giovedì 29 novembre 2012

Back from the USSR

Giovedì scorso ero lì in Auditorium a sentire Shostakivich. Stasera ero lì a sentire un nuovo concerto dell'orchestra Verdi con musiche di Brahms, Schubert e Mendelssohn. Niente di strano se non fosse che in questi pochi giorni l'orchestra è andata e tornata dalla Russia per una breve tournée nel corso della quale ha tenuto due concerti, a Mosca e a San Pietroburgo e da cui è tornata carica di gloria, non solo lei, ma anche il direttore Jader Bignamini e la giovane e bravissima violinista Francesca Dego che suonava nel primo concerto di Paganini e di cui recentemente per la DG è uscita la registrazione dei capricci.
Deve essere stata una sfacchinata e la preparazione del concerto di stasera deve essere stata un po' un'impresa.
Del resto anch'io sono in partenza e scrivo molto velocemente queste note. Giovedì prossimo sarò lì per il concerto straordinario, a Dio piacendo, ma nel frattempo sarò partito e tornato da Praga.
Nel concerto di stasera sono state eseguite le Variazioni su un tema di Haydn (che non è di Haydn) di Brahms, grande brano, cui è seguita la quarta sinfonia di Schubert che la scrisse a 19 anni e per concludere il Salmo 42 di Mendelssohn, pagina sicuramente poco conosciuta come tutto il repertorio religioso di Mendelssohn, ma che contiene degli splendidi squarci musicali e che ha il pregio, a differenza dei due grandi oratori, soprattutto l'Eljah, di essere relativamente breve.
Le esecuzioni sono state abbastanza buone (ci sono stati alcuni momenti difficili in Schubert) ma miglioreranno sicuramente nel corso delle repliche.
Il concerto, destinato originariamente a Helmut Rilling, è stato diretto, per evidenti problematiche legate alla contingenza delle prove, da Ruben Jais che mi è parso a suo agio in Mendelssohn e un po' meno in Brahms e soprattutto in Schubert di cui non ho capito bene che visione avesse.

Un piccolo ricordo di George Harrison

Come oggi, 11 anni fa, moriva George Harrison, un tipo timido vissuto all'ombra di Lennon e McCartney ma che a un certo punto ha trovato una propria identità e ha cominciato ad avere un certo spazio, seppure sempre abbastanza limitato nelle uscite del gruppo.
Dopo lo scioglimento dei Beatles fece un bel disco, All things must pass che contiene questo bel brano omonimo, struggente.



mercoledì 28 novembre 2012

Il Trio di Parma e Dvorak

Ieri sera per la Società del Quartetto il Trio di Parma ha tenuto un meraviglioso concerto al Conservatorio.
Era il secondo concerto dedicato ai trii di Dvorak; il primo era stato tenuto la scorsa primavera.
Nel concerto sono stati eseguiti il trio n. 2 in sol minore op. 26, del 1876, e il trio n. 3 in fa minore op. 65, del 1883.
L'esecuzione di queste opere è stata un'operazione assolutamente meritoria dal momento che Dvorak sostanzialmente è conosciuto per quattro, forse cinque, composizioni anche se, naturalmente, è un grande nome: chi non conosce Dvorak, quello della Sinfonia dal nuovo Mondo!? Appunto.
Che Dvorak sia poco conosciuto al di là di quelle quattro o cinque composizioni è un peccato perché Dvorak è un magnifico compositore e le sue opere si impongono immediatamente all'attenzione dell'ascoltatore. Ieri sera, ad esempio, una signora seduta davanti a me dopo l'esecuzione del primo pezzo, che per sua ammissione non conosceva, ne magnificava la bellezza a dimostrazione del fatto che Dvorak è un compositore che anche ad un primo ascolto soddisfa sempre e a conoscerlo meglio c'è da guadagnarci molto.
Il Trio di Parma è un complesso magnifico e ha dato di queste bellissime musiche delle esecuzioni di assoluto valore.
Come già era accaduto in altri concerti del Trio di Parma, i suoi bis sono assolutamente sontuosi e ieri sera, come bis, hanno eseguito addirittura il secondo movimento del trio di Schubert op. 100, Andante con moto, quella musica diventata famosa presso il grande pubblico per via del Barry Lyndon di Kubrick. Esecuzione splendida salutata alla fine da un silenzio che nessuno voleva interrompere e seguito poi da un'ovazione.
Pubblico abbastanza numeroso. Grande successo.

martedì 27 novembre 2012

Trifonov al Conservatorio

Ieri sera il pianista Daniil Trifonov ha dato un concerto al conservatorio per le Serate Musicali esequendo la seconda sonata di Scriabin, la Sonata di Liszt e i Preludi di Chopin.
Avevo già ascoltato Trifonov, classe 1991, nel gennaio 2010 quando venne in Auditorium ed eseguì il terzo concerto di Prokofiev e in quell'occasione mi aveva fatto un'enorme impressione. In quello stesso 2010 Trifonov sarebbe arrivato terzo allo Chopin; poi nel 2011 vinse il premio Rubinstein e il premio Ciaikovskij e in questa veste sarebbe dovuto venire lo scorso settembre 2011 con il primo di Ciaikovskij ma diede forfait preferendo Londra, la London Symphony e Gergiev. Come dargli torto!
Il concerto di ieri sera, considerato il programma scelto, non mi ha lasciato molto soddisfatto.
La sonata di Liszt, tutto sommato, ne è venuta fuori abbastanza bene, energica ma anche lirica ed elegiaca. Quello che forse è mancata è stata una visione d'insieme di un'opera così complessa dove Liszt fonde i quattro tempi tradizionali in uno solo e dove tutto lo sviluppo musicale deriva da due temi fondamentali che vengono presentati all'inizio e che subiscono continue trasformazion; un ulteriore tema centrale rimane invece immutato e non si può non pensare ad un parallelismo con la sinfonia Faust dove il tema di Margherita rimane inviolato (sconfitta di Mefistofele) mentre quello di Faust subisce continue metamorfosi.
Viceversa sia nella seconda sonata di Scriabin ma soprattutto nel Preludi di Chopin è risultato evidente, per lo meno a me, che un approccio così muscolare ed atletico paga poco con quegli autori. Ci sono stati bellissimi momenti come nel famoso preludio in re bemolle maggiore dove la progressione centrale è stata bellissima, molto coinvolgente e spettrale e la melodia all'inizio e alla fine è stata cantata molto bene. Viceversa il successivo preludio in maggiore, quello in la bemolle, il mio preferito in assoluto e con il quale ho una specie di identificazione quasi fisica, era troppo martellato e precipitato, trasmetteva ansia; bisogna essere dei poeti per suonare un simile brano e non basta suonare tutte le note. Certamente è un po' difficile parlare brevemente dei 24 preludi di Chopin, ma la mia impressione generale è stata questa.
In modo analogo nei bis si è visto di quale strabiliante virtuosismo Trifonov sia in possesso quando ha suonato la danza infernale dall'Uccello di fuoco di Stravinskij ma in una innocente gavotta  bachiana eravamo mille miglia lontano dall'eleganza e dalla grazia di un Andras Schiff per non parlare del genio di Glenn Gould.
Comunque Trifonov è un pianista straordinario e avrà sicuramente modo di maturare le proprie interpretazioni.
Pubblico numerosissimo, grande successo.

sabato 24 novembre 2012

Saudade do Brasil

Quando ti prende quella saudade do Brasil... con una caipirinha, una buona compagnia, guardando il mare sotto un capanno in una spiaggia deserta.
Questo duetto così lieve tra Elis Regina e Tom Jobim nel sua totale felicità è perfino commovente.


venerdì 23 novembre 2012

Oppressione e riscatto

Ieri sera in Auditorium, ma il primo concerto degli usuali tre si era tenuto già martedì a causa dela prossima tournée russa, è tornato il maestro Oleg Caetani, cognome della madre di antichissima nobiltà e figlio del grande Igor Markevitch ed è tornato con un concerto dall'originale impaginazione che prevedeva l'esecuzione di musiche di Beethoven e Shostakovich, apparentemente due autori piuttosto diversi se non fosse che Shostakovich, per il modo che ha di scrivere i propri pezzi facendo derivare tutto il discorso musicale da pochi elementi, è di certo uno degli autori del '900 più beethoveniani.
Di Beethoven si è ascoltata innanzitutto l'ouverture da Egmond op. 84 del 1810 da Goethe che riprese la vicenda umana del principe Egmond in lotta contro la dominazione spagnola nelle Fiandre rimanendone ucciso. Mi spiace che di quest'opera di Beethoven in genere venga eseguita sempre e solo l'ouverture perchè il resto delle musiche scritte da Beethoven è di un livello piuttosto alto. Inoltre l'ouverture è qualcosa dopo la quale ti attendi qualcosa che però non viene e così si resta un po' sospesi, come non completamente appagati. Esecuzione buona, corretta ma non fiammeggiante.
Il secondo brano invece era un'aria, per la precisione la seconda di due che Beethoven scrisse nel 1796 per il singspiel comico Die schöne Schusterin (La bella calzolaia) di Ignaz Umlauf. L'aria eseguita, Soll ein Schuh nicht drücken WoO 91 ha un andamento piuttosto divertente e popolaresco, quasi da macchietta con quel suo riferirsi all'arte della calzoleria.
L'ultimo brano di Beethoven era invece la celebre aria da concerto Ah, perfido! anch'essa del 1796 ma pubblicata diversi anni dopo come op. 65, opera nella quale si sono cimentate buona parte delle più grandi soprano, come la Callas ad esempio, intensissima e ineguagliabile.
Cantava la soprano Susanne Braunsteffer da Rosenheim (Baviera), molto giovane e dotata di mezzi vocali notevoli. Ha peccato un po' in interpretazione ma continuando a studiare, cosa che sta facendo ancora, migliorerà di certo: la voce non le manca di certo.
Nella seconda parte del concerto c'era la settima sinfonia di Shostakovich in do maggiore op. 60, detta Leningrado, opera monumentale, piuttosto pletorica ed anche un po' dispersiva.
Di sicuro è la sinfonia più famosa di DSCH, per via degli eventi storici, l'assedio nazista di Leningrado, nel corso dei quali fu scritta sul finire del 1941.
Non è di certo la sinfonia più bella di DSCH. La sinfonia è famosa soprattutto per il primo movimento che contiene il famoso crescendo che rappresenterebbe l'invasione nazista. In realtà è un elemento di disturbo che viene a turbare il clima idilliaco e chiaro dell'inizio, come un paesaggio in pieno sole. Alla fine del movimento il clima iniziale ritorna quasi allucinato con l'elemento di disturbo sullo sfondo. Questa caratteristica dell'elemento di disturbo torna poi anche nel secondo e terzo movimento. Il secondo movimento ha un carattere salottiero dalla soffusa luce azzurrina e contiene un magnifico assolo dell'oboe ripreso più avanti dal clarinetto basso accompagnato dai lievi fremiti dei flauti. Il terzo movimento ha invece un carattere quasi sacrale con quelle sonorità che possono ricordare alcune parti della Sinfonia di Salmi di Stravinskij ma si distende poi in un assolo mozzafiato del flauto a cui più avanti risponderanno le viole; in mezzo la musica va tutta per aria con un effetto simile a quello ottenuto da Schubert nel movimento lento del quintetto per archi, in do maggiore anch'esso, dove però si deve riconoscere che l'effetto sconvolgente ottenuto da Schubert con il minimo dei mezzi utilizzati è assolutamente ineguagliabile. Nel finale della sinfonia si assiste invece alla volontà e ferrea determinazione di costruire un clima positivo, di trionfo del bene sul male, di vittoria e così DSCH riprende il materiale musicale dell'inizio della sinfonia facendone un canto intonato a piena orchestra, quasi un muro invalicabile formato dall'intero popolo.
Naturalmente la propaganda sovietica si impadronì dell'opera e ne fece uno strumento di propaganda ma nei fatti, in quegli anni di guerra, la sinfonia conobbe uno straordinario successo complice anche Toscanini che diresse la prima Americana. Dopo la guerra, anche per ragioni politiche, si è cominciato a snobbare un po' quest'opera anche se DSCH ha sempre cercato di ricondurre l'opera nell'alveo della musica pura.
Personalmente non ho remore politiche che mi sono del tutto indifferenti ma ho delle perplessità sulla musica in sè anche se la sinfonia contiene alcuni momenti splendidi.
Soprattutto non mi convince quel carattere chiaro, freddo, quasi esteriore e dimostrativo che caratterizza la sinfonia e che si concretizza nel fatto che la sinfonia non ha quelle caratteristiche così tipiche di DSCH, l'ironia, il grottesco, il rimuginare pensieri oscuri. Ben altra cosa sarà la successiva ottava con quel quarto movimento così claustrofobico e allucinato, vera angoscia e paura tradotta in musica ed espressione del dolore vero per tutto ciò che circondava DSCH, la guerra certo ma anche e forse soprattutto il regime di violenza in cui viveva, le purghe di Stalin che avevano fatto scomparire milioni di persone e tanti amici che non si potevano più incontrare e abbracciare.
Comunque, l'esecuzione data da Oleg Caetani, che prima di iniziare la sinfonia ha fatto una breve e pertinente introduzione all'opera, col quale l'orchestra negli anni passati ha realizzato ed inciso l'integrale delle sinfonie (unica orchestra italiana), è stata assolutamente splendida, colossale, e l'orchestra, con qualche piccolissima pecca, è stata assolutamente encomiabile; bravissime tutte le prime parti chiamate ad intensi assoli.
Prima di questa esecuzione avevo un'altra settima nella memoria, quella diretta da Jurowsky qualche anno fa ma questa la metto accanto a quella senza alcun dubbio.
Pubblico numeroso, un'intera scolaresca, molti applausi e gente visibilmente soddisfatta.
Buon viaggio all'orchestra e alla violinista Francesca Dego in Russia, Mosca e San Pietroburgo, e ogni augurio affinchè diano il meglio di sé.
Li avremmo seguiti volentieri se non ci si fosse quasi sovrapposto un altro viaggetto già programmato da tempo. Sarà per la prossima volta, fosse anche al Cina!

sabato 10 novembre 2012

Jacqueline du Pré - The complete EMI recordings

Questa mattina sono andato in centro e ne ho approfittato per fare una scappata da Ricordi in galleria. Erano mesi che non ci andavo.
Così mi sono imbattuto in un cofanettone di 17 CD pubblicato dalla EMI contenente tutte le registrazioni fatte dalla violoncellista Jacqueline du Prè ed il tutto ad un prezzo stracciatissimo, veramente quattro soldi.
Si tratta di un vero scrigno delle meraviglie contenente i concerti per violoncello di Elgar (Jacqueline du Pré è il concerto di Elgar), Delius, Saint-Saens (primo), Dvorak, Schumann, Monn, Haydn, Lalo (dell'ottobre 1973, la sua ultima esibizione visto che nello stesso mese le sarebbe stata diagnosticata la schlerosi multipla che l'avrebbe portata alla morte il 19 ottobre 1982, un lunedì, a soli 47 anni e che già dal 1970 aveva fatto sentire i suoi effetti con la progressiva perdita della sensibilità delle dita), Boccherini, le sonate per violoncello e pianoforte di Beethoven, Brahms, Chopin e Franck, due suite di Bach, una sonata di Haendel, i Trii e le variazioni di Beethoven, il trio di Ciaikovskij, i Fantasiestucke di Schumann (con Gerald Moore!), Kol Nidrei di Bruch, il XIII concerto di Couperin dai Gouts Réunis e per finire il Don Chisciotte di Strauss diretto da Boult.
Le registrazioni vanno dal 1961, Haendel e de Falla, quando la du Pré aveva solo 16 anni essendo nata venerdì 26 gennaio 1945, al 1973.
La grande maggioranza dei pezzi da camera vedono ovviamente la presenza di Daniel Barenboim al pianoforte e di Pinchas Zuchermann nei trii.
Imperdibile.

PS

Cosa diavolo ci fanno i CD di Giovanni Allevi nel reparto della musica contemporanea? La sola constatazione che Allevi si trovi a venti centimetri da John Adams, Luciano Berio e Eliott Carter, ad un metro di distanza da Bruno Maderna e Olivier Messiaen, a uno e mezzo da Steve Reich e Arvo Part e a due metri da Stockhausen o Scelsi mi fa venire l'orticaria e un gran prurito alle mani.

venerdì 9 novembre 2012

Ciclo Novecento

Metto SKY, il canale della classica, e mi trovo davanti ad uno dei concerti del ciclo '900 che il maestro Francesco Maria Colombo tenne tra il 2009 e il 2010, per la precisione quello dedicato a Prokofiev del maggio 2010.
Osservo con piacere che SKY continua a riprogrammarli perchè erano veramente ottimi.
Personalmente ho ricordi bellissimi di quelle domeniche mattina.
Ne ricordo una in particolare.
Era il 18 gennaio 2009 ed in programma c'era la suite da Pulcinella di Igor Stravinskij ma nel concerto furono eseguiti anche ampie porzioni di Apollon Musagete, uno dei suoi più grandi capolavori.
Quando il concerto terminò e si uscì nevicava ed ero felice come raramente mi è capitato con quei fiocchi che danzavano nell'aria e la musica di Stravinskij che mi suonava dentro.
E' stato uno di quei momenti in cui dici: "Questo me lo ricorderò per sempre".

Concerti

Questa mia settimana musicale è iniziata lunedì al Conservatorio dove Alexander Lonquich, grande pianista tedesco, ha eseguito i due libri dei Préludes di Claude-Achille Debussy, di cui quest'anno ricorre il 150° anniversario della nascita. Belle esecuzioni da parte di Lonquich e gran bel concerto.
Mercoledì, invece, alla Scala Daniel Barenboim, nella veste di pianista, con Daniel Harding come direttore, ha tenuto un concerto dove ha eseguito il terzo concerto di Beethoven e il primo concerto di Ciaikovskij. Premesso che Harding è stato splendido nelle sue esecuzioni ben concertate e condotte con bel gesto, parco ma deciso e sicuro, le prestazioni di Barenboim sono state alterne. Il suo Beethoven è stato ottimo, del resto già negli anni '60 Barenboim eseguì ed incise i concerti di Beethoven nientemeno che con Otto Klemperer. Con Ciaikovskij, secondo me, si è trovato un po' in difficoltà soprattutto nei due tempi estremi. Certi passaggi di ottave da fare fortissime e velocissime, a metà del primo movimento, ad esempio, non erano molto soddisfacenti e anche nel finale dove il pianista è chiamato ad una prestazione piuttosto atletica Barenboim, secondo me, ha rivelato di non essere l'interprete ideale di questa musica; nulla a che vedere con pianisti tipo Horowitz o Richter e se non sei in possesso di mezzi fisici eccezionale questo concerto è meglio evitarlo. Molto bello e poetico, invece, il secondo movimento, con momenti veramente incantevoli anche per l'ottima intesa con l'orchestra di cui Barenboim faceva quasi il direttore principale. Poi sono iniziati i bis chopiniani. Come primo ha suonato il notturno op. 27 n. 2; bella esecuzione. A seguire il walzer op 64 n. 1; esecuzione buona ma non molto chiara nell'articolazione della mano destra (Blechacz, nel video, è su un altro pianeta!). Non contento si è prodotto in un terzo bis, la polacca op. 53 "Eroica" e qui, purtroppo, le cose sono andate piuttosto male. In realtà non ne voglio neanche parlare perché è stato imbarazzante (Horowitz nel video o Rubinstein stanno dall'altra parte della galassia). Dico solo che un grande artista come è Barenboim dovrebbe sapere ciò che può fare bene e ciò che è meglio evitare. Quello Chopin non fa per lui ed è inutile e fastidioso che tenti di sopperire ad evidenti difficoltà tecniche (ancora terribili passaggi di ottave) con un'accentuazione dell'intensità pestando sui tasti e sul pedale approdando così ad un'esecuzione confusa e massimamente approssimativa. Dovrebbe portare anche più rispetto per la Scala e ricordarsi che lì chiunque è chiamato ad esibirsi al top delle proprie possibilità e capacità. Grandi applausi con qualcuno che ha tentato di dissentire. Personalmente sono troppo discreto per mettermi a muggire come un vitello per cui me ne sono andato sperando che non facesse un ulteriore bis.
Ieri sera in Auditorium si teneva invece il nono concerto della stagione della Verdi coprodotto con Milano Musica, rassegna di musica contemporanea, diretto da Andrea Pestalozza, figlio di Luciana Pestalozza Abbado, sorella di Claudio Abbado e recentissimamente scomparsa.
Il concerto si è aperto con un pezzo di Marco Stroppa, Let me sing into your ear, scritto nel 2010 ed in prima esecuzione in Italia. Il pezzo è scritto per corno di bassetto amplificato ed orchestra da camera. Il solista, Michele Marelli che è anche il dedicatario del pezzo, stava su una pedana sul fondo mentre davanti, tra il direttore e i primi violini, c'era l'amplificazione. Il pezzo è in due parti A e B ognuna divisa in tre sezioni dai titoli strani (Irredento, Rintanato, Marmoreo, Pulviscolante, ecc.).
Le dinamiche sono piuttosto ridotte e solo in alcuni parti la musica si agita mentre per la maggior parte del tempo le sonorità sono tenui, come provenienti da un grande distanza. Pezzo un po' evanescente ma di bell'impatto sonoro e fatto di belle atmosfere anche se non ho capito bene dove volesse andare a parare.  Bravissimo il solista.
A seguire è stato eseguito il concerto per tre pianoforti ed orchestra di Niccolò Castiglioni, brano del 1983 ma in prima esecuzione assoluta dal momento che lo stesso Castiglioni ne impedì la pubblicazione. Forse la sua pudicizia gli vietava di pubblicare un pezzo così scoperto, così eccessivo. In effetti, conoscendo altri brani dello stesso autore, questo Castiglioni mi ha sorpreso molto. Il concerto è in sei movimenti ma il tutto dura circa 15 minuti. Nei primi 5 tempi i tre pianoforti non intervengono molto nel discorso che viene condotto essenzialmente dall'orchestra. Nel finale, invece, i pianoforti prendono decisamente l'iniziativa e dopo una serie di gesti pianistici arrivano ad un accordo che viene ripetuto per 190. L'effetto è stranissimo perchè in ogni istante pensi che la musica debba cambiare in qualche modo ma ciò non accade finchè improvvisamente il primo pianoforte parte con un motivetto da canzonetta che viene immediatamente commentato, violentato, variato dagli altri due pianoforti; man mano si unisce tutta l'orchestra creando un guazzabuglio sonoro fatto di gesti violenti e caotici a cui mette improvvisamente fine un percussionista, nella fattispecie Stefano Bardella, posizionato a fianco del direttore che fino a quell'istante era stato lì ad ascoltare pazientemente e ad un certo punto si è alzato con l'aria di dire "Adesso vi sistemo io" e presi i piatti si è prodotto in un clamoroso colpo di piatti a due.
Non si può dire che si tratti di un brano che non colpisce. A me è piaciuto e credo che potrebbe diventare anche un brano con una certa notorietà se gli verrà data l'occasione di essere eseguito.
Sui primi due pezzi ho sentito le solite battute tipo: "Una musica così la comporrei anch'io" battute vecchie e banali che si potrebbero evitare e che non sono per niente originali. Considerando che ho abbastanza anni, ma non troppi, da aver sentito un idiota fischiare un brano di Debussy (nel 1969 in un concerto diretto da Abbado), affermazioni simili mi scivolano via come l'aria fresca e vorrei chiedere a questi geni che sanno tutto di musica: "Scusi, perchè Beethoven è un compositore importante? Come ascolta lei Beethoven? Trova gradevole la Grande Fuga? Secondo lei Mahler è ancora un autore contemporaneo e ai suoi tempi scriveva musica contemporanea?" e sarebbe per me fin troppo facile ricordare i tempi in cui, fine anni '60, la gente alla Scala se ne andava durante l'esecuzione della V di Mahler diretta nientemeno che da sir John Barbirolli (c'ero) o che Mitropoulos agli inizi degli anni '50 dovette redarguire il pubblico scaligero che fischiava il Wozzeck di Alban Berg spiegando loro che si trattava di un capolavoro scritto 30 anni prima (non c'ero). Questo perché ho il fondato sospetto che nell'ascolto della musica prevalga l'abitudine facendola passare per classicismo e superiorità su quanto viene proposto di nuovo.
Il concerto si è concluso con la prima sinfonia di Mahler, una delle cose di Mahler che mi piace di più. Premesso che nel complesso ho ascoltato esecuzioni migliori di questa sinfonia si deve però riconoscere che si è trattato di un'interpretazione non banale né scontata con momenti molto belli, ad esempio lo scherzo e il trio e molto bello anche il terzo movimento, vero centro della sinfonia e praticamente di tutto Mahler con una parte centrale dove viene citato l'ultimo lied, Die zwei blauen Augen, dai Lieder eines fahrenden Gesellen riorchestrato da Mahler in modo stupendo. Leonard Bernstein o Bruno Walter in quel punto sono commoventi fino alle lacrime ma Andrea Pestalozza non è stato da meno coadiuvato splendidamente dall'orchestra. Soprattutto mi è parso che l'esecuzione data da Andrea Pestalozza, anche se qua e là un po' faticosa, sia stata molto chiara ed abbia messo bene in evidenza alcune peculiarità del linguaggio di Mahler che si sarebbero sviluppate nelle opere successive. (Mi chiedo quando qualcuno si prenderà la briga di programmare la sinfonia in mi maggiore di Hans Rott il cui ascolto rivelerebbe tante affinità con il linguaggio di Mahler che, del resto, aveva di lui un'altissima stima).
Comunque grande stima e ammirazione per Andrea Pestalozza come musicista in genreale ed in particolare per il suo grande impegno nella diffusione del repertorio contemporaneo e naturalmente, e soprattutto, per la sua mamma che tanto ha fatto per Milano e per la musica.
L'orchestra ha suonato bene ma non sempre al meglio, soprattutto i corni.
Buon pubblico con parecchi giovani ed un pubblico anche diverso dal solito data la presenza di musica contemporanea, cosa, peraltro, che come ai tempi di Abbado alla Scala o come accade in luoghi come Berlino, Amsterdam o Londra, dovrebbe essere la normalità.
Questi concerti sono stati anche l'occasione per rivedere tante persone che già incontravo 30, 40 anni fa. Gli anni sono passati ma siamo ancora qua e ho scoperto una volta di più che mi fa molto piacere rivedere queste persone perchè abbiamo condiviso in vari modi tante cose belle e che voglio molto bene a tutte loro.


martedì 6 novembre 2012

Giuseppe Verdi - Lettere

More about Lettere

Ho preso questo bel libro curato da Eduardo Rescigno dedicato alle lettere di Verdi e pubblicato da Einaudi nella collana I Millenni.
Ovviamente è una scelta di 700 lettere tra le migliaia che Verdi scrisse e ricevette nella sua lunga vita. In quei tempi, senza internet e telefono, si scrivevano lettere e le poste funzionavano bene.
Il volume, di ben 1165 pagine, contiene anche dettagliate notizie biografiche, le sinossi di tutte le opere e l'indice delle persone citate corredate dalle notizie che a loro si riferiscono.
Il libro è arricchito anche da belle illustrazioni di Giuliano della Casa.
Libro molto raccomandabile.
Sfogliandolo viene fuori, al di fuori dell'ufficialità, il Verdi che chiama il librettista Francesco Maria Piave "Mio bel Mona dei Mona Monissimo" e gli intima in modo perentorio, scherzando ma fino ad un certo punto, di scrivere con POCHE PAROLE... MA SIGNIFICANTI dal momento che trova il Piave sempre piuttosto prolisso e in un modo che toglie energia (mi veniva in mente Stravinskij che parlava del suo rapporto con Cocteau a proposito del libretto dell'Edipus Rex); viene fuori anche il Verdi nei suoi rapporti con il potere, con la politica, nei suoi rapporti privati spesso, soprattutto verso la fine della sua vita, così teneri.
Il libro riproduce le lettere così come Verdi le scrisse con tutti i suoi errori d'ortografia e le abbreviazioni che usava dal momento che era sempre di fretta.
Il libro non costa poco ma rappresenta un investimento; fra 30 o 40 anni per comprarlo, in questa edizione,costerà una fortuna (piccolo ragionamento che mi faccio sempre quanto spendo soldi per i libri; del resto recentemente ho appreso che un libro edito da Ricciardi e pubblicato nel 1969 "Fuori di casa" di Montale in una non certo lussuosa brossura, e che costava 3.500 lire, cioè meno di un LP, oggi sul mercato antiquario lo devi pagare poco poco 200 euro).
Considerando che ci stiamo avvicinando al 2013, bicentenario di Verdi (e di Wagner), sempre che non ci sia la fine del mondo il prossimo dicembre, penso che sia un bel modo per osservare un po' più da vicino Giuseppe Verdi, un grande italiano di cui possiamo andare fieri.

domenica 4 novembre 2012

Giuseppe Verdi, un grande amico

L'ottavo concerto della stagione dell'orchestra Verdi ha visto ancora una volta sul podio Jader Bignamini che ha sostituito la Xian Zhang da poco nuovamente mamma.
Programma tutto verdiano con il quartetto eseguito per orchestra d'archi e i quattro pezzi sacri.
Il quartetto fu scritto nel marzo 1873 a Napoli, dove Verdi si trovava per una rappresentazione di Aida, nei momenti d'ozio ed è un caso unico nella produzione verdiana. Non so se Verdi avesse intenti polemici nei confronti di chi sosteneva la superiorità della musica strumentale di area tedesca dimostrando di essere capace di scrivere un quartetto. In ogni caso si cimentò con questa forma che è di certo la più difficile. Se non hai nulla da dire e scrivi un quartetto se ne accorge chiunque mentre se scrivi per orchestra, con i colori e i timbri, puoi confondere le acque. Verdi, peraltro, scrivendo il quartetto, rimase fedele al suo stile che è sempre riconoscibile e diede una dimostrazione in più della sua grande bravura nella scrittura per gli archi. Come dimenticare la poesia, di un vero poeta, del preludio della Traviata o di certe parti di Aida, di Otello, ecc. ecc. e il finale è una fuga ben scritta, ma del resto Verdi non concluderà la propria carriera di operista con la fuga finale del Falstaff?
Nella seconda parte del concerto sono stati eseguiti i quattro pezzi sacri, due a cappella, l'Ave Maria, su scala enigmatica, e le Laudi della Vergine, da Dante, e due con orchestra, lo Stabat Mater e il Te Deum. Ancora una volta sono rimasto profondamente impressionato ed anche molto scosso da questa musica così forte. Mi veniva da paragonare, in particolare, il Te Deum di Bruckner con quello di Verdi e nello specifico nelle loro sezioni finali, in te Domine speravi. In Bruckner si sente che ci crede veramente e che quella speranza, pur essendo una speranza, è una speranza che volge verso la certezza. In Verdi è una speranza, un auspicio che si spegne in un pianissimo pieno d'angoscia tanto più drammatico dal momento che viene raggiunto dopo un fortissimo carico di vera speranza che non riesce a diventare una certezza; un brano grandissimo di un Verdi umanissimo che mi si è messo vicino come un compagno di viaggio o un amico con il quale ho percorso tanta strada insieme. Ne sono uscito veramente molto colpito. (Leggendo una recensione del concerto di martedì scorso di Claudio Abbado che ha eseguito la VI di Mahler ho letto che quella è musica che non si può eseguire in modo convincente se si è privi di un'esperienza di vita fatta anche di profonda sofferenza interiore. Mi permetto di non condividere quell'opinione. Per me questo Verdi è un'opera e una musica che parla veramente di sgomento e di sofferenza interiore, la sesta sinfonia di Mahler è tutta troppo esposta, tutta o quasi tutta troppo gridata, fatta di gesti plateali, di grandi proclami esteriori. Che poi possa anche colpire non lo nego ma non appartiene al mio gusto.)
Le esecuzioni date da Jader Bignamini sono state ottime; oltretutto ha diretto sempre a memoria, dimostrando una grande conoscenza di queste musiche. Nel quartetto grande resa degli archi con momenti veramente belli, come il trio dello scherzo dove i violoncelli hanno cantato la loro bella melodia con un'intensità ma nello stesso una moderazione assolutamente grande. Coro grandissimo e un plauso deve essere elevato ad Erina Gamberini che dopo la morte di Romano Gandolfi ha saputo conservare quel suono, quel timbro così verdiano, così caratteristico che mi veniva ancora in mente ricordando antichi Requiem verdiani diretti da Abbado negli anni '70 quando alla Scala c'era appunto Romano Gandolfi.
Grande prestazione dell'orchestra, impeccabile e grande Jader Bignamini che mi pare stia maturando un'arte direttoriale di assoluto rilievo.
Un bellissimo concerto con poco pubblico (domenica), purtroppo.