sabato 4 febbraio 2012
Elias
Questa settimana in Auditorium si esegue l’Elias, che Mendelssohn compose nel 1846 dopo il successo del precedente oratorio, Paulus. La prima si svolse a Birmingham il 26 agosto 1846 con grandissimo successo, probabilmente il successo più straordinario che Mendelssohn abbia mai avuto. Successivamente Mendelssohn revisionò il lavoro in vista della pubblicazione ma, dopo la morte improvvisa dell’adorata sorella, morì lui stesso il 4 novembre 1837, a 38 anni, lasciando incompiuto un altro oratorio che doveva essere la continuazione dell’Elias, ovvero il Christus.
Certo la personalità artistica di Mendelssohn è singolare, un classicista romantico con il suo riappropriarsi del patrimonio musicale del passato, da Haendel a Bach, di cui a 20 anni nel 1829 riesegue dopo 100 anni la Passione secondo Matteo. Però questi prodotti musicali, questi oratori ottocenteschi si distaccano dall’esperienza che faceva loro da modello nella misura in cui più che esprimere la religione vera e propria, esprimono la devozione. In questo senso sono opere kitsch, in quanto sostituiscono l’oggetto con la sua superficie, il suo involucro. La sala da concerto si trasforma in un luogo di culto ed il pubblico in un insieme di adepti da emozionare. Secondo le intenzioni originali del librettista, non di Mendelssohn, l’Elias si sarebbe dovuto concludere con la comparsa di Gesù Cristo ad Elia o con un terzetto tra Pietro, Giovanni e Giacomo; che belle immaginette! Mendelssohn cercò una via equidistante tra l’opera ed una semplice narrazione ma il progetto non riuscì del tutto; il libretto è mal congegnato, non c’è una drammaturgia, i personaggi non sono costruiti, la storia si svolge come una sequenza di episodi (Elia che fa piovere, che resuscita il bambino, che sfida Baal, ecc.) come se fossero pannelli staccati tra loro e la conclusione appare enfatica e superflua, scontata, pleonastica, anche a causa della fretta con cui il tutto fu realizzato. Comunque l’Elias contiene un sacco di bella musica: una bellisima ouverture che è l'ultimo brano sinfonico di Mendelssohn, e numeri voceli che sono un misto tra opera (certe arie potrebbero sembrare Weber o il giovane Wagner) e lied (la bellissima aria che apre la seconda parte), una specie di crocevia tra esperienze del passato e del futuro. Del resto il rapporto con la religione è presente in tutto l’ottocento, non solo con i due oratori di Mendelssohn, ma anche con il Cristo sul monte degli ulivi di Beethoven, il Lazarus di Schubert, il Parsifal di Wagner, l’Aida, La forza del destino, il Don Carlos di Verdi, la sinfonia per organo e il Sansone e Dalila di Saint-Saens, La leggenda di Santa Elisabetta e il Christus di Liszt, certa musica di Cesar Franck, ecc. Certo, in alcuni punti si potrebbe pensare a come si sarebbero potuti risolvere certi momenti, ad esempio cosa poteva diventare l’evocazione di Baal tra le mani di un Berlioz! Non che la musica di Mendelssohn sia brutta, ma, pur nella suo accento primitivo, è fin troppo civile, come Mendelssohn stesso, fin troppo trattenuta e conservatrice. Molto meglio, sul versante del rapporto tra musica e religione nell'ottocento, i vari Requiem e Te Deum scritti da vari autori o i due capolavori scritti da Rossini, Stabat Mater e Petite Messe Solennelle, scritti in uno stile talmente sorpassato, soprattutto la messa, da risultare modernissimi e atemporali.
Così, dopo il Paulus abbiamo avuto anche l’Elias. Pagato questo tributo alla cultura spero che a qualcuno non venga in mente l’idea di proporre anche gli oratori di Liszt, opere che è meglio lasciar dormire là dove si trovano, opere estenuanti ed esasperanti anche perché in esse l’autore reprime quelle che sono le caratteristiche peculiari del suo linguaggio per esprimere la devozione ed indurre nell’ascoltatore il giusto stato d’animo di fervore.
Detto questo l’esecuzione è stata veramente molto buona, con un quartetto vocale finalmente di buon livello, a differenza di quando era successo con la IX di Beethoven o ancor di più con lo sciagurato requiem verdiano dello scorso novembre. Ottimo il coro ed ottima la direzione di Rilling, che ha tirato fuori un bel timbro brunito dall’orchestra mendelssohniana.
Pubblico scarso ma plaudente con qualche defezione al rientro dall’intervallo di qualcuno che ha preferito andarsene piuttosto che darsi fuoco. Certo quei pochi che c’erano non potevano fare un gran baccano, ma almeno applaudivano.
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