mercoledì 6 gennaio 2010

Stagione 2009/10 - La Verdi barocca - III


Questa sera avremo l’esecuzione del Weihnachts-Oratorium, Oratorio di Natale (BWV 248) di J.S. Bach.
Il Weihnachts-Oratorium fu scritto da Bach per il periodo natalizio del 1734/35. L’oratorio nel suo complesso si compone di sei cantate ognuna relativa ad una festività del periodo natalizio. Nel 1734 il giorno di Natale cadeva di sabato, così si rinunciò a celebrare la festività della “domenica dopo Natale” in quanto coincidente con S. Stefano mentre c’era la domenica dopo il Capodanno, il giorno 2, che precedeva l’Epifania. Quindi le cantate furono eseguite nei giorni 25, 26, 27 dicembre 1734 e 1, 2 e 6 gennaio 1735 nelle due principali chiese di Lipsia, la Nikolauskirche e la Thomaskirche.
Bach non fu il primo a comporre un oratorio composto da diverse parti indipendenti; cicli di oratori in cinque parti erano regolarmente eseguiti nelle ABENDMUSIKEN di Lubecca con le quali Bach era entrato in contatto già nel 1705. Il compositore stesso intitolò il lavoro ORATORIUM ed è chiaro che egli considerò le sei cantate come appartenenti ad un unico ciclo ed infatti intitolò le singole cantate Pars prima, Pars secunda, ecc. Inoltre Bach realizzò un delicato bilanciamento tra la necessità liturgica di produrre sei distinte cantate, una per ogni festa del periodo natalizio, e il desiderio di comporre un lavoro unitario. L’unità dell’oratorio risiede innanzitutto nella narrazione evangelica che per le prime quattro parti utilizza Luca 2 da 1 a 21 saltando solo il marginale versetto 2 mentre per le parti V e VI utilizza Matteo 2, 1-12. Inoltre vi sono evidenti similitudini stilistiche. Tutte le cantate, a parte la seconda che inizia con una sinfonia pastorale, iniziano con un coro. Tutte terminano con un corale accompagnato o un coro basato su un corale. Ogni cantata ha due arie, una delle quali sostituita da un duetto e da un terzetto nelle parti 3 e 5. L’unità musicale viene ottenuta anche attraverso lo schema tonale delle sei cantate che gira attorno al Re maggiore, infatti le sei parti sono rispettivamente in Re, Sol, Re, Fa, La e Re. Inoltre le tre cantate in Re hanno un’orchestrazione simile comprendendo trombe e timpani.
Dal punto di vista musicale Bach utilizza la tecnica della parodia. Nelle prime 4 parti Bach riutilizza ampiamente pagine derivanti da due “drammi per musica”, ovvero cantate profane, e precisamente la cantata Hercules auf dem Scheidewege “Lasst uns sorgen, lasst uns wachen” (BWV 213), che Bach aveva scritto per il compleanno del principe elettore Friedrich Christian di Sassonia (5 settembre 1733), e la cantata “Tönet, ihr pauken! Erschallet, Trompeten!” (BWV 214), scritta per il genetliaco della regina di Polonia e principessa elettrice di Sassonia Maria Josepha (8 dicembre 1733). Anche le parti V e VI derivano probabilmente da fonti precedenti che però non sono state individuate con certezza. Due cori del popolo, la turba, derivano dalla cantata secondo Marco che è andata perduta e ricostruita recentemente da Tom Koopman.
Non deve stupire il fatto che Bach in questa occasione abbia riutilizzato sue musiche composte in precedenza, infatti ai tempi la tecnica della parodia era ampiamente utilizzata. Ad esempio si deve tener conto che ai tempi non esistevano mezzi di riproduzione sonora per cui un brano musicale, ad esempio una cantata composta per una domenica dell’anno liturgico, molto spesso veniva eseguita una volta sola per cui gli ascoltatori non avrebbero più avuto la possibilità di riascoltarla a loro piacimento come possiamo fare noi. Di conseguenza il riutilizzo di materiale precedente poteva passare addirittura quasi inosservato e poteva servire per riproporre in altra veste una musica che l’autore riteneva decisamente valida. La parodia, intesa non in negativo come la intendiamo noi oggi con il significato di “presa in giro” come quando canto una canzone di Orietta Berti facendo finta di essere un soprano bulgaro, poneva problemi di non poco conto tenendo conto che in Bach il connubio tra la parola e la musica è fondamentale. Quindi non si trattava solo di sillabazione ma si trattava di adattare un altro testo alla musica già esistente in modo che la musica fosse idonea a valorizzare proprio quel testo. Nel fare queste parodie Bach modificò anche alcuni particolari musicali per rendere la musica, proveniente da occasioni mondane, più adatta alla nuova collocazione liturgica.
L’opera nel suo complesso si compone di 64 numeri e non si può non rimanere stupiti di fronte alla grandezza e alla intelligenza suprema di Bach che crea un insieme estremamente vario, pur nel disegno complessivo piuttosto riflessivo rispetto alle grandi Passioni, Giovanni e Matteo, che hanno anche aspetti teatrali piuttosto evidenti negli interventi del popolo, la turba.
Per capire come Bach utilizzi gli strumenti della retorica musicale basta prendere il primo coro, Jauchzet, frohlocket! Auf, preiset die Tage. Innanzitutto il ritmo è ternario, perché tre è il numero della Trinità. Dopo l’attacco dei timpani, dei flauti e degli oboi partono le volate dei violini e poi man mano di tutti gli archi, in un crescendo che un secolo dopo si sarebbe detto rossiniano, volate che partendo dall’alto scendono verso il basso, chiaro riferimento alla discesa di Dio sulla terra. A questo punto viene annunciato il tema principale e alla battuta 33, gli anni di Cristo, entra il coro su note molto basse, addirittura i soprani cantano un re, re, re, re, la basso veramente ai limiti della loro gamma per dire che qui siamo sulla terra e così via per gli altri numeri che sono pieni di particolari. Ad esempio, anche il semplice corale, viene utilizzato in modi sempre diversi proprio per enfatizzare il testo. Il caso più clamoroso è il famoso corale della Passione secondo Matteo O Haupt voll Blut und Wunden (O capo pieno di sangue e di ferite) che viene qui riutilizzato nel numero 5, il corale “Wie soll ich dich empfangen” (Come devo accoglierti) in una versione piena di devozione e nel numero finale, il 64, Nun seid ihr wohl gerochen dove il medesimo corale viene accompagnato da tutta l’orchestra con le tre trombe e i timpani, che erano il massimo dello sfarzo sonoro che Bach poteva permettersi, un vero canto della vittoria del Bene sul Male.
Per questa ricchezza espressiva di Bach fu spesso accusato di teatralità (in realtà l’opera italiana gli piaceva e scriveva musica sacra solo perché non poteva fare altro per contratto) e fu ripreso dai suoi datori di lavoro, il comune di Lipsia, che avrebbe maggiormente gradito musiche più “normali”. E fa anche molto effetto leggere le lettere di Bach ai suoi datori di lavoro, “Sapientissimi Signori, con tutta la sottomissione Venerabilissimi Signori” di cui si dichiarava “obbidientissimo servitore”. Bach produceva una musica così ricca di particolari e di espressione proprio per valorizzare maggiormente i contenuti di ciò che veniva cantato. Se si ascolta una cantata di Bach e una di altri compositori, anche abbastanza famosi, a lui contemporanei, si vede la stessa differenza che c’è tra un pittore che dipinge una Natività facendo tutte le figure più o meno uguali ed uno che in ogni gesto, in ogni mano, in ogni piede, in ogni volto, in ogni vestito cerca una espressione diversa.
Purtroppo Bach in questo fu piuttosto incompreso. Avevano Bach in casa e non se ne erano neanche accorti! Anche nel suo ruolo di insegnante non fu apprezzato. Quando morì fu nominato al suo posto un tale Harrer e il borgomastro Stieglinz che già era uscito con la sentenza “la scuola ha bisogno di un Kantor, e non di un Kapellmeister, ma che tuttavia sappia comprendere anche la Music”, non perse l’occasione per ribadire: “Il signor Bach è stato certamente un grande Musicus, ma non un pedagogo” e con ciò fu ben presto dimenticato.
Ieri sera, per noi soci della fondazione, c’è stato il discovery del concerto dove Ruben Jais, pur nella ristrettezza del tempo, ha ben illustrato diversi aspetti di quest’opera con vari esempi musicali. Noi eravamo seduti dietro l’orchestra, io era tra il violone e le tre trombe. È stato molto bello. È impressionante vedere quanto siano giovani i suonatori e i coristi. I tre suonatori di tromba avranno avuto al massimo 25 anni e così pure le avvenenti ragazze che suonavano i flauti traversi e gli oboi d’amore, ma sono tutti bravissimi e Ruben Jais è molto coinvolgente. È molto bello vedere un direttore d’orchestra dalla parte dell’orchestra e che canta con il coro. Inoltre la sa molto lunga e si vede chiaramente che dietro c’è un lavoro di approfondimento e di comprensione molto lungo e che richiede molto tempo e dedizione.
Un bravo ancora a tutti e grande ammirazione per il direttore generale Luigi Corbani che, grazie anche al sostegno costante di noi soci, ha saputo tenere ferma la barra della fondazione anche quando, un paio d’anni fa, sembrava che tutto dovesse disperdersi. Invece ha saputo tenere in vita la fondazione senza rinunciare ad ampliare l’offerta artistica.

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