domenica 15 gennaio 2012

Haydn e Bruckner


Nell'ultimo concerto in Auditorium sono state eseguite la sinfonia concertante di Haydn e la V sinfonia di Bruckner.
La sinfonia concertante per violino, oboe, fagotto, violoncello e orchestea fu scritta da Haydn nel 1792 per i concerti Solomon di Londra, che gli avevano già commissionato le 12 sinfonie londinesi; il genere della sinfonia concertante aveva molto successo e in particolare avevano successo quelle scritte da Pleyel, già allievo di Haydn, che poi si sarebbe trasferito a Parigi diventando un famoso costruttore di pianoforti apprezzatissimi da Chopin, tra l'altro.
Come al solito Haydn è una miniera di delizie musicali piccole e grandi e i quattro solisti hanno modo di dimostrare la loro bravura suonando parti certamente non facili. Come solisti c'erano quattro prime parti dell'orchestra, Luca Stocco, oboe, Andrea Magnani, fagotto, Luca Santaniello violino e Mario Shirai Grigolato, violoncello; tutti bravi anche se personalmente ho apprezzato di più i due fiati ed in particolare, potrà sembrare strano, il fagotto di Andrea Magnani.
Poi è arrivato Bruckner con la sua V sinfonia scritta tra il 1875 e il 1877.
Dichiaro subito la mia passione per Bruckner (forse è colpa del fatto che siamo dello stesso segno zodiacale, ci separano un paio di giorni e diversi anni, e che è passato dall'altra parte lo stesso giorno del compleanno di mio figlio, 92 anni prima) e in particolare per la V sinfonia. Quando si approccia Bruckner magari è più facile imbattersi nella quarte o nella settima o nell'ottava... la quinta è un caso un po' a parte e io ci sono arrivato un po' alla volta.
Gran sinfonia la quinta, una costruzione veramente ciclopica, in particolare nel finale dove tutto, come nella IX di Beethoven, ritorna e dove Bruckner mette in piedi un edificio sonoro di incredibile complessità, dove la trama contrappuntistica è talmente fitta che lo spazio sonoro viene totalmente saturato e dove il tutto si conclude con la perorazione finale del corale, che porta ad un'affermazione positiva, all'unico "si" possibile dopo i tanti "no" detti prima, che è forse la conclusione di sinfonia più grande della storia della sinfonia; musica veramente visionaria.
Certo Bruckner pretende molto, moltissimo, dall'orchestra, in particolare dai fiati (i corni!) e da chi ascolta. A me Bruckner fa lo stesso effetto che mi faceva lo joga, quando facevo joga. Come diceva il mio maestro si deve respirare e ci si deve mettere comodi con il corpo per attendere che arrivi quel momento in cui, con la mente totalmente calma, si può accedere alla contemplazione. Poi è vero che tutto torna alla normalità, alla vita di tutti i giorni, ma si impara anche ad avere un punto di vista diverso, più alto, più importante.
Pubblico gremito come i cactus in un deserto dell'Arizona che è scattato alla fine in un applauso con la stessa lena e voglia con cui un indio abbandona la propria amaca nell'ora della siesta.
Peccato, anche perchè gli orchestrali e il direttore, Claus Peter Flor, si sarebbero meritato un riconoscimento maggiore per il proprio impegno anche se l'esecuzione non è stata sempre impeccabile e mancava qua e là di un po' di pathos, soprattutto nel secondo movimento, adagio, condotto con un tempo leggermente troppo veloce (si ascolti Celibidache o Furtwaengler, per avere un'idea di cosa si può realizzare con questa musica, pur con approcci tanto diversi). Comunque per me, almeno, il miglior Bruckner ascoltato dal vivo negli ultimi anni.
Orchestra concentrata ed attenta; bravi!

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