lunedì 30 gennaio 2012

Wilhelm Furtwangler

Qualche giorno fa, il 25, era il compleanno di Wilhelm Furtwangler, direttore d'orchestra immenso.

domenica 29 gennaio 2012

VII sinfonia di Bruckner

Che esecuzione! Ci vuole un po' di pazienza ma ne vale la pena!

Maggiore/minore

Stamattina al VI concerto della serie Maggiore/Minore in Auditorium, il maggiore era Ravel e i due minori, per modo di dire, Reynaldo Hahn e Arthur Honegger.
Di Ravel veniva eseguita l'ultrafamosa suite da Ma Mére l'Oye, di Reynaldo Hahn, famoso come autore di melodie e lui stesso cantante dalla bella voce, Le bal de Béatrice d’Este, una strana composizione dal gusto un po' arcaico, si tratta di una serie di danze, scritta per fiati, due arpe, pianoforte e percussioni, un'opera di grande cesello, come tanta musica francese del XX secolo, di immediato impatto e facile ascolto con belle atmosfere.
Il brano che mi ha attirato di più, però, è stato quello di Honegger, ovvero il concerto per violoncello e orchestra del 1929. Si tratta di un brano che inizia con una semplicissima e dolce melodia del violoncello, successivamente passa attraverso vari momenti ora concitati, ora misteriosi e tenebrosi, per tornare alla fine all'atmosfera dell'inizio, ovvero alla melodia iniziale, ma dopo essere passati attraverso varie peripezie il ritorno assume un significato diverso rispetto all'inizio. E' come quando si ripassa da un luogo in cui si è stati molto tempo prima o come quando si incontra di nuovo una persona che si era persa di vista: ci si ricorda del tempo di allora ma tutto ha un sapore diverso. Un brano interessante da conoscere senza alcun dubbio. Solista del concerto è stato Mario Shirai Grigolato, primo violoncello dell'orchestra che ha molto ben suonato. Direzione efficace di Giuseppe Grazioli che ha dato anche succinte, per forza di cose, ma interessanti spiegazioni sugli autori ed i pezzi eseguiti.
Buon pubblico.

venerdì 27 gennaio 2012

Quando si dice la sfiga...

Uno dei naufraghi della Costa Concordia (Profezia Maya Krypt 67/8523345617/1: Prima del tempo della fine la concordia non regnerà sui mari) era un prete che aveva detto ai suoi parrocchiani: "Vado in ritiro spirituale". Certo che la vita è strana, certe volte. Meno male che era con la famiglia, almeno quello....

Mozart e Rilling


Come ogni anno Helmuth Rilling, uno dei due direttori principali ospiti, torna alla Verdi per un paio di concerti. I suoi sono ovviamente programmi sempre molto classici. Quest'anno è toccato a Mozart, nel primo concerto, e toccherà a Mendelssohn, con il suo oratorio Elias, nel concerto della prossima settimana.
Ieri sera abbiamo quindi avuto il primo concerto interamente mozartiano con le sinfonie in mi bemolle maggiore KV 543, quella in sol minore KV 550, eseguita nella versione senza clarinetti, e la sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per fiati e orchestra KV 297b.
Personalmente ho un rapporto un po' difficile con Mozart, tanto che lo abbandono per mesi, poi ci ritorno su e così via tra alti e bassi. Non che la sua musica non mi piaccia, anzi, la trovo bellissima, fin troppo (non tutta, però). Quello che mi irrita è la sua quasi disumana capacità di sfornare capolavori così diversi tra loro con una facilità irrisoria ed in pochissimo tempo. Se si prendono ad esempio le sue ultime tre sinfonie, si osserva come la terzultima, la KV 543 con la quale si è concluso il concerto, sia datata 26 giugno 1788, la successiva, la KV 550, la sinfonia con la quale si è aperto il concerto, sia datata 25 luglio 1788, e l'ultima, la KV 551 in do maggiore sia datata 10 agosto 1788. Quindi nel giro di un paio di mesi Mozart scrisse, tra le altre cose, queste tre sinfonie, tre capolavori, molto diversi tra loro e immediatamente dopo aver composto la sinfonia in sol minore, tonalità del destino fatale contro il quale non si può combattere, ne ha scritto una in do maggiore che, pur avendo delle screziature amare nel secondo movimento, ha un'impostazione del tutto positiva e che si conclude con una luminosa fuga, veramente olimpica. Mi rendo conto che Mozart era un genio assoluto, però tutto ciò mi irrita un po'. Inoltre per me è sempre difficile rapportarmi con la sua musica perchè è così sfuggente, un po' come l'uomo Mozart. Lo amo tantissimo ma non riesco ad inquadrarlo del tutto; forse però è proprio questo che mi affascina.
Detto questo Rilling ha concertato un ottimo concerto che ha avuto i suoi momenti più intensi nei movimenti lenti dei tre pezzi. Memorabile il trio del minuetto della sinfonia KV 543, una sinfonia così terrestre, così appagante nella sua gioia di vivere, una sinfonia scritta senza oboi ma con due clarinetti che proprio nel trio si abbandonano ad una dolcissima melodia con venatire già shubertiane, una vera e propria serenata estiva sutto un pergolato, una musica da "Gasse" da suonarsi sotto le finestre della bella amata, quando si era ancora capaci di fare le serenate. Molto ben eseguito anche il bellissimo finale della sinfonia concertante, un giardino di delizie sempre crescenti man mano che la musica procede.
Se posso fare un appunto lo farei al finale della sinfonia in sol minore, che poteva essere un po' più dinamico ed al minuetto della medesima sinfonia dove, alla fine della prima parte, è stata fatto un ritardando secondo me non necessario all'economia del discorso.
Per il resto Rilling ha fatto TUTTI i ritornelli in ogni movimento, e questo è un fatto molto positivo che ho apprezzato tantissimo, non per pedanteria accademica, ma per una questione di equilibrio.
Nella sinfonia concertante si sono esibiti quattro prime parti dell'orchestra, Emiliano Greci all'oboe, Raffaella Ciapponi al clarinetto, Sandro Ceccarelli al corno e Andrea Magnani al fagotto tutti bravi (segnalo solo, purtroppo, l'unico serio incidente della serata capitato al corno solista che in un passaggio del primo movimento, in una progressione in fortissimo ha perso il controllo dello strumento producendo un suono orripilante, ma nella successiva ripetizione, pochi secondi dopo, tutto è andato ottimamente).
Orchestra concentrata e attenta che ha suonato molto bene.
Pubblico numeroso che se non ha applaudito facendo voci ha applaudito in modo molto più convinto degli ultimi concerti.
Personalmente ho applaudito molto più volentieri a questo concerto che al precedente di Dvorak dove le mani non si volevano proprio muovere.

La memoria


Quando sono andato in Austria per la prima volta, nel 1973, io e i miei amici abbiamo fatto la prima sosta a Linz dove ci siamo fermati un giorno. Poi siamo andati a Sankt Florian, reverente omaggio a Bruckner, e a Steyr, bellissimo paesino sotto Linz. Poi ci avviammo lungo il Danubio verso Vienna e passammo, facendo una piccola deviazione, da Mauthausen, al Lager, voglio dire. E' molto difficile dire cosa si sente in un posto così, una tristezza infinita, una emozione indefinibile eppure così precisa, indefinibile perché troppo ricca di sensazioni dolorose, precisa perché tutta focalizzata sull'orrore di cui noi possiamo essere capaci.

martedì 24 gennaio 2012

Prossima destinazione




Tra poco più di un mesetto escursione a Petra

Rostropovich - Richter - Beethoven

Uto Ughi alle Serate Musicali


Ieri sera al Conservatorio per le Serate Musicali concerto cameristico con Uto Ughi accompagnato dal bravo pianista Giovanni Bellucci.
Ricordo Uto Ughi in un concerto al Conservatorio, credo più o meno 40 anni fa quando suonò il concerto di Sibelius; ebbe un successo così clamoroso che dovette fare il bis dell’intero movimento finale.
Ieri ho deciso di andare al concerto un po’ all’ultimo momento e così, vista la gran massa di gente presente, ho dovuto prendere un biglietto lato coro, ovvero dietro i due suonatori; in questo modo ero a non più di quattro metri da loro e ho potuto osservarli bene mentre suonavano. La musica si sente, dando al verbo sentire il suo significato più ampio, ma si vede anche, negli sguardi d’intesa, nelle espressioni ora ironiche, ora stupite, ora divertite, ora quasi angosciate. Vedendo suonare, si capisce meglio anche la musica, partecipando assieme a chi suona, vivendo assieme l’emozione e i vari passaggi di cui è composto un pezzo che non è una sfilata di note con un inizio ed una fine ma un organismo vivente che torna a nuova vita grazio all'interprete e all'ascoltatore, che si spera siano entrambi di buona qualità.
Ieri sera ho deciso di andare al concerto non perché ci fosse Uto Ughi ma soprattutto perché veniva eseguita la sonata di Franck che costituiva la prima parte del concerto. Conosco bene questa sonata ma non l’avevo mai ascoltata dal vivo. Ieri mi ha fatto un effetto quasi sconvolgente; purtroppo per me questo è un tipo di musica che mi si insinua nella testa per ore per cui me la sono portata dietro, dopo il concerto, fino a quando sono andato a letto e anche dopo, dormendo. Questa sonata, dall’inizio alla fine, non ha un solo istante in cui cali la passione, la poesia, l’ispirazione,e il tutto sorretto da una grandissima solidità di costruzione. In questa sonata ci sono momenti quasi insostenibili di tensione e di pienezza espressiva; letteralmente non si può resistere a questa musica. Uto Ughi ha dato un’interpretazione di grande intensità con il suo Guarneri del Gesù chiamato a cantare a piena voce nel terzo movimento o nel finale, ma che dire delle convulsioni passionali del secondo movimento. Oltretutto, vedendo così da vicino Ughi, in certi momenti dava l’impressione di essere lui lo strumento attraverso il quale il violino poteva dispiegare la sua voce, cioè di essere “suonato” dal violino. Rapporto strano, molto inquietante quello tra il violinista e il suo strumento.
La seconda parte del concerto si è aperta con la sonata Op. 108 di Brahms, che avevo già ascoltata, sempre al Conservatorio, la scorsa settimana eseguita dal giovane Ray Chen. Verrebbe naturale quindi fare un paragone tra le due interpretazioni. A dire il vero però questo è un gioco che trovo abbastanza noioso perché ogni interpretazione è, appunto, un’interpretazione e quindi, nel bene e nel male, ha una propria logica che va comunque rispettata a meno che non stravolga o non valorizzi la poetica dell’autore. Se la si vede dal punto di vista della correttezza dell’esecuzione, allora Chen, probabilmente è stato superiore ad Ughi perché non ha sbagliato una nota mentre Ughi qua e là ha avuto qualche piccola sbavatura, ma se la mettiamo dal punto di vista dell’intensità del canto e sulla poesia, obiettivamente non c’era paragone possibile non solo nei momenti più intensi, come il secondo movimento o il finale, ma anche nel terzo movimento così lieve, quasi una bagatella, e così tipico dell’ultimo stile brahmsiano che ricorda certi brani della sua tarda produzione pianistica, che è stato eseguito con un tono divertito e “fantastico”.
L’ultimo brano in programma era la Tzigane di Ravel, brano veramente diabolico ed inquietante, come un po’ tutto Ravel, ma anche divertito e divertente con quel suo accumulo forsennato di difficoltà sempre crescenti con cui Ravel pare ingaggiare una lotta tra se stesso e il violino; certo, il violino dimostra una resistenza incredibile.
Poi sono arrivati i bis, la danza da La vida breve di de Falla, la Paraphrase de concert dal Rigoletto di Liszt, con la quale anche il bravo pianista ha avuto il suo momento di gloria personale e la Fantasia dalla Carmen di Pablo de Sarasate.
Normalmente quando si fanno i bis, gli artisti, chiusi probabilmente come ricci nel loro narcisismo, o non dicono quale brano faranno, o smozzicano qualche parola a voce bassissima che non raggiunge la terza fila di platea, neanche stessero parlando con il fantasma del loro bisnonno nella cappella della tomba di famiglia. Si generano così brusii, “Cos’è?”, “E’ Clementi!” “No, è Field!”, discussioni che proseguono nell'intervallo, come è successo a me una volta al book shop dell'Auditorium con un signore che insisteva nel dire che un bis, che era la prima bagatella di Beethoven op. 126, era in realtà Scarlatti o in subordine Chopin; ed io con somma perfidia, ma neanche tanta, gli ho pure detto che sì, certo, quel Beethoven aveva un che di chopiniano ma che fino a Scarlatti non mi sarei spinto! Ieri sera invece Ughi ha annunciato i bis con il microfono, per cui non ci sono stati fraintendimenti di sorta.
Sala piena, successo vivissimo, grande divertimento, serata per diversi aspetti memorabile.

venerdì 20 gennaio 2012

Dvorak


Ieri sera all'Auditorium di Milano si è tenuto il secondo concerto della serie dedicata a Dvorak e diretta da Aldo Ceccato che in tre anni vedrà l'esecuzione di tutte le sinfonie, dei concerti e dei poemi sinfonici.
La fama di Dvorak è strana perchè se si dice Dvorak molti dicono "Che bello!" ma poi, se si va a guardare, se si esula dalla IX sinfonia "Dal nuovo mondo", di cui comperai il disco diretto da Toscanini nel 1967 e alla cui esecuzione alla fin fine sono sempre rimasto fedele, dal concerto per violoncello e dalle danze slave, la prima serie perché con la seconda già andiamo malino, di Dvorak si conosce abbastanza poco. I concerti per violino e per pianoforte sono praticamente sconosciuti, i poemi sinfonici raramente eseguiti, il bellissimo Requiem o l'ancor più bello Stabat Mater ancora meno, come pure i quartetti, a parte il quartetto "Americano", i trii, i quintetti, le opere pianistiche e le opere liriche.
Il concerto si è aperto con lo Scherzo capriccioso op. 66 del 1883, un brano che dura meno di un quarto d'ora, dalla brillante orchestrazione e originale nella struttura con passaggi lirici e accensioni immediate, insomma, Dvorak al 100%; una composizione che mi è sempre piaciuta molto. Tra l'altro, proprio per questo aspetto così brillante e vario, con passaggi ora misteriosi quasi onirici con l'arpa, ora sgargianti che portano ad una coda travolgente, anni fa leggevo che questo brano sarebbe particolarmente indicato in musicoterapia per i depressi ed in effetti se si è un po' di cattivo umore e un po' giù, soprattutto qua a Milano e manca il mare da guardare, una musica come questa può far stare meglio. Purtroppo l'esecuzione di Ceccato non è stata propriamente vivace. Non è stata una cattiva esecuzione ma mi è parso che il brano fosse preso un po' troppo con circospezione già a partire dalla prima entrata dei corni; invece questa è una musica da prendere proprio di petto, animandola di vita fino alla stretta finale che deve essere sempre più incalzante e correre spedita: sentire per referenze Kubelik o Kertesz, ma anche Sawallisch che da buon tedesco trova vene brahmsiane in questa musica ma comunque corre senza indugi fino alla conclusione che si porta via tutto. Il pubblico ha reagito all'esecuzione del brano con una certa flemma: un applausino senza ulteriori richiami.
Poi è arrivato il concerto per pianoforte Op. 33 del 1876. Come ricorda Piero Rattalino nel suo libro sulla storia del concerto per pianoforte e orchestra, questo concerto voleva andare a risolvere un problema, ovvero come tentare una sintesi tra il virtuosismo esasperato e il rapporto con l'orchestra in modo che quest'ultima non fosse relegata al ruolo di comprimario, ovvero Dvorak cercò di scrive un concerto per pianoforte e orchestra e non un concerto per pianoforte con accompagnamento orchestrale. Quindi questo concerto ha un considerevole spessore sinfonico e la parte pianistica è molto difficile, ma con difficoltà sproporzionate all'effetto virtuostico che in realtà producono. Di conseguenza il concerto non fece molta presa sul pubblico e neanche sui pianisti. Quarant'anni dopo il pianista Vilém Kurz revisionò la parte pianistica semplificandola un po' ma non raggiunse l'effetto sperato di rilanciare la fama del concerto. In effetti si dovette attendere che di questo concerto se ne occupasse Sviatoslav Richter,che assieme all'inarrivabile e sommo Carlos Kleiber ne fece una registrazione discografica, per dimostrare il valore di questo concerto e la sua importanza storica. Con tutto ciò questo è ancora un concerto eseguito poco e quindi in genere poco conosciuto; personalmente in quasi 44 anni di frequentazione di sale da concerto un po' ovunque questa è stata la prima occasione in cui l'ho potuto ascoltare dal vivo. Qui le cose sono andate meglio. I tempi erano giusti e il pianista Benedetto Lupo, vecchia conoscenza in Auditorium, è stato come al solito molto bravo ed efficace pur nel compito non sempre grato di suonare questo concerto (che figurone si fà invece con Chopin o Ciaikovskij!).
Il concerto si è concluso con l'VIII sinfonia in sol maggiore op. 88 del 1890. Questa è una sinfonia che amo molto, se possibile più della famosa IX perchè l'ho sempre trovata ottimamente scritta e originale nella forma fantasiosa. Tra l'altro questa sinfonia contiene un movimento lento veramente incantevole con quei clarinetti così nostalgici e un terzo tempo, una specie di minuetto, che, per me, è il più bel terzo tempo di sinfonia che Dvorak abbia mai scritto, meraviglioso nel primo tema e con un trio che amplifica ulteriormente questa meraviglia. Il finale è un tema con variazioni che si apre con una fanfara delle trombe e si conclude con colori incandescenti e travolgenti. Non dico nulla del primo movimento perchè appena dopo l'inizio un signore tre file davanti alla mia si è sentito male e ci è voluto quasi tutto il movimento per portarlo via, grazie all'intervento di robusti pompieri; il tutto è stato fatto con grande discrezione. Alla fine del concerto era nell'atrio in attesa di tornare a casa con la comitiva di cui faceva parte e stava molto meglio, a quanto mi ha detto una persona dello staff.
L'esecuzione è stata buona, direi, anche molto buona nelle parti più meditative; nel finale, però, un po' di verve in più non sarebbe guastata. Insomma con Dvorak, compositore esaltante come pochi, bisogna anche darci dentro un po' quando serve. E' un peccato perchè l'orchestra Verdi è capace di grandi dinamismi (me la ricordo bene in certe esecuzioni di Stravinskij, di Shostakovich ed altri) e mi è sembrato che fosse come un po' trattenuta.
Pubblico non foltissimo, applausi in genere pochini (quelli maggiori sono venuti alla fine con concerto per pianoforte in attesa del bis).
Peccato perchè l'orchestra meriterebbe in ogni caso maggiori riconoscimenti dal proprio pubblico per l'impegno.

giovedì 19 gennaio 2012

Una modesta proposta

Non si potrebbe tornare alla TV di una volta, quando per alcune ore al giornonon si trasmetteva nulla?
Penso che sarebbe un guadagno per la salute mentale di un po' tutti.
Quanto tempo perso ad ascoltare chiacchiericci, ad appassionarsi a finti processi, a guardare gente che balla, a contemplare (finti) pietosi casi umani, ecc.
Non sarebbe meglio passare il proprio tempo a curare i rapporti umani, ad amare, a fare conversazione, a leggere, a suonare uno strumento, ad ascoltare un po' di musica, a guardare il cielo, a guardare il mare, a fare una passeggiata, a risentire finalmente un vecchio amico, a studiare una lingua straniera, a fare un po' di volontariato, a fare un corso di cucina o di lavoro a maglia, ecc. ecc. ecc.?
In alternativa si può sempre spegnere la TV (personalmente è quello che faccio io).

mercoledì 18 gennaio 2012

Gustav Leonhardt


Gustav Leonhardt è morto lunedì. Si era ritirato dalle scele lo scorso 12 dicembre con un concerto al Théâtre des Bouffes du Nord a Parigi, da cui questo estratto di Georg Boehm.
La scorsa estate riuscii ad ascoltarlo il 19 agosto, nell'ambito di una rassegna milanese di musica barocca. Ci sarebbe stato un concerto anche il 20 ed uno il 21 ma proprio il 20 sarei partito per il mare per cui li persi. Mi ricordo che per caso trovai a quel concerto un vecchio amico e si commentava che sarebbe stato assudo non andarlo a sentire considerando che era stato un nostro mito già da più di 40 anni prima con le sue incisioni delle cantate bachiane e che non si poteva sapere se ci sarebbe stata un'altra occasione per sentirlo. Sembrava quasi un presentimento. Fu un'esperienza quasi ascetica nell'asciuttezza delle sue esecuzioni che trovavano un riscontro visivo nella sua figura così severa, quasi altera se non fosse trapelata quasi una timidezza, un desiderio quasi di scomparire dalla scena. Un grande ricordo.

Ray Chen

Ieri sera al Conservatorio per la Società del Quartetto si è tenuto un concerto con musiche per violino e pianoforte con Ray Chen al violino e Julien Quentin al pianoforte, entrambi ospiti per la prima volta del quartetto.
Il concerto si è aperto con la sonata KV 454 di Mozart, grande musica con un secondo movimento bellissimo e molto profondo nell'improvviso passaggio a minore; è come se improvvisamente si passasse da un mondo sereno e colorato in un mondo angoscioso e grigio, una magia musicale. Poi è arrivato Brahms con la sua sonata in re minore Op. 108, scritta tra il 1886 e il 1888. Assieme alla sonata Op. 100 e al doppio concerto Op. 102 questa è un'opera che fu scritta da Brahms come una mano tesa verso il vecchio amico e grande violinista Joachim con il quale aveva rotto l'amicizia e il sodalizio spirituale ai tempi della sua separazione dalla moglie, occasione in cui Brahms aveva preso posizione a favore della donna. I due si riavvicinarono e suonarono assieme la prima esecuzione di questa opera così intensa, poetica, nostalgica e piena di passione. Questa musica esprime un sentimento molto profondo; se è magnifico il sentimento dell'amicizia, quello della ritrovata amicizia è ancora più bello, maggiormente bello perchè espresso senza parole.
Nella seconda parte del concerto Chen ha eseguito la seconda sonata per violino solo di Ysaye Op. 27, opera un po' ossessionante con quei continui richiami al tema della morte tramite la continua citazione del Dies Irae, una ossessione che ricorda un po' quella analoga di Rachmaninov. Non mi appassiona in modo particolare la musica per violino solo ed in ogni caso, per gusto personale, in questo repertorio resto assolutamente un bachiano.
Il concerto si è concluso con due brani di Saint-Saens, l'Havanaise Op. 83 e la Introduzione e rondò capriccioso Op. 28, due opere molto piacevoli che però esprimono il meglio nella versione orchestrale.
Ray Chen ha suonato molto bene. Bel suono sempre ed in ogni situazione, sia nei momenti più calmi e lirici, sia nei momenti più concitati e tesi, come nel finale della sonata di Brahms. Personalmente però l'ho trovato complessivamente un po' freddino nel senso che nei momenti più intensi di Mozart o di Brahms (il secondo movimento o il finale) ci poteva essere un po' più di coinvolgimento e di intensità nel suono. Anche in Saint-Saens l'esecuzione poteva essere un po' più morbida. flessibile e affascinante; invece il tutto era eseguito alla perfezione, forse perfino un po' troppo. Comunque Ray Chen ha dato delle belle esecuzioni di queste musiche ed è di sicuro un violinista fenomenale (ha vinto il Queen Elisabeth del 2009 e il Menuhin del 2008), ha personalità in abbondanza ed è talmente giovane, 23 anni il prossimo marzo, che ha tutto il tempo, con quella dote di talento che ha, di maturare dal punto di vista dell'interpretazione.
Pubblico abbastanza numeroso ma non numerosissimo. Buon successo ma non clamoroso.

domenica 15 gennaio 2012

Haydn e Bruckner


Nell'ultimo concerto in Auditorium sono state eseguite la sinfonia concertante di Haydn e la V sinfonia di Bruckner.
La sinfonia concertante per violino, oboe, fagotto, violoncello e orchestea fu scritta da Haydn nel 1792 per i concerti Solomon di Londra, che gli avevano già commissionato le 12 sinfonie londinesi; il genere della sinfonia concertante aveva molto successo e in particolare avevano successo quelle scritte da Pleyel, già allievo di Haydn, che poi si sarebbe trasferito a Parigi diventando un famoso costruttore di pianoforti apprezzatissimi da Chopin, tra l'altro.
Come al solito Haydn è una miniera di delizie musicali piccole e grandi e i quattro solisti hanno modo di dimostrare la loro bravura suonando parti certamente non facili. Come solisti c'erano quattro prime parti dell'orchestra, Luca Stocco, oboe, Andrea Magnani, fagotto, Luca Santaniello violino e Mario Shirai Grigolato, violoncello; tutti bravi anche se personalmente ho apprezzato di più i due fiati ed in particolare, potrà sembrare strano, il fagotto di Andrea Magnani.
Poi è arrivato Bruckner con la sua V sinfonia scritta tra il 1875 e il 1877.
Dichiaro subito la mia passione per Bruckner (forse è colpa del fatto che siamo dello stesso segno zodiacale, ci separano un paio di giorni e diversi anni, e che è passato dall'altra parte lo stesso giorno del compleanno di mio figlio, 92 anni prima) e in particolare per la V sinfonia. Quando si approccia Bruckner magari è più facile imbattersi nella quarte o nella settima o nell'ottava... la quinta è un caso un po' a parte e io ci sono arrivato un po' alla volta.
Gran sinfonia la quinta, una costruzione veramente ciclopica, in particolare nel finale dove tutto, come nella IX di Beethoven, ritorna e dove Bruckner mette in piedi un edificio sonoro di incredibile complessità, dove la trama contrappuntistica è talmente fitta che lo spazio sonoro viene totalmente saturato e dove il tutto si conclude con la perorazione finale del corale, che porta ad un'affermazione positiva, all'unico "si" possibile dopo i tanti "no" detti prima, che è forse la conclusione di sinfonia più grande della storia della sinfonia; musica veramente visionaria.
Certo Bruckner pretende molto, moltissimo, dall'orchestra, in particolare dai fiati (i corni!) e da chi ascolta. A me Bruckner fa lo stesso effetto che mi faceva lo joga, quando facevo joga. Come diceva il mio maestro si deve respirare e ci si deve mettere comodi con il corpo per attendere che arrivi quel momento in cui, con la mente totalmente calma, si può accedere alla contemplazione. Poi è vero che tutto torna alla normalità, alla vita di tutti i giorni, ma si impara anche ad avere un punto di vista diverso, più alto, più importante.
Pubblico gremito come i cactus in un deserto dell'Arizona che è scattato alla fine in un applauso con la stessa lena e voglia con cui un indio abbandona la propria amaca nell'ora della siesta.
Peccato, anche perchè gli orchestrali e il direttore, Claus Peter Flor, si sarebbero meritato un riconoscimento maggiore per il proprio impegno anche se l'esecuzione non è stata sempre impeccabile e mancava qua e là di un po' di pathos, soprattutto nel secondo movimento, adagio, condotto con un tempo leggermente troppo veloce (si ascolti Celibidache o Furtwaengler, per avere un'idea di cosa si può realizzare con questa musica, pur con approcci tanto diversi). Comunque per me, almeno, il miglior Bruckner ascoltato dal vivo negli ultimi anni.
Orchestra concentrata ed attenta; bravi!

sabato 7 gennaio 2012

Oratorio di Natale

Ieri pomeriggio/prima serata, in Auditorium abbiamo avuto l'Oratorio di Natale di Bach, appuntamento ormai tradizionale, con la Verdi barocca.
L'esecuzione è stata splendida e giustamente salutata dal numeroso pubblico con acclamazioni.
Ottimi i soli, Paolo Lopez sopranista, Filippo Mineccia, controtenore che aveva già cantato anche in Rinaldo qualche settimana fa e che nell'oratorio ha avuto modo ancora di più di mettere in evidenza la sua grande bravura, Makoto Sakurada, tenore nel ruolo di Evangelista e solista anche nelle sue arie, cantante dallo stile irreprensibile e dalla voce bellissima e Christian Senn, basso, anche lui sentito recentemente sia nel Rinaldo, sia nel Messiah, e come Makoto Sakurada vecchio amico della Verdi barocca vista la frequenza delle sue presenze.
Ottimo, come al solito, l'ensemble vocale diretto dal maestro Capuano e brava l'orchestra con flauti solisti, oboi e trombe in bella evidenza. Se posso muovere una critica la farei ai corni. Va bene che saranno anche strumenti originali, ma mi pare che sentano delle belle stecche (anche nel primo brandeburghese di due mesi fa era un po' faticoso. per me, ascoltarli).
Su Bach che dire? Se è vero, come è vero, che la musica è un'arte molto misteriosa che unisce al rigore l'emozione, che non è sentimentalismo ma emozione che nasce dalla contemplazione della bellezza, Bach è certamente al vertice di questa arte.
Per finire vorrei dire due cose.
La prima riguarda l'orchestra. E' sempre un piacere andare per concerti di musica barocca, non parlo solo della Verdi barocca, perchè si vede come gli orchestrali partecipino con attezione a tutta l'esecuzione, anche nelle parti in cui non suonano. Insomma non si vede gente parlare tra loro, ridacchiare, gente che si guarda in giro come se fossero lì per caso, come accade, purtroppo spesso, in diverse orchestre sinfoniche, anche nella Verdi. Io li vedo bene perchè mi metto in galleria, chi sta in platea vede le prime file e quelli dietro sono nascosti. E' vero che in un ensemble barocco sei più in primo piano e forse dipende anche dal carisma del direttore, ma mi sembra che alla base ci sia anche il piacere di fare musica; se fai l'orchestrale con l'attitudine di un impiegato statale, con il massimo rispetto degli impiegati statali, forse serebbe meglio cambiare mestiere perchè fra un'entrata e l'altra non puoi metterti a parlare con il vicino ma ti devi preparare alla tua entrata.
La seconda cosa riguarda il pubblico.
Devo dire che il pubblico della barocca è più giovane, mediamente, e più entusiasta di quello dei concerti sinfonici tradizionali. Ieri sera si sono sentite urla da stadio. E' vero che i grandissimi direttori latitano dalla stagione sinfonica (e del resto con quali soldi li si potrebbe pagare?) ma si dovrebbe essere comunque in grado di riconoscere una bella esecuzione anche se fatta magari da un giovane. Invece vedi gente, li vedo da anni, che non applaudono mai, che se appena ti azzardi a fare delle incursioni nel '900 o in brani meno noti anche di autori famosi, non vengono e lasciano il posto vuoto, ecc. Speriamo che nasca una nuova generazione di buoni ascoltatori di musica (io faccio parte di quella nata più di 40 anni fa al seguito di Claudio Abbado quando era venuto alla Scala), perchè come c'è musica e musica, esistono compositori e compositori, esecutori ed esecutori ed esistono anche ascoltatori ed ascoltatori.

giovedì 5 gennaio 2012

Violini

Leggo di un test che è stato fatto con 21 violinisti che hanno suonato bendati 6 violini, 3 di fabbricazione moderna (poche migliaia di euro) e 3 antichi (2 Stradivari del 1700 e un Guarneri del Gesù del 1740). Il risultato è stato che la preferenza è stata data, tramite voti, agli strumenti moderni.
Mi sembra assurdo perchè so che per uno strumento moderno devono passare 70/80 anni prima che suoni veramente bene e, in linea teorica, penso che uno Stradivari o un Guarneri del Gesù, anche se forse di non eccezionale qualità, suonino comunque meglio di uno strumento moderno.
Forse dipende anche dal suonatore (alcuni mesi fa ho sentito un violinista che raspava in modo immondo in un bellissimo Stradivari, non facendogli certo un gran servizio).
Personalmente ricordo concerti di grandi violinisti che suonavano grandi strumenti antichi e il suono correva in sala, ricco, luminoso. Credo che quello sia il metro di giudizio non quello del violinista che suona a stretto contatto con lo strumento.
Credo che il test sia stato condotto nel modo sbagliato.

Compleanni

Oggi, 5 gennaio, compiono gli anni Umberto Eco (80) e Maurizio Pollini (70).
Ho verificato che di Umberto Eco ho letto veramente molto; in qualche modo trovo affascinante il suo modo di scrivere e gli argomenti di cui parla.
Ricordo quando uscì Il nome della rosa; improvvisamente si doveva avere assolutamente quel libro e si andava in giro per Milano con il libro bene in vista per far vedere che ce l'avevi (io non l'ho mai fatto, eh); fenomeno strano perchè Eco era conosciuto, almeno da me, per cose cose, come la Fenomenologia di Mike Bongiorno, che pareva quasi un'opera in due tomi mentre in realtà era un piccolo saggio di 15 pagine. Grandissimo affabulatore, starei ad ascoltarlo per ore.
Di Maurizio Pollini ricordo le moltissime occasioni in cui l'ho sentito in concerti alla Scala ed al Conservatorio; un concerto su tutti quello in cui con il Quartetto Italiano eseguì il Quintetto di Brahms e naturalmente anche i concerti con Abbado.
Ho avuto un paio di fugaci contatti con lui. Una volta nell'intervallo di un concerto alla Scala ero nel foyer dei palchi e mi fumavo una sigaretta (allora, anni '70, fumavo e si poteva fumare nei luoghi pubblici); lui mi si avvicinò e mi chiese se avevo da accendere, al che gli porsi la scatola dei cerini, si accese la sigaretta, mi ringraziò, e si mise a camminare avanti ed indietro assorto dai suoi pensieri. Un'altra volta fu nel teatro tenda che nei primi anni '70 girava per Milano portando spettacoli di vario tipo in collaborazione con Scala, Piccolo Teatro e altri. Quella volta il teatro tenda era in piazza Abbiategrasso, vicino a casa mia, che allora (1973) non aveva l'aspetto odierno. Davanti alla mia vecchia scuola media, ora in rovina, c'era un grande prato ora scomparso. Quella sera c'era un concerto di Dino Ciani che suonava i preludi di Debussy e naturalmente non potevo non andarci con i miei amici, anche perchè avevo i dischi di Ciani con quelle musiche. Esattamente dietro di me c'era seduto Pollini con Riccardo Bacchelli e applaudirono piuttosto convinti. Povero Ciani, l'anno successivo sarebbe morto in un incidente d'auto privando il mondo della musica di un talento enorme di neanche 33 anni.

PS

Il 5 gennaio sarebbe stato il compleanno di Arturo Benedetti Michelangeli, classe 1920, e Severino Gazzelloni, 1919.
Compiono gli anni oggi anche Alfred Brendel (1931), sommo pianista, e Christian de Sica (1951) ma su quet'ultimo stenderei un velo piuttosto spesso.

mercoledì 4 gennaio 2012

Musicofilia

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Ieri ho terminato Musicofilia di Oliver Sacks.
L'ho letto in un periodo di tempo lunghissimo, due anni, un po' alla volta, senza fretta, poi negli ultimi 10 giorni ho finito le 200 pagine che mi mancavano.
Il libro tratta della relazione tra malattie mentali di vario tipo (ce n'è una quantità impressionante tanto che dobbiamo ringraziare il buon Dio se stiamo bene di mente, o almeno crediamo di stare bene) e la musica e dell'efficacia della musicoterapia nelle malattie mentali.
E' un libro molto interessante di più di 400 pagine che consiglierei ad occhi chiusi anche se non è certo un libro facile.
La cosa impressionante è la constatazione di quanto la musica vada in profondità nelle mente umana andando a toccare aree altrimenti inaccessibili. Malati di Parkinson o di Alzheimer o affetti da vari tipi di demenza, altrimenti inerti, con la musica giusta si rianimano, battono il tempo con il piede, possono addirittura suonare il pianoforte o il violino pur avendo perso ogni sensazione del luogo in cui si trovano e non conoscendo più le persone; magari non sanno più che cos'è un violino ma se glielo metti in mano possono ancora suonarlo; oppure le persone affette da morbo di Williams che hanno un QI di 50 ma una sensibilità musicale sviluppatissima con casi famosi come quello di Gloria Lenhoff che canta con bella voce di soprano facendo anche concerti.
Certamente la musica non è una cura (Novalis diceva "Ogni malattia è un problema musicale, ogni cura è una soluzione musicale") perchè gli effetti terminano al cessare della musica ma può alleviare molte sofferenze e può essere di grande consolazione e può dare gioia.
Certo la musica è un'arte molto strana perchè da un lato è estremamente precisa e razionale e dall'altro provoca emozioni anche fortissime fino al pianto e la mente umana è certamente un mistero altrettanto grande.