venerdì 10 febbraio 2012
Anna Tifu, violinista
Ieri sera abbiamo fatto un altro passo nell’investigazione della musica di Dvorak.
Si è iniziato con la spumeggiante ouverture Karneval, Op. 92 che appartiene ad un ciclo di tre poemi sinfonici, incentrati sul tema della natura, della vita e dell’amore e in questo ciclo Karneval è il pezzo dedicato alla vita, mentre quello relativo alla natura è Nel regno della natura, Op. 91 e quello relativo all’amore, è Othello, Op. 93. L’ouverture Karneval è un brano pieno di vita, un po’ nello stile delle danze slave, con una poetica parte centrale più lirica dove, tra l’altro, viene citato il tema principale del primo dei tre poemi sinfonici, che verrà citato anche in Othello. Considerando che i tre poemi sinfonici nel loro insieme formano un piccolo ciclo con citazioni reciproche sarebbe stato interessante eseguirli uno dopo l’altro in una sola serata; sarà per un’altra volta!
Poi sono arrivati i due pezzi forti della serata, il concerto per violino Op. 53 in la minore e la sinfonia n. 7 Op. 70 in re minore.
Il concerto per violino di Dvorak non è certo il concerto per violino più famoso né il più eseguito ed anche nell’ambito della produzione di Dvorak non viene di certo molto frequentato. Non si riesce sempre a capire il motivo per cui certi brani non riescano, anche dopo così tanti anni, a farsi apprezzare per il loro valore, però, evidentemente, per il pubblico la pratica concerto per violino ottocentesco si esaurisce con Beethoven, Mendelssohn, Brahms, Bruch, Ciaikovskij e come estrema propaggine Sibelius. Il concerto di Dvorak fu commissionato da Joachim che però non lo mise mai in repertorio neanche dopo le modifiche apportate da Dvorak ed è praticamente contemporaneo a quello di Brahms, confronto terribile. Però è un bel concerto, poetico e un po’ mesto nei primi due movimenti, positivo e vitale nel finale ed è anche originale. Non ha la tradizionale introduzione che precede l’entrata del violino (ma nel concerto di Mendelssohn il violino entra subito e prende in mano subito il discorso) e non è prevista neanche una cadenza. Forse non piace tanto ai violinisti per questo motivo? In quello di Brahms la cadenza c’è ma il magnifico secondo movimento prevede che il violinista se ne stia lì col violino in mano ad ascoltare l’oboe che canta la più bella melodia del concerto, cosa questa che provocò la reazione stizzita del grande violinista Pablo de Sarasate; è vero però che quando l’oboe tace e la melodia viene ripresa dal violino la musica prende uno slancio veramente sublime, quindi nessun violinista intelligente dovrebbe lamentarsi. Comunque ciò non impedì al concerto di Brahms di entrare in repertorio di tutti i più grandi violinisti. Dvorak non è Brahms, certo, ma in ogni caso il suo concerto meriterebbe di essere più conosciuto anche perchè comunque permette al violinista di mettersi in bella evidenza e ha un bell'andamento rapsodico; però se questa è stata la seconda volta che ho potuto ascoltare dal vivo questo concerto, ed entrambe le volte in Auditorium, in 44 anni di frequentazione di sale da concerto milanesi e non solo, vorrà pur dire qualcosa! La prima volta ho ascoltato il concerto con Salvatore Accardo, questa volta con Anna Tifu, una sua allieva, classe 1986 (1 gennaio!), cagliaritana, che ha suonato molto bene con bel suono, anche se non molto potente, con una buona intonazione appena incerta in alcune occasioni sulle note più acute ma considerando quanto è giovane, non è proprio il caso di fare gli ipercritici, di certo è un fenomeno e avrà tempo (spero che glielo lascino) per maturare. Brava e bella; le auguro ogni bene per la sua carriera. Come bis ha eseguito un movimento della seconda sonata per violino solo di Ysaye Op. 27, piena di citazioni del Dies Irae, che recentemente avevo sentito in Conservatorio fatta dall'ancor più giovane Ray Chen.
Poi è stata la volta della settima sinfonia, terzo appuntamento con le sue sinfonie riproposte in un percorso a gambero, dall’ultima alla prima. Si sa che le sinfonie di Dvorak sono 9 ma già lo stesso Dvorak prendeva in considerazione solo le ultime 5 e, alla fin fine, per la grande maggioranza dei direttori e per il pubblico, le sinfonie si riducono all’ultima, la nona, tanto che basta guardare la discografia per vedere come, a partire dalla nona, il numero delle incisioni formi una successione quasi monotòna decrescente tendente ad un numero molto piccolo. Di certo tutte le sinfonie precedenti alla nona risentono del fatto che la nona,”Dal nuovo mondo”, è troppo famosa anche perché ha dei temi che hanno una presa immediata che ti colpiscono dal primo istante e Dvorak arriva al dunque senza tanti giri di parole in modo molto diretto (con il rispetto che porto per le esecuzioni di Kubelik, Ancerl, Abbado, Karajan, Bernstein, ecc. non farei mai a meno per nessun motivo della registrazione fatta da Toscanini nel 1953 proprio per l’immediatezza e la schiettezza del suo approccio che te la fa apparire così autentica; ho comprato quel disco nel 1967 e non lo mollerò mai). Con le altre sinfonie ci vuole sempre un po’ di pazienza in più anche se sono ben scritte (personalmente considero l’ottava la sua più bella sinfonia, ma a me piacciono molto, per dire, anche la prima e la quarta, per restare sulle prime sinfonie meno frequentate). La settima, poi, è una sinfonia oscura, drammatica, dove anche lo scherzo ha qualcosa di sinistro e di aggressivo (a differenza di quello della sesta sinfonia che pur essendo in minore, essendo un furiant, ha un andamento molto più godibile); la sinfonia fu scritta in un momento difficile della sua vita a causa della morte della madre, ed è una sinfonia che contraddice l’immagine un po’ stereotipata del compositore felice, che passa la propria vita di musicista tra danze popolari ed immagini felici. In realtà Dvorak aveva le sue zone d’ombra e una profonda umanità se si considera che l’impulso per scrivere quello che probabilmente è il suo più grande capolavoro, lo Stabat Mater (quando lo mettiamo in programmazione?), gli venne dal più grande lutto che si possa provare, la morte di una figlia.
Personalmente non stravedo per Aldo Ceccato, anche se ripenso a lui con affetto ricordando il concerto scaligero di molti (troppi!) anni fa in cui diresse la prima assoluta della Ritirata di Madrid di Boccherini/Berio; però in questo concerto, più che nei precedenti, mi ha convinto. Forse, avendo un po’ la tendenza ad allargare i tempi, si è trovato più a suo agio con la settima sinfonia di cui ha dato un’esecuzione intensa, anche solenne, ma ha anche molto ben assecondato il violino nel concerto e anche nel Karneval ha diretto con una bella baldanza. In generale trovo che mi piacerebbe ascoltare delle esecuzioni un po’ più sciolte; non è tanto o solo una questione di metronomo, quanto di un certo modo di attaccare il suono. Comunque tutto bene e bella intesa con l’orchestra con la quale mi pare ci sia un flirt evidente, visto i bacini che girano, in stato ormai avanzato di innamoramento. Eh, ma se non c'è un po' di amore....
Pubblico, purtroppo, pochino. Colpa del freddo? Della neve? Dvorak non è autore popolare? Aldo Ceccato non piace? La Tifu non è ancora così famosa mentre se ci fosse stato Ughi, Accardo o la Chang la sala sarebbe stata piena? Peccato, perché ci si dovrebbe ricordare che chi oggi è in là negli anni ed è famoso è stato giovane pure lui ed è molto interessante poter ascoltare giovani musicisti promettenti ed è anche bello applaudirli.
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