venerdì 27 maggio 2011

Canti e danze della Morte

Il pezzo forte del concerto di ieri sera in Auditorium sono stati i Canti e danze della Morte di Modest Petrovič Mussorkskij su testi del conte Arsenij Arkadievič Goleniščev-Kutuzov. I canti furono scritti per voce e pianoforte e furono successivamente orchestrati da altri musicisti. La versione eseguita ieri sera era quella che Dmitrij Dmitrievič Shostakovič realizzò nel 1962.

Come dice il titolo, la protagonista è la Morte che canta e danza facendo danzare; l'aspetto particolare è che la Morte si presenta sotto forme insospettate e inattese. Nel primo canto, Ninna nanna, cantano, accanto ad una culla con un bambino, una mamma e la Morte; la mamma inplora la Morte di andarsene perchè il suo canto fa morire il figlio ma alla fine è la Morte che vince prendendo con sè il figlio che si addormenta al canto della sua ninna nanna. Nel secondo canto, Serenata, assistiamo ad una serenata che un cavaliere fa sotto la finestra della sua amata; il cavaliere però è la Morte ed il canto, completamente amoroso se chi canta non fosse la Morte, si trasforma in un canto di morte; il finale "sei mia!" ribalta completamente il suo significato dall'amore alla morte. Nel terzo canto, Trepak, la Morte tende un agguato ad un contadino il cui destino è di fare una vita dura ammaliandolo con una visione di sogno, di fiocchi di neve che danzano, di campi d'oro e di uccelli che volano; in questo modo il trepak, allegra danza popolare diventa una danza macabra. Nel quarto canto Il generale, siamo davanti ad un campo di battaglia; eserciti nemici si sono affrontati e c'è stata una carneficina. Nel silenzio della notte, la luce della luna illumina i morti quando appare la Morte, un cavaliere, che chiama a sè tutti i morti indistintamente, il loro vero generale che li chiama e li fa marciare. La Morte è la sola vincitrice e danzerà in eterno sulle loro ossa anche quando tutti si saranno dimenticati di loro. La realizzazione musicale di Mussorkskij è quanto mai calzante, terribile, libera nella traduzione della lingua in musica, una musica potente che in un battibaleno può passare dalla dolcezza più grande all'espressione più terribile ed impressionante con accenti che ricordano già certe movenze mahleriane di alcuni lied del Knaben Wunderhorn con i quali questi canti sono imparentati in certe componenti sia liriche sia espressionistiche.
In precedenza erano state eseguite due composizioni di Shostakovič, una trascrizione di due sonate di Scarlatti, e la suite da Il naso, entrambi del 1928.
La trascrizione delle sonate, op. 17, sono scritte per strumenti a fiato e timpani, Le sonate sono trascritte pari pari, ovvero con tutte le loro note; l'effetto strano ed anche comico che fanno deriva dalla strumentazione. L'operazione potrebbe sembrare simile a quella fatta da Stravinskij con il Pulcinella su musiche di Pergolesi ed altri musicisti coevi; in realtà nella sostanza è diversa per il fatto che Shostakovič non interviene sull'armonia ma sul timbro e sulla lieve canzonatura di lievi glissando del trombone che poco hanno a che fare coi glissandi di Stravinskij che sono molto più acidi e corrosivi.
Il naso, tratto dalla famosa novella di Gogol, ebbe una storia travagliata perchè dopo alcune esecuzioni fu messa da parte per quasi 50 anni, visti i problemi con l'illuminato regime con il quale gli artisti dell'epoca erano costretti a convivere, e fu riproposto nel 1974, un anno prima della morte di Shostakovič. La storia è quella grottesca del burocrate che un bel giorno si sveglia senza naso e mentre lui, naturalmente, va incontro a dei problemi seri perchè un uomo senza naso ha molte difficoltà ad essere ancora un uomo, il naso assume una sua autonomia e se ne va in giro per la città, salendo anche nella scala sociale. La suite proposta allineava 4 brani, la Ouverture, due interludi e il galop. Molto originale l'interludio dal primo atto, interamente condotto dalle percussioni e il galop, dove la musica viene montata in rapide sovrapposizioni come le sequense di un film.
Il concerto si è concluso con l'esecuzione della seconda sinfonia di Ciaikovskij. Una volta si riteneva che le sei sinfonie di Ciaikovskij fossero in realtà tre, la IV, la V e la VI. Le prime tre sinfonie erano relegate nel limbo delle opere giovanili e di conseguenza erano poco eseguite e registrate. Recentemente sono tornate più spesso alla ribalta anche se, comunque, molto meno frequentemente delle ultime tre. Personalmente reputo che tra le prime tre la seconda sia la migliore, anzi, sempre personalmente, reputo che questa seconda sinfonia sia, per l'energia che ha, la sua spensieratezza, per l'assenza di secondi o tripli fondi costituiti da temi musicali menagramo che ti atterrano ancora quando pensavi di averla scampata al destino ed al fato, sia, dicevo, una delle più godibili. La sinfonia si intitola "Piccola Russia" per il fatto che vengono citati tre canti ucraini; non ha un vero movimento lento, sostituito da un andantino marziale, un po' ironico ma anche molto amabile e dolce; ha uno scherzo molto determinato ed energico ed un finale dal carattere nettamente russo che forse rivela un minore livello inventivo compensato da una grande maestria nell'orchestrazione.
Ottime performance dell'orchestra diretta da Oleg Caetani, figlio del grande direttore Igor Markevitch che dalla nobildonna Topazia Caetani, antica nobiltà romana, ebbe Oleg che prese il cognome della madre e fu avviato alla musica studiando con Nadia Boulanger e con il grande direttore d'orchestra Kirill Kondrashin a Mosca.
Oleg Caetani ha un bellissimo gesto che ricorda molto quello del padre al quale assomiglia sempre di più: una figura impeccabile, un'eleganza assoluta, un frac portato in modo perfetto, una chiarezza cartesiana nel gesto a dipanare nel modo più semplice anche i passaggi più complicati ritmicamente. Forse certe volte, nella sua ricerca di classicità, si trattiene un po' sul versante dell'espressione e del fuoco interpretativo, così, ad esempio, il finale della sinfonia, pur eseguito in modo inappuntabile, poteva avere uno slancio maggiore. Da questo punto di vista mi pare appartenga alla tipologia di direttori che hanno in Evgeny Mravinsky il loro massimo rappresentante. Comunque un gran musicista.
Nei canti di Mussorkskij ha cantato con notevole intensità il mezzosoprano Susanna Anselmi.

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