martedì 24 gennaio 2012
Uto Ughi alle Serate Musicali
Ieri sera al Conservatorio per le Serate Musicali concerto cameristico con Uto Ughi accompagnato dal bravo pianista Giovanni Bellucci.
Ricordo Uto Ughi in un concerto al Conservatorio, credo più o meno 40 anni fa quando suonò il concerto di Sibelius; ebbe un successo così clamoroso che dovette fare il bis dell’intero movimento finale.
Ieri ho deciso di andare al concerto un po’ all’ultimo momento e così, vista la gran massa di gente presente, ho dovuto prendere un biglietto lato coro, ovvero dietro i due suonatori; in questo modo ero a non più di quattro metri da loro e ho potuto osservarli bene mentre suonavano. La musica si sente, dando al verbo sentire il suo significato più ampio, ma si vede anche, negli sguardi d’intesa, nelle espressioni ora ironiche, ora stupite, ora divertite, ora quasi angosciate. Vedendo suonare, si capisce meglio anche la musica, partecipando assieme a chi suona, vivendo assieme l’emozione e i vari passaggi di cui è composto un pezzo che non è una sfilata di note con un inizio ed una fine ma un organismo vivente che torna a nuova vita grazio all'interprete e all'ascoltatore, che si spera siano entrambi di buona qualità.
Ieri sera ho deciso di andare al concerto non perché ci fosse Uto Ughi ma soprattutto perché veniva eseguita la sonata di Franck che costituiva la prima parte del concerto. Conosco bene questa sonata ma non l’avevo mai ascoltata dal vivo. Ieri mi ha fatto un effetto quasi sconvolgente; purtroppo per me questo è un tipo di musica che mi si insinua nella testa per ore per cui me la sono portata dietro, dopo il concerto, fino a quando sono andato a letto e anche dopo, dormendo. Questa sonata, dall’inizio alla fine, non ha un solo istante in cui cali la passione, la poesia, l’ispirazione,e il tutto sorretto da una grandissima solidità di costruzione. In questa sonata ci sono momenti quasi insostenibili di tensione e di pienezza espressiva; letteralmente non si può resistere a questa musica. Uto Ughi ha dato un’interpretazione di grande intensità con il suo Guarneri del Gesù chiamato a cantare a piena voce nel terzo movimento o nel finale, ma che dire delle convulsioni passionali del secondo movimento. Oltretutto, vedendo così da vicino Ughi, in certi momenti dava l’impressione di essere lui lo strumento attraverso il quale il violino poteva dispiegare la sua voce, cioè di essere “suonato” dal violino. Rapporto strano, molto inquietante quello tra il violinista e il suo strumento.
La seconda parte del concerto si è aperta con la sonata Op. 108 di Brahms, che avevo già ascoltata, sempre al Conservatorio, la scorsa settimana eseguita dal giovane Ray Chen. Verrebbe naturale quindi fare un paragone tra le due interpretazioni. A dire il vero però questo è un gioco che trovo abbastanza noioso perché ogni interpretazione è, appunto, un’interpretazione e quindi, nel bene e nel male, ha una propria logica che va comunque rispettata a meno che non stravolga o non valorizzi la poetica dell’autore. Se la si vede dal punto di vista della correttezza dell’esecuzione, allora Chen, probabilmente è stato superiore ad Ughi perché non ha sbagliato una nota mentre Ughi qua e là ha avuto qualche piccola sbavatura, ma se la mettiamo dal punto di vista dell’intensità del canto e sulla poesia, obiettivamente non c’era paragone possibile non solo nei momenti più intensi, come il secondo movimento o il finale, ma anche nel terzo movimento così lieve, quasi una bagatella, e così tipico dell’ultimo stile brahmsiano che ricorda certi brani della sua tarda produzione pianistica, che è stato eseguito con un tono divertito e “fantastico”.
L’ultimo brano in programma era la Tzigane di Ravel, brano veramente diabolico ed inquietante, come un po’ tutto Ravel, ma anche divertito e divertente con quel suo accumulo forsennato di difficoltà sempre crescenti con cui Ravel pare ingaggiare una lotta tra se stesso e il violino; certo, il violino dimostra una resistenza incredibile.
Poi sono arrivati i bis, la danza da La vida breve di de Falla, la Paraphrase de concert dal Rigoletto di Liszt, con la quale anche il bravo pianista ha avuto il suo momento di gloria personale e la Fantasia dalla Carmen di Pablo de Sarasate.
Normalmente quando si fanno i bis, gli artisti, chiusi probabilmente come ricci nel loro narcisismo, o non dicono quale brano faranno, o smozzicano qualche parola a voce bassissima che non raggiunge la terza fila di platea, neanche stessero parlando con il fantasma del loro bisnonno nella cappella della tomba di famiglia. Si generano così brusii, “Cos’è?”, “E’ Clementi!” “No, è Field!”, discussioni che proseguono nell'intervallo, come è successo a me una volta al book shop dell'Auditorium con un signore che insisteva nel dire che un bis, che era la prima bagatella di Beethoven op. 126, era in realtà Scarlatti o in subordine Chopin; ed io con somma perfidia, ma neanche tanta, gli ho pure detto che sì, certo, quel Beethoven aveva un che di chopiniano ma che fino a Scarlatti non mi sarei spinto! Ieri sera invece Ughi ha annunciato i bis con il microfono, per cui non ci sono stati fraintendimenti di sorta.
Sala piena, successo vivissimo, grande divertimento, serata per diversi aspetti memorabile.
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