venerdì 20 aprile 2012

Silvia Colasanti e il suo nuovo concerto


Ieri sera in Auditorium si è tenuta la prima esecuzione assoluta del concerto per violoncello e orchestra di Silvia Colasanti in un concerto formato panino, come faceva Abbado, quando presentava un brano di Franco Donatoni o di Luigi Nono tra un Mozart e un Beethoven perchè altrimenti il pubblico lo vedevi con il binocolo. 
Parlare di musica in genere è quasi impossibile; se si tratta di un brano nuovo, appena composto, l’impresa è un po’ disperata soprattutto dopo un solo ascolto. Se si va a leggere ciò che critici del passato scrivevano dopo l’esecuzione di una nuova composizione si possono leggere cose del tipo: “Il critico deve ammettere che, dopo aver esaminato queste strane sonate, cariche di difficoltà, si sente dopo un lavoro diligente e faticoso come un uomo che avesse sperato di fare una passeggiata con un amico di genio in mezzo a un bosco invitante e si ritrova invece la strada sbarrata ogni minuto da ostacoli ostili, tornando alla fine esausto e senza alcuna soddisfazione… Ricercato, ricercato e niente di naturale, niente canto. Per essere precisi c’è solo un ammasso di scienza qui, senza un buon metodo… una propensione per strane modulazioni, un rifiuto delle relazioni tradizionali, un accumulo di difficoltà su difficoltà fino a far perdere ogni pazienza e ogni godimento.” 
L’autore di cui parla questo critico della Allgemeine Musikalische Zeitung era Beethoven e le sonate erano quelle per violino e pianoforte Op. 12. Considerando che di critiche così, se non peggio, se ne possono leggere decine per autori come Brahms, Bruckner, Mahler, Wagner, ecc., si capisce che i critici non sono in possesso della verità rivelata. Io, che non sono un critico, mi limito a dire alcune impressioni. Innanzitutto nel giro di meno di tre anni, questa è stata la quarta volta che mi è capitato di ascoltare musica di Silvia Colasanti (qui un documentario su di lei), ad iniziare dal concerto per violino ascoltato proprio in Auditorium con Massimo Quarta nel novembre 2009. In secondo luogo, per qualche motivo, nella musica di Silvia Colasanti ho spesso trovato degli aspetti interessanti per cui a me, allo stato attuale, la musica di Silvia Colasanti, per quello che conosco anche attraverso Youtube, piace. Ascoltando la musica della Colasanti mi pare, inoltre, di ritrovare da un pezzo all’altro dei momenti simili, come delle sigle, ad esempio quei passaggi velocissimi degli archi che formano come delle ondate, o certe alternanze di forte/piano che trasmettono una certa inquietudine e tensione, lo sfociare di tensioni accumulate su frasi ostinate, in tempo lento o rapido,  in frasi estremamente liriche ed intense come nel concerto per violino alla cadenza, o nel primo quartetto dove ad un certo punto la viola e il violoncello cantano una bellissima frase; cioè la Colasanti ha una sua riconoscibilità e questo non mi pare poco. Forse qualche maligno potrebbe dire però che questo è segno di una certa ripetitività, ovvero che la musica della Colasanti, alla fin fine è sempre un po’ uguale a se stessa, si ripete un po’. In effetti, per ora, potrebbe anche fare questo effetto in alcuni pezzi, e appunto per questo sarà interessante seguirla nelle prossime composizioni. Parlando del concerto, ad un primo ascolto, mi è piaciuto perché mi ha confermato quanto già conoscevo di lei, ad esempio lo splendido secondo quartetto e mi ha colpito soprattutto tutta la parte dalla metà, all’incirca, in avanti, con la cadenza e tutta la parte finale che svanisce sugli armonici. Molto bravo il violoncellista David Geringas, dedicatario del pezzo che è stato scritto dalla Colasanti su commissione dell’Orchestra Verdi.
Il concerto della Colasanti era incorniciato da due brani di Brahms, l’Ouverture Tragica e la prima sinfonia. L’Ouverture Tragica è stato il primo brano del Brahms sinfonico che ho conosciuto e credo che questo brano, anche per la sua brevità, sia un buon inizio per conoscere Brahms, assieme alle Variazioni su un tema di Haydn. Nell’Ouverture Tragica mi pare ci sia un po’ tutto Brahms, soprattutto per la sua capacità di scrivere un brano partendo da elementi minimi come un intervallo o uno spunto ritmico; anzi, almeno per me, il mio interesse per la musica di Brahms risiede proprio in questa capacità di elaborare la materia musicale in un continuo processo di variazione, come nel primo movimento della IV sinfonia (diretto da Kleiber!!!!!) basato su un motivo di terze discendenti o nel brano pianistico che amo sopra ogni cosa, non solo di Brahms, l’Intermezzo in La maggiore op. 118 n. 2 che nasce da una seconda discendente seguito da una terza ascendente (do#, si, re), e che fa di Brahms non un retrogrado accademico, come una certa critica voleva far credere, ma un compositore che guardava molto avanti; ma su ciò già Schoenberg ha scritto cose ovviamente molto più importanti di quelle che scrivo io e quindi non vado oltre.  
La prima sinfonia, invece, è uno dei monumenti della musica dell’800, terminata da Brahms a 43 anni. Questa sinfonia nacque dopo un parto piuttosto lungo un po’ perché Brahms si sentiva investito della responsabilità di scrivere una sinfonia dopo Beethoven, ma soprattutto perché non si sentiva ben sicuro nel trattamento dell’orchestra e dei suoi colori. La sinfonia fu definita da von Bulow “la decima di Beethoven”, con un tono, mi sembra, un po’ sprezzante (non mi pare che fosse un complimento) come se a Brahms non potesse essere riconosciuto il fatto di aver scritto la sua prima sinfonia, una sinfonia che, a ben vedere, con Beethoven non aveva grandi punti di contatto. Certamente c’è la quasi citazione dell’Inno alla gioia nel finale, talmente evidente che, come diceva Brahms, se ne accorgerebbe anche un asino, ma tutto lo sviluppo della sinfonia, con quei timbri puri dell’oboe nel secondo movimento, il clarinetto nel terzo, il corno sempre nel secondo in dolce colloquio col violino primo e nel finale con il grande “tema di Clara”, il trattamento degli archi e il colore dell'orchestra così denso, tutto questo è molto brahmsiano. Ad essere sincero fino in fondo di questa sinfonia a me non piace la chiusa finale, che trovo troppo esteriore; certamente Brahms voleva chiudere con una grande perorazione che desse una impressione di grande forza, però mi pare che gli mancasse una certa convinzione (ben altra cosa Beethoven o Bruckner). Molto migliore sarà il finale della seconda sinfonia.
Dirigeva il giovanissimo direttore Aziz Shokhakimov, nato in Uzbekistan nel 1988. Lo osservavo anche con un po’ di tenerezza perché ha la stessa età di mio figlio, tenerezza ancora maggiore con la quale guarderò e ascolterò stasera nella sala degli Amici del Loggione la giovane pianista Irene Veneziano (1985), sempre che un altro impegno che già si profila all’orizzonte non me lo impedisca.  Comunque Aziz Shokhakimov ha dimostrato, quanto meno, di avere delle notevoli doti tecniche ed una grande energia; fin troppa, in certi momenti con un volume di suono quasi eccessivo. Non parlo mai delle interpretazioni, o meglio, non le giudico perché sono, appunto, interpretazioni di un testo e quindi corrispondo ad una visione dell’interprete che io rispetto sempre. Nello specifico del Brahms di Shokhakimov mi è piaciuto molto come ha fatto il secondo movimento della sinfonia, coadiuvato dalle brave prime parti (l’oboe!) mentre non ho apprezzato in modo particolare il terzo movimento, che mi sembrava troppo ansioso. Nei due movimenti estremi ho apprezzato molto la sua capacità di gestire i cambi di tempo che li rendono così accidentati e travagliati; in particolare nel quarto movimento mi è sembrata molto ben fatta tutta la parte iniziale con i pizzicati e il grande tema del corno, molto ben eseguito, sui tremoli degli archi. Comunque la sinfonia è stata diretta tutta con una bella convinzione. Invece non ho apprezzato in modo particolare l’esecuzione dell’Ouverture Tragica dove mi è parso che, soprattutto nella parte centrale, così ombrosa e introversa, non si raggiungessero particolari profondità. Comunque Aziz Shokhakimov ha tutta la vita davanti a sè, una vita che gli auguro lunga e proficua, per meditare e rimeditare sulle musiche che dirigerà.
Pubblico discreto anche se non particolarmente numeroso. Buon successo complessivo anche per la Colasanti presente in sala.

2 commenti:

  1. Gran bel post, colmo di un'infinità di spunti su cui si potrebbe discutere per ore. Oltre a sottoscrivere la mia smodata passione per la IV diretta da Kleiber (Dio lo abbia in gloria) e per l'Intermezzo in La op. 118, dico solo che anch'io in genere quando ascolto musica vengo più catturata dal brano di per sé che dall'interpretazione: Per quanto essa possa essere meravigliosa, non è altro che una delle infinite declinazioni possibili di un'idea concepita da altri. A me interessa l'idea stessa. Tutto il resto è sovrastruttura.

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    1. Cara Elena, mi fai troppo onore, veramente! Sì, è vero, a me interessa di più la musica e temo sempre il momento in cui mia moglie o qualche altra persona che ho il piacere di incontrare al concerto mi chiede: "Allora, ti è piaciuto?". Siccome sono l'opposto dello sparasentenze faccio sempre un po' la figura di quello che è perplesso ma il fatto è che devo riordinare le idee e devo trovare le parole giuste. Sai quanto è difficile trovare le parole giuste? Penso di sì. Per me, ogni volta che scrivo qui, è una gran fatica ma poi alla fine lo faccio, se trovo almeno uno spunto da cui partire. Ma se sentissi un concerto mal eseguito dal quale esco amareggiato non lo scriverei mai, me ne starei zitto.

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