il limitatore, evito commenti.
In ogni caso questo signore, tra una manifestazione di qua e una di là, una commemorazione, un'inaugurazione, ecc. cantando canzoncine come questa intasca un sacco di soldi, quindi ha ragione lui! Complimenti ad Andrea Bocelli. Del resto non è che Luciano Pavarotti ultimamente fosse da meno con quelle baracconate dei trio di tenori o con Zucchero, ma almeno Pavarotti era stato veramente un grandissimo tenore che cantava opere tipo i Puritani oppure La figlia del reggimento.

Una lama di luce

More about Una lama di luce

Bello l'ultimo libro di Camilleri con protagonista il commissario Montalbano.
Tre vicende corromo parallele: una strana rapina che sfocia in un omicidio, uno strano commercio di opere d'arte e una storia di armi e tunisini.
La storia ufficiale, quella della rapina e dell'omicidio, arriverà alla sua naturale e brillante conclusione; le altre due scorreranno parallele ed indipendenti finchè la conclusione di una porterà a conclusione anche l'altra in modo tanto sorprendente quanto assolutamente inevitabile.
Montalbano più invecchia, ha esattamente la mia età, più diventa angosciato, apprensivo, preso da tristezze e incertezze. Sono lontani i tempi in cui, più giovane, guardava alle cose con sicurezza; oggi, dopo aver molto vissuto e averne viste tante, è molto più umano e viene preso da mille dubbi.
In questo libro, intanto, una certa vicenda lontana viene portata a conclusione, drammaticamente. Chissà che, lasciata da parte quella dose veramente eccessiva di egoismo e narcisismo unite ad un caratteraccio impossibile, prima o poi non si decida a sposarsi con Livia, che alla fin fine è la donna da cui comunque torna sempre, pur con tante difficoltà. Forse potrebbe sembrare una fine un po' stucchevole ma darebbe all'insieme di tutti i romanzi che lo vedono protagonista una dimensione diversa, come l'arco di una vita vissuta passo dopo passo, magari uno avanti e uno indietro; in questo modo l'insieme di questi libri traccerebbe un percorso in cui Montalbano non correrebbe il rischio di essere un personaggio sempre uguale a se stesso e un po' stereotipato come accade in altre serie simili di altri autori, ma diventerebbe una persona vera con la quale abbiamo percorso assieme tanti anni in un'esperienza per diversi aspetti comune.

venerdì 20 luglio 2012

Il Rimedio della Fortuna

Ieri sera al teatro Strehler, nell'ambito del festival internazionale di musica antica Milano Arte Musica, è andato in scena, in prima esecuzione assoluta, Il Rimedio della Fortuna da Le Remède de Fortune che Guillaume de Machaut scrisse nel 1342, una storia allegorica tra amore, destino, fato, fortuna e speranza rivisitata con le parole di Alex Cremonesi e la musica di Filippo del Corno.
Si è trattato di uno splendido spettacolo per diversi motivi.
Innanzitutto la musica di Filippo del Corno che come base parte dalla musica di Machaud e la elabora con le tecniche delle canzoni di oggi. Non si deve però pensare che il risultato sia banale o volgare. Il risultato è molto suggestivo con momenti dei grande poesia e suggestione come nel Complainte "Tutto il bene del mondo", in tutti i duetti fino al conclusivo Rondeau "Il mio cuore rimane in te" e negli interludi suonati assieme alla voce recitante dove del Corno dimostra una grande capacità di creare uno spazio sonoro e un'atmosfera in cui si fondono parola e musica. A tutta prima queste musiche e queste canzoni potrebbero sembrare semplici ed anche piuttosto elementari; in realtà, ascoltandole, si percepisce il grande lavoro di calibratura, la grande cura nel bilanciamento tra le parole e la musica e nell'orchestrazione, veramente bella, del piccolo complesso (flauto, clarinetto, vibrafono, percussioni, pianoforte, violino, violoncello) che accompagnava lo spettacolo, un'orchestrazione così spaziosa da non percepire l'eseguità dell'organico. Per realizzare ciò le parole sono state affidate ad Alex Cremonesi, paroliere di cantanti famosi. Lo spettacolo era accompagnato anche da una sezione video, curata da Masbedo, che veniva proiettata suo uno schermo. Ad essere sincero, questa è la parte dello spettacolo che, probabilmente per mia colpa, ho capito poco.
Cantavano il tenore Mirko Guadagnini e la soprano Chiharu Kubo, entrambi splendidi.
La voce recitante che dipanava la vicenda era quella dell'affascinante Fanny Ardant, fascinosissima con quel suo italiano lievemente francesizzato.
La parte musicale era affidata all'ensemble Sentieri Selvaggi diretto da Carlo Boccadoro per i quali ogni complimento è d'obbligo e quasi superfluo considerando la qualità musicale di tutti loro.
Un grande spettacolo molto ben curato e realizzato salutato da un grande successo.
Come quasi sempre accede in questi concerti estivi ho incontrato il mio vecchio amico Livio, amico di tanti concerti e serate scaligere lungo un periodo di quasi 20 anni. Ora ci vediamo poco perchè non è abbonato all'Auditorium però, anche se ci vediamo poco, è sempre molto piacevole ritrovarci, mi pare che il tempo non sia passato, misuro la fermezza di una vecchia amicizia e di un antico sodalizio.
Stasera, in San Simpliciano, la chiesa dove fu cresimato Carlo Emilio Gadda, tornerà ancora Guillaume de Machaut con la sua messa di Notre Dame, capolavoro assoluto della musica gotica e prima messa polifonica completa pervenutaci come opera di un solo autore nell'esecuzione dello splendido Hilliard Ensemble.

giovedì 19 luglio 2012

Anniversari

Oggi è l'anniversario della morte di paolo Borsellino. Solita sfilata e codazzo di autorità.
Io ho fatto l'esercizio di cercare di ricordare cosa facevo quel giorno e in altre date simili.
Il giorno della morte di Paolo Borsellino ero a Dobbiaco. Era una domenica. Eravamo arrivati il giorno prima. Era la prima volta che andavamo a Dobbiaco e alloggiavamo all'hotel Cristallo. Quel pomeriggio, per impratichirci con il posto, e considerando che avevamo un bambino piccolo di neanche 4 anni, siamo scesi verso l'incrocio con la provinciale, siamo andati dritti fino al passaggio a livello e siamo andati alla stazione per vedere i treni, per la felicità di mio figlio. Così ci ritrovammo nel bar della stazione. La televisione era accesa e dava la notizia.
L'undici settembre 2001, un martedì, la mattina ero stato a Malpensa. Nel primo pomeriggio ero tornato in ufficio. Poco dopo è entrata la mia segrataria, la Lucy, che mi ha detto che a New York stava succedendo qualcosa di strano. Guardammo la CNN ma sembrava un film, sembrava finto. Continuai a lavorare dando talvolta qualche occhiata, poi spensi la TV. Dopo un po' la Lucy mi disse che era crollata una torre. A sera quardando il TG e vedendo quelle persone scappare mi resi realmente conto di quanto era accaduto e mi veniva in mente una domenica di qualche anno prima, a spasso per Manhattan, per quelle vie dove avevo l'impressione di essere già stato tanto mi sentivo a mio agio in mezzo a quella gente così simpatica.
Il giorno dell'attentato di Bologna, 2 agosto 1980, un sabato, ero al mare, a Loano. Una settimana dopo, domenica 10 sarei partito per Rio de Janeiro per andare a trovare i miei amici della comunità brasiliana di Milano che erano tornati in patria quando la situazione polica era un po' migliorata.
Il giorno della strage sul treno Italucus, 4 agosto 1974, una domenica, ero al mare con i miei in Puglia a punta Prosciutto, zona Porto Cesareo, perchè un amico di mio padre ci aveva dato la sua casa per le vacanze.
Il giorno della strage di piazza della Loggia a Brescia, 28 maggio 1974, un martedì, ero all'università. Ricordo che era una giornata dal cielo lattiginoso, forse veniva anche un po' di pioggia e sulle scale di via Saldini 50, a Matematica, si commentava un po' sgomenti quello che era successo.
Il giorno della strage di piazza Fontana, 12 dicembre 1969, un venerdì, ero a casa. Studiavo. La sera si seppe quanto era successo dalla TV. Non ricordo molto altro, il giorno del funerale ma ricordo bene Bruno Vespa e l'annuncio dell'individuazione del colpevole, Pietro Valpreda. Viene da rabbrividire, con il senno del poi, vedendo il video.
Depistaggi continui. Misteri. Io però sono profondamente convinto che, se per tutti questi anni certi fatti sono rimasti dei misteri, chi in qualche modo è coinvolto in questi fatti sia molto vicino ai luoghi più alti del potere. Per questo motivo mi danno fastidio le commemorazioni ufficiali.

mercoledì 18 luglio 2012

La lingua salvata. Storia di una giovinezza



More about La lingua salvataIn questi giorni ho riletto La lingua salvata. Storia di una giovinezza di Elias Canetti. Avevo già letto questo libro nel settembre 1982 in vacanza a Paestum. Il libro è il primo volume della sua autobiografia e copre il periodo che va dalla sua nascita, 1905, al 1921. Il libro è appassionante come un romanzo perchè Canetti non si limita a narrare dei fatti ma traccia l'arco che lo porta, fisicamente e psicologicamente, dalla sua infanzia alla sua adolescenza, ai suoi 16 anni. In mezzo ci sono i ricordi, il padre commerciante che suonava il violino, i nonni paterni e materni, la Bulgaria dove era nato, le influenze orientali, la sua famiglia ebrea trapiantata secoli prima in Bulgaria dalla Spagna, la nascita dei suoi fratelli, la partenza per l'Inghilterra con maledizione del padre da parte del nonno, la vita a Manchester, la morte improvvisa del padre quando lui aveva sette anni, il ritorno sul continente, prima in Svizzera, poi a Vienna, la guerra, il ritorno in Svizzera dopo la guerra e gli ultimi anni, dal 1919 al 1921 a Zurigo mentre la mamma soggiorna in un sanatorio. 
In mezzo a tutto ciò la figura della madre, una Arditti, ebrea di antiche origini livornesi, spicca su tutte ed è particolarmente significativo vedere come esso evolve: da una totale dipendenza iniziale, considerando anche il carattere particolarmente energico di sua madre, ad un rapporto esclusivo dopo la morte del padre con la condivisione delle letture serali e la costruzione di un mondo di interessi letterari al periodo del distacco di Zurigo dove il giovane Elias fa tutta una serie di altre esperienze che lo portano a maturare certe convinzioni ed ideali che si porterà dietro per tutta a vita e che hanno a che fare anche con argomenti sommamente disprezzati dalla madre: la poesia, le scienze naturali, la natura in genere, gli animali, la pittura, l'arte, ecc. interessi sviluppati in Elias anche grazie all'idilliaco ambiente svizzero. Di tutto ciò lui scriverà come sempre alla mamma che in un incontro del maggio 1921 gli ribalterà tutto addosso distruggendogli pezzo dopo pezzo quel mondo e dichiarandosi addirittura pentita di averlo avviato agli studi. Il periodo zurighese, il più felice della sua vita, finirà così. Elias verrà portato in Germania, un paese segnato a fuoco dalla guerra dove avrebbe trovato una scuola più dura fatta da uomini che erano usciti dalla guerra ma sarebbe venuto in contatto anche con altre cose che non conosceva e che lo avrebbero fatto rinascere ad una nuova vita.
Un grande libro che alla rilettura mi è piaciuto moltissimo. Ora dovrò rileggere anche gli altri.
E' quasi incredibile che a distaza di 60 anni Canetti ricordasse certe situazioni, i nomi delle persone e delle vie in modo così preciso. Ho letto il libro controllando sulle mappe di Google e tutto corrisponde con la più grande precisione. Del resto io non mi stupisco più di tanto perché anch'io ricordo perfettamente nomi e vie che ancora adesso percorro quando vado in Auditorium che è un vertice di un ideale triangolo (gli altri due vertici sono piazza Abbiategrasso e piazzale Agrippa all'interno di un triangolo più grande che ha un vertice in piazza del Duomo e gli altri due in piazzale Corvetto e sempre in piazza Abbiategrasso) dove sono nato e si è svolta buona parte della mia giovinezza. Curiosamente, inoltre, il primo ricordo di Canetti è uguale al mio. Lui, in braccio ad una ragazza, ricorda un pavimento rosso ed io, in braccio a mia madre ricordo il pavimento rosso della cucina della casa dove sono nato.

Varie ed eventuali

Stamattina dovevo andare alla posta centrale di via Cordusio. Ho preso il mio tram e mi sono trovato davanti ad una che al telefono discuteva in relazione all'emissione di una fattura, cosa che il programma sul computer, pare, impediva. Discussioni su discussioni, il tram praticamente si è trasformato in un ufficio anche perchè costei parlava a voce abbastanza alta. Risolto, forse, il gravissimo e vitale problema è salita una sudamericana che già salendo sul tram parlava al telefono, di soldi. Anche qui tono di voce piuttosto alto, con scoppi travolgenti con crescendi irresistibili. Per fortuna il Duomo era vicino per cui siamo scesi. A Crocetta era salito il solito suonatore di turno. Un violinista solo che ha fatto un'insalata con Bach e Mozart, interessante ma troppo breve.
Sono arrivato alla posta centrale di Milano per ritirare una raccomandata che mi era arrivata ad un indirizzo dove non abito più da 18 anni. Quattro sportelli, uno solo aperto: fila. Ero il decimo. Pazientemente, come gli altri, mi sono messo a fare la fila quando è arrivata una tizia che si è messa a sproloquiare dicendoci, implicitamente, che eravamo tutti dei coglioni perchè stavamo lì a fare la fila senza protestare, perché non è possibile che alla posta centrale di Milano ecc. ecc. Ovviamente è stata mandata al diavolo da tutti all'unisono, coro misto, circa 10 uomini e 10 donne perché nel frattempo la fila si era allungata. Comunque è arrivato il mio turno e ho ritirato la raccomandata acquisendo così l'informazione che veniva dal comune del paese nel Veneto dove ho una seconda casa dove mia madre passa buona parte dell'anno. Ho aperto la raccomandata ed ho appreso che con la medesima mi si chiedeva urgentemente l'invio della documentazione che mi era già stata richiesta, e quindi in questa raccomandata non veniva più nominata, con una precedente raccomandata del 20 ottobre 2003 relativa ad un condono edilizio del 30 aprile 1986.
Benissimo. Ci hanno messo diciassette anni, dal 1986 al 2003, per capire che avevano bisogno di una qualche documentazione aggiuntiva e mi hanno mandato una raccomandata ad un indirizzo dove non abito più dal 1994. Ritornata indietro la raccomandata ci hanno messo altri nove anni per mandarmene un'altra allo stesso indirizzo di cui sopra (questa volta fortunatamente un'amica, una vecchia vicina, ha ritirato il biglietto per il ritiro). Magari se andavano direttamente da mia madre lì in paese, visto che ci si conosce più o meno tutti, si risolveva la questione in modo più rapido. Tra l'altro faccio notare che il comune conosce il mio nuovo indirizzo perchè anche recentemente ho ricevuto una loro lettera. Ma, si sà, il comune è grande, occupa ben un piano di una palazzina dove ci sono ben 4 o 5 uffici per cui un dato recepito da un ufficio è ben difficile che si a conoscenza di un altro ufficio e si deve tener conto anche della grandezza del comune, circa tremila abitanti, frazioni comprese. Comunque l'Italia è un paese meraviglioso. Ogni pratica arriva ad una conclusione del suo iter, magari dopo 20, 30 o 40 anni, passando dall'impegato nonno all'impiegato nipote e questo probabilmente ci eleva ad un gradino al di sopra dei paesi più sottosviluppati del mondo.
Nella medesima lettera mi viene comunicata una cosa importantissima, ovvero che l'importo della marca da bollo è di 14,62 euro. L'Italia è un paese fondato sulla marca da bollo.

lunedì 16 luglio 2012

Ciofeche 2

Aridatece Santo & Johnny e Waldo de los Rios.
Che peccato, le hanno anche tagliate.

Chi è veramente oltre ogni aspettativa, è Paolo Limiti: letteralmente impagabile.

Bene, Signore e Signori, Ladies and Gentlemen, Mesdames & Messieurs, Meine Damen und Herren, Siori e Siore nientepopodimenoche: Duel. (Sono veramente fantastiche!)

venerdì 13 luglio 2012

Carlos Kleiber

Otto anni fa moriva Carlos Kleiber, il dionisiaco, l'ultimo degli immortali.
Dichiaro senza ombra di dubbio il mio più assoluto amore per Carlos Kleiber.
Molti sono i musicisti che amo ma per Carlos Kleiber nutro un sentimento molto più profondo che deriva proprio dalla sua arte.
Figlio di Erich, altro grande direttore d'orchestra, soffrì il complesso del padre. Esiste un interessante CD con l'esecuzione della seconda sinfonia di Borodin fatta dal padre e dal figlio; obiettivamente il figlio supera il padre di parecchio.
Uomo assolutamente schivo dirigeva pochissimo tornando sempre sulle stesse composizioni; Karajan diceva che dirigeva quando aveva il frigo vuoto.
Da sondaggi fatti tra musicisti risulta essere stato il più grande direttore d'orchestra della seconda metà del novecento.
Io ho avuto la possibilità e, posso dirlo, la fortuna, di poterlo ascoltare alla Scala negli anni '70 con il Rosenkavalier, Otello e il Tristano. Dire memorabile non è nulla, roba da portarti in uno  stato di trance.
Diresse due concerti di capodanno, 1989 e 1992 che, con quello di Karajan del 1987, sono i migliori di sempre.
Tutte le sue incisioni discografiche sono altamente raccomandabili.
In particolare assolutamente imperdibile è la sua IV dinfonia di Brahms con i filarmonici di Vienna; tutto suona così bello, così naturale, cosi semplice, tutto ad un livello stratosferico (questo è il CD che fu trovato nel suo lettore CD a casa sua dopo la morte).
Vorrei però ricordarlo con l'Allegretto della settima sinfonia di Beethoven, altro suo grandissimo cavallo di battaglia. La musica sembra uscire dal suo corpo e si capisce la differenza tra un direttore d'orchestra vero ed un battisolfa che si agita invano per ottenere modesti risultati musicali.

mercoledì 11 luglio 2012

Johann Sebastian Bach a Milano

Ieri sera ha preso il via il Festival di musica antica di Milano che si concluderà il 29 agosto con un concerto con musiche di Haendel a cura di Ottavio Dantone e l'Accademia Bizantina. In mezzo ci sarà Stefano Montanari che suonerà le sonate e partite per violino solo di Bach, Jos van Immerseel che suonerà le suites francesi, sempre di Bach, Rinaldo Alessandrini che con il Concerto Italiano eseguirà musiche di Geminiani, Galuppi e Vivaldi, Carlo Boccadoro che con Sentieri Selvaggi eseguirà Il Rimedio della Fortuna, da Guillaume de Machaut, con musica di Filippo del Corno, la Messa di Notre Dame dello stesso Guillaume de Machaut, e tanto altro.
Come l'anno scorso si era iniziato in Auditorium con l'Accademia Bizantina ed Ottavio Dantone che avevano eseguito in una sola serata i sei concerti brandeburghesi, così quest'anno si è ancora iniziato con la musica di Bach, ovvero con le quattro Suites orchestrali eseguite dall'Orchestra Barocca di Venezia diretta da Andrea Marcon

Il genere della suite origina prbabilmente dagli estratti da opere francesi, alla Lully,dove ad una ouverture dalle dimensioni considerevoli seguono una serie di danze. Bach scrisse quattro suite (BWV 1066-1069, una quinta suite BWV 1070 è di sicuro spuria) che non costituiscono un ciclo. Sono scritte per complessi diversi ma non così vari come nei concerti brandeburghesi.
La suite n. 1 BWV 1066 risale al periodo 1724/25 o anteriore; è in do maggiore ed è scritta per due oboi, fagotto e archi.
La suite n. 2 BWV 1067 in si minore risale al 1738/1739 ed è scritta per flauto e archi.
La suite n. 3 BWV 1068 in re maggiore fu scritta attorno al 1731  e prevede tre trombe, due oboi e timpani, oltre agli archi.
La suite n. 4 BWV 1069 in re maggiore fu scritta attorno al 1725 e prevede tre trombe, tre oboi e timpani e gli archi.
Le suite n. 3 e 4 hanno un carattere festoso, pomposo, scintillante ed estroverso, ma la suite n. 3 contiene la famosa aria dal carattere raccolto scritto per soli archi dove Bach crea una notevole tensione tramite la dissonanza e dove Bach trasforma le parti interne che accompagnano la melodia principale da un sottofondo armonico ad un delicato e pregnante contrappunto creando un bellissimo dialogo tra i due violini.
La suite n. 2 è più raccolta ed intima dove Bach, adottando anche stili del concerto italiano, trasforma l'ouverture in una sorta di concerto per flauto.
La suite n. 1 è in un certo senso la più tradizionale con la sua orchestrazione per due oboi

Gran concerto. Non avevo mai ascoltato questo complesso, dal vivo o in disco, in esecuzioni che non fossero di autori italiani. Essendo veneziani o comunque veneti, il complesso nasce nel 1997 dall'incontro del trevisano Andrea Marcon e l'Accademia di San Rocco, è naturale che il loro repertorio sia soprattutto dedicato ad autori di quell'area, in particolare a Vivaldi di cui sono straordinari interpreti come è facile verificare ascoltando, ad esempio, la registrazione discografica o in concerto delle Quattro Stagioni o di vari concerti e sinfonie fatte in collaborazione con Giuliano Carmignola.
Ieri sera hanno affrontato Bach con grande baldanza ed entusiasmo dando esecuzioni molto vitali, vorticose nei giri di danza che Bach organizza nelle varie suites, tra Bourrée, Gavotte, Menuet, Passapied, Polonaise, Badinerie e Gigue. Alcune volte ho l'impressione che certe esecuzioni di musiche antiche, nel caso specifico Bach, siano delle gare di velocità; nel loro caso, invece, i tempi erano giusti e la concertazione sempre molto chiara e trasparente, anche nei momenti più concitati, come, ad esempio, il brano conclusivo della quarta suite, la Rejouissance.
Ottimi i solisti, il flauto di Michele Favaro nella seconda suite, le tre trombe nella terza e quarta suite e gli oboi.
Il concerto era dedicato alla memoria di Gustav Leonhardt che aveva suonato anche lo scorso anno in questo festival e che avevo avuto la fortuna di poter ascoltare per l'ultima volta.
Gran successo decretato da un pubblico non particolarmente numeroso.
Fenomeno strano, questo: l'anno scorso per Dantone non c'erano neanche posti in piedi eppure l'Orchestra barocca di Venezia e Andrea Marcon godono di una vasta fama internazionale e hanno suonato ovunque in giro per il mondo raccogliendo grandissimi successi. Ho osservato questo fenomeno anche nei concerti dello scorso inverno quando per Uto Ughi, grandissimo violinista, il conservatorio era pieno tanto che ho preso posto sul palco a tre metri dal pianoforte, mentre per Hilary Hahn o Gil Shaham o il Trio di Parma o il Quartetto di Cremona c'era tutto il posto che si voleva. E' proprio vero che il pubblico, al di là della bravura degli interpreti, viene attirato dal nome famoso. A questa stregua se si organizzasse un concerto in cui Giovanni Allevi suonasse, poniamo, qualche preludio e fuga dal clavicembalo ben temperato, o dirigesse un paio di brandeburghesi, assieme a sua musica, giusto per farci capire dove Bach aveva sbagliato, ammesso che trovasse un'orchestra che si prestasse ad una simile operazione, bisognerebbe chiamare la forza pubblica per mettere ordine in un pubblico alla ricerca spasmodica di un preziosissimo biglietto.


martedì 10 luglio 2012

L'Adalgisa

More about L'Adalgisa. Disegni milanesi

Questa mattina ho visto questa nuova edizione de L'Adalgisa di Carlo Emilio Gadda, ingegnere, raccolta di dieci disegni milanesi pubblicati sotto il titolo dell'ultimo, dedicato ad una memorabile figura di donna. Dopo aver appurato che si tratta della riedizione della versione del 1944 l'ho acquistata immediatamente. Infatti le altre due edizioni che ho in libreria, l'edizione Einaudi dei Supercoralli (1960) e quella nel primo volume delle opere edite da Dante Isella per Garzanti nel 1988, riportano l'edizione riveduta da Gadda nel 1955, e quindi considerata come definitiva. Sono proprio curioso di osservare le differenze tra le due versioni.
Credo di aver letto l'Adalgisa almeno 5 volte, a distamza più o meno di 10 anni e in questo è accomunata ad un solo altro libro che rileggo ogni 10 anni circa, la Montagna incantata, la Montagna magica di Thomas Mann nella traduzione di Ervino Pocar. Ricordo di aver letto per la prima volta la Montagna incantata nella bellissima edizione Mondadori di allora nell'estate del 1970, mentre facevo la maturità fra una partita di tennis, una di bowling, un concerto, una partita a ping pong e una a boccette in un bar d'angolo tra corso di Porta Romana e via Orti.
Sono due libri molto diversi, a dire il vero! La Montagna incantata è il classico libro di formazione e non finisce mai di affascinarmi. C'è un capitolo, quello in cui Hans Castorp si perde nella neve e viene preso da una visione, un capitolo molto lungo, che non smetterei mai di rileggere. L'ultima volta l'ho letto nel 2002 per cui mi sa che fra un po' lo riprendo in mano.
L'Adalgisa invece mi è sempre piaciuto per quei ritratti così vivi e così milanesi. Certo Gadda è anche molto beffardo e qualche volta è anche un po' crudele ma c'è in lui un'umanità, forse un po' ombrosa, trattenuta, poco evidente, un po' rude e pure così affettuosa. Mi ricorda in questo mio nonno Giacomo, nonno materno, uomo di pochissime parole e un po' burbero, che forse non mi ha mai dato una carezza con la mano ma del quale avvertivo tutto l'amore con un solo sguardo. Impagabili le note di Gadda a piè di pagina che strabordano il testo tanto da diventarne una integrazione necessaria. In esse Gadda ci chiarisce il significato di parole dialettali (strasciacanton, narigiàtt, casciavit, stravacàa, gibigiana, bauscia, palpiroèu, bordokk, stemègna, ecc.) ad uso evidentemente di non milanesi, ci rende edotti sull'entropia, sulla catenaria, ecc. ed altri fenomeni della fisica con tanto di formule, integrali e differenziali, e su tante altre questioni e personaggi, come Gaetano Negri (Milano, 11 luglio 1838 - Varazze, 31 luglio 1902), grecista, allievo di Renan, colto di geologia che, cito Gadda: "morì per accedente: sdrucciolando (dial. lomb. scarligando) a un mal passo, e battendo del capo ad un peggio sasso, durante una gitarella sui monti del savonese, in quel di Varazze. Animo eminentemente altruistico, non appena percepito il lubrìco passo, gridò alla moglie e alla figlia che sopravvenivano: "Atenti" (indeclinabile) "che se scarlìga". Scarligò lui stesso, defunse. Oggi (1943) ricordato da monumento eneo ai Giardini Pubblici di Milano: ed eare perennibus delle opere." Comunque Gadda possiede una qualità di scrittura di livello altissimo. Non sempre è facile ma vale la pena di impegnarsi a leggerlo. L'Adalgisa è uno dei suoi testi più "facili" e può essere un ottimo inizio per avvicinarlo con un testo che è un addio a Milano e ai milanesi visti da lontano, da Firenze dove Gadda si era trasferito da qualche anno.
Il volume si conclude con un centinaio di pagine di note al testo a cura di Claudio Vela, dedicate alla genesi del libro e alle varianti che, come spesso accade in Gadda, autore di doppioni, triploni e quadriploni e di non finiti, promettono di essere un'avventura avvincente.

lunedì 9 luglio 2012

Una serata di mezza estate in musica

Ieri sera presso Villa Corvini a Parabiago si è tenuto un bel concerto di musiche dell'epoca Barocca a cura dell'Ensemble Harmonia Sibrium, un complesso fondato nel 1993 che si dedica soprattutto alla musica settecentesca e nelle cui file suonano anche alcuni orchestrali dell'orchestra Giuseppe Verdi di Milano.
Si è iniziato con una pagina strafamosa come le Quattro Stagioni di Antonio Lucio Vivaldi. Musiche descrittive ed evocative come poche eseguite migliaia di volte dai più svariati ensemble. Credo non esistano due esecuzioni uguali di queste musiche. A dire il vero non esistono esecuzioni uguali neanche di musiche completamente scritte dall'autore con tutte le indicazioni agogiche ed espressive chiaramente indicate ma nel caso delle musiche grosso modo ante Mozart le indicazioni degli autori erano piuttosto scarse ed anche le note scritte erano più una traccia che la reale sequenza di note da eseguire. Di conseguenza si può variare, ornare, integrare, inventare sempre con buon gusto e con proprietà di lunguaggio. Le stagioni di Vivaldi, basate su dei sonetti, evocano in modo esplicito fenomeni naturali, il caldo, il freddo, animali, accadimenti umani, ecc. e quindi si prestano ad essere raccontati in vari modi mettendo in evidenza questo o quell'aspetto; se si aggiunge inoltre la diversità dei modi di esecuzione, più o meno filologici si apre una gamma che va dalle esecuzioni di Karajan e Bernstein a quelle di più agguerriti ensemble di musica barocca attualmente in circolazione. L'esecuzione di ieri sera è stata molto piacevole e ben condotta. Al primo violino si sono alternati due dei violini primi della Verdi; si è notata forse una leggera differenza di stile tra i due suonatori ma che non ha per nulla influito sulla piacevolezza dell'ascolto.
La seconda parte è iniziata con una bella esecuzione del Canone in re maggiore di Johann Pachelbel. Credo che questa sia la composizione più famosa di Pachelbel utilizzata svariate volte anche in altri generi musicali, dagli Aphorodite Child nel 1968 in Rain and Tears (lo ricordo bene perchè era un brano tipico da ballo della mattonella), a Brian Eno in Fullness of the wind, solo per citarne due. Pachelbel in realtà scrisse moltissima musica per tastiera tra cui particolarmente memorabile l'Hexachordum Apollinis, nonché preludi, fughe, corali e diverse ciaccone tra le quali ho sempre avuto una particolare predilezione per questa in fa minore, piuttosto mesta e struggente.
Il concerto si è concluso con il quindo brandeburghese di Bach che prevede, oltre agli usuali archi, un violino, un flauto e il clavicembalo che emerge dal suo ruolo di componente del basso continuo per diventare protagonista di primo piano in tutti i movimenti ed in particolare nel primo dove Bach prevede una vera e propria cadenza di grande virtuosismo. Nel concerto i solisti erano Alice Iegri al violino, Giona Saporiti al flauto traverso e Gabriele Toia al clavicembalo.
Due bis. La Badinerie dalla seconda suite, con il flauto di Giona Saporiti, molto bravo, e l'aria dalla terza suite, un brano per soli archi anch'esso famosissimo che ha subito varie rielaborazioni, tra cui quella famosissima, soprattutto in Italia, degli Swingle Singers, entrambi di Johann Sebastian Bach, uno dei primi grandi jazzisti della storia della musica.
Bel concerto, serata non troppo calda, bella acustica dovuta al fatto che l'orchestra era situata sotto il portico d'ingresso per cui i suono non si disperdeva, molto pubblico, divertimento tra i suonatori, successo. Una bella serata di mezza estate.

venerdì 6 luglio 2012

Roberto Cominati in concerto

Ieri sera è iniziata in Auditorium la stagione estiva de la Verdi. I primi quattro concerti sono recital pianistici; l'orchestra arriverà dopo la metà del mese. Ieri sera è toccato a Roberto Cominati che ha impaginato un bel concerto con musiche di Beethoven, Bach/Godowsky e Ravel.
Apprezzo molto Roberto Cominati come pianista e come persona. L'ho visto in un'intervista che Carlo Boccadoro gli ha fatto qualche tempo fa in una trasmissione su SKY e ne veniva fuori il ritratto di una persona molto riservata, un po' misteriosa, con la passione del volo e che della professione di pianista non se ne fa un'ossessione perchè in realtà coltiva molti altri interessi. In precedenza l'avevo sentito tutte le volte che è venuto in Auditorium, nel concerto in Sol di Ravel, splendido, nel terzo di Rachmaninov, altrettanto splendido, in Mozart e nel secondo di Beethoven; mi sono perso l'ultima esecuzione del quarto di Beethoven perchè non ero a Milano. Tutte esecuzioni molto belle, ben rifinite, ben ponderate, precise. Cominati, un po' forse come Benedetti Michelangeli, può fare l'effetto di essere freddo e distaccato nelle sue esecuzioni. Sarà il modo di muoversi, di presentarsi. Certo non è un pianista che si muove molto, che strabuzza gli occhi, che posa da veggente ispirato dagli dei; è sempre molto composto e sembra non fare alcuna fatica, sembra che la musica gli scivoli sotto le punta delle dita. In realtà non è affatto freddo e bisogna osservare ciò che si sente. Guardandolo ieri sera, ad esempio, gli ho visto fare, in Beethoven, un movimento di vibrazione delle dita sul tasto come se stesse suonando uno strumento ad arco. Naturalmente quel movimento non produce effetto sul pianoforte ma mi è sembrato una manifestazione di un'intensità emotiva molto interiore; la cosa mi ha impressionato perchè, in anni passati, ho visto fare quello stesso movimento ad un grande pianista come Rudolf Serkin, che non era certo un pianista freddo.
Il Ravel di Cominati è splendido. Certo gli si addice molto con quel pianoforte così arpeggiato, con quel suono da cristalleria, con quella concezione un po' distaccata e aristocratica del suono. Ravel però è anche un autore inquietante. Certo c'è la bellezza e piacevolezza del bel suono ma ad un certo punto ti accorgi che c'è qualcosa di diverso, qualcosa di ossessionante. E' strano Ravel perchè da un lato è tutto perfetto e perfettamente cesellato, come un mobile di ebanisteria perfettamente rifinito nei minimi particolari, colori, pesi, ritmi e dall'altro Ravel manifesta delle tendenze distruttive, come se volesse mandare all'aria tutto. La Valse (qui la versione di Glenn Gould, che riteneva la versione pianistica di Ravel di modesta levatura per non dire mediocre), che è stato l'ultimo pezzo eseguito, termina con una autentica violenza al pianoforte e all'orchestra nella versione orchestrale dove il valzer diventa un incubo da cui non si esce. In precedenza Cominati ha eseguito da par suo la Pavane e i Miroirs. Credo che in generale, presso il pubblico, la considerazione di Ravel poggi soprattutto sulla sua produzione orchestrale (il Bolero!) e che la sua produzione pianistica sia poco frequentata. E' vero che Ravel ha orchestrato molti dei suoi brani pianistici ma io non considererei la sua produzione pianistica solo una preparazione per la versione orchestrale. Ad esempio il terzo brano dei Miroirs, Une barque sur l'océan, è splendido, e come non potrebbe esserlo, nella versione orchestrale, ma l'originale del 1905 lo è altrettanto e del resto ci si deve ricordare che quando nel 1901 Ravel scrive Jeux d'eau, che rimanda certamente ai lisztiani giochi d'acqua di villa d'Este, Debussy non aveva ancora scritto le sue opere più grandi per il pianoforte per cui la ricerca pianistica di Ravel non è affatto di secondo piano.
Il concerto era iniziato con la sonata n. 30 op. 109 in mi maggiore di Beethoven che contiene un primo movimento di incredibile concentrazione dove Beethoven alterna un tempo vivace ad un adagio, un secondo movimento, in minore, dal carattere di una bagatella piuttosto bizzosa, ed un finale, un tema con variazioni basate su un tema di una grandissima bellezza e profondità variato in sei strepitose variazioni. Questa è la prima delle tre ultime sonate che Beethoven, sordo ed isolato (non era più di moda!) scrisse nel 1820, le op. 109, 110 e 111. Dopo non avrebbe più scritto sonate per pianoforte. Queste sono sonate che a tutta prima non sembrano possedere particolari caratteristiche che possano attirare il pubblico; in realtà sono sonate che richiedono uno sforzo particolare di partecipazione ma è uno sforzo che vale la pena di fare per poter vivere queste ultime testimonianze beethoveniane affidate al pianoforte.
Nella prima parte del concerto, dopo Beethoven, è stata eseguita la terza suite per violoncello di Bach trascritta da Godowsky; pianisticamente molto bella ma mi è un po' scivolata via senza prendermi in modo particolare.
Buon pubblico e gran successo.

mercoledì 4 luglio 2012

Una luce verso il fondo

Voglio morire ascoltando questo pezzo. (Vederlo suonato dal vivo è impressionante per l'intensità richiesta al violoncellista)



mentre per il funerale va benissimo questo pezzo di Georg Bohm



Mi porto avanti prima che qualcuno si azzardi a cantare o suonare qualcuna di quelle idiozie, per usare un eufemismo, che di solito si sentono nelle chiese. Vabbè che magari fra 50 anni chissà che musiche faranno! Schutz, Buxtehude, Tunder, Bruhns, Monteverdi, Frescobaldi, ecc. ecc.

martedì 3 luglio 2012

Music in the Baroque Era


More about Music in the Baroque Era, from Monteverdi to Bach.

E' arrivato oggi da una libreria di Bologna tramite Maremagnum. Per essere l'edizione originale del 1947, non l'ho pagato neanche tanto, una trentina di euro ed è in perfette condizioni.
Questo Music in the Baroque Era from Monteverdi to Bach di Bukofzer è proprio quello che mi ci vuole.
(Grazie alla mia amica Elena che in una segnalazione su Facebook lo citava e ha risvegliato in me l'antico interesse per questo libro.)

Ciofeche

Quelli che ora fanno prodotti crossover non hanno inventato niente.

Ecco qui Santo & Johnny che nel 1972 si producevano in una Ciaikovskiana dove veniva portato a perfezione l'inizio del primo concerto di Ciaikovskij, brano che, diciamola tutta, lo stesso autore russo non aveva elaborato molto bene.



Ecco qui Walter Murphy con la sua Fifth of Beethoven, che era funzionale ad un film di successo, ma resta una ciofeca e una dimostrazione di scarsa fantasia infatti poteva comporre un pezzo originale, sempre che ne fosse capace senza scomodare un grande del rock come Beethoven.



Da notare come questo brano sia stato portato ad ulteriore perfezione (fondamentali i fumogeni) dal grande violinista David Garrett; ma di questo ho già parlato in passato e così tralascio anche Waldo de los Rios e il suo Mozart.


Notevole anche Mike Oldfield e la sua rivisitazione di Rossini: ne aveva proprio bisogno!




nulla a che vedere con la classe della Portsmouth orchestra (occhio perchè ci suonano dentro Brian Eno e Michael Nyman), qui in Rossini




e qui in Strauss, Also sprach Zarathustra, nella versione che aveva in mente ma che non fu capace di scrivere