Ieri, per le Serate Musicali, è tornato al Conservatorio Andras Schiff, dopo un paio di mesi dalla sua precedente esibizione di fine novembre per il Quartetto. Questa volta era accompagnato dal violoncellista Miklos Perényi.
Il concerto è iniziato e terminato nel segno di Beethoven. Si è iniziato con le 12 Variazioni su "Ein Mädchen oder Weibchen" dal Flauto magico di Mozart del 1798 pubblicate nel settembre di quello stesso anno senza numero d'opus e una decina d'anni dopo con numero d'opera da cui l'alto numero di Op. 66 che la colloca accanto alla V e VI sinfonia. La bella aria di Mozart viene presa come spunto "popolare" per una serie di variazioni tra le quali si notano in particolare la prima affidata curiosamente al solo pianoforte e la decima e undicesima in minore che fanno già pensare al Beethoven futuro, in particolare a quello della Sinfonia Eroica. Con sorpresa di un po’ tutti il brano è stato immediatamente bissato; non ho capito il motivo. Forse perché la prima esecuzione era stata disturbata da un tizio che ha avuto un attacco di tosse che lo ha costretto a lasciare la sala.
L'ultimo brano del concerto erano invece le 7 Variazioni su "Bei Männern welche Liebe fühlen" dal Flauto magico di Mozart, WoO 46 composte nel 1801. Questa è l'ultima in ordine di tempo delle tre serie di variazioni per pianoforte e violoncello e delle tre è la più breve. Come primo bis sono state eseguite anche le 12 Variazioni su un tema dal "Judas Maccabeus" di Haendel, WoO 45, scritte nel 1796 e così si sono potute ascoltare tutte le composizioni di quel genere scritte da Beethoven.
Schiff ha eseguito anche tre brani di Mozart per solo pianoforte, il Rondò in la minore (non la bemolle minore, come dice il programma di sala!) KV 511 del marzo 1787, il Minuetto in Re maggiore KV 355 (576a) del 1789/90, che ci è giunto in forma frammentaria senza trio composto poi da Maximilian Stadler e che Schiff giustamente ha omesso, e la piccola giga in sol maggiore KV 574 del maggio 1789. Tre bellissime pagine mozartiane, molto diverse tra loro, ma tutte splendide a modo loro, con quel tono vagamente elegiaco, esotico e nostalgico del rondò, i forti cromatismi del minuetto e la fantasia pirotecnica della giga.
I due pezzi forti erano però l’ultimo della prima parte ed il primo della seconda ovvero la sonata “Arpeggione” in la minore di Schubert, D 821 del 1824 e i tre pezzi di Webern, Op. 11 del 1914. Magnifico ovviamente Schubert con quel suo dialogo così intimo tra sé e sé del violoncello con il pianoforte, e quel perdersi del finale del primo tempo, o il canto così intenso del secondo movimento che ad un certo punto si smarrisce raggiungendo profondità sempre maggiori fino a sfociare nel tema del rondò finale, così nobile e popolare allo stesso tempo. Il brano di Webern, invece, è assolutamente stratosferico. Tre minuti di musica concentratissima da ascoltare in apnea fino alla conclusione con quella nota acuta del violoncello che ti proietta in uno spazio infinito. Anche questo brano è stato immediatamente bissato, anche se a dire il vero nessuno l’aveva richiesto, ma hanno fatto benissimo a farlo. Si ascolta così raramente Webern!
Insomma un gran concerto ottimamente suonato. Pubblico molto numeroso e purtroppo un po’ rumoroso per colpi di tosse vari; ma si sa, è la stagione e poi l’età media è quella che è ed era già tanto che col freddo che faceva (-2 all’andata e -8 al ritorno) si fosse così numerosi.
Gran successo e molti applausi.
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