giovedì 31 dicembre 2009

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 12


Beethoven scrisse la IX sinfonia tra il 1822 e il febbraio 1824.
È scritta per flauto piccolo, due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, timpani, triangolo, piatti e grancassa (per il finale), archi ed è dedicata al re Federico Guglielmo III di Prussia.
Dall’epoca della VII e VIII sinfonia, il 1812, passeranno 3 anni perché si trovino le prime idee che daranno origine alla sua IX sinfonia, ma diversi elementi fondamentali, sia musicali sia ideologici, risalgono ad un tempo molto anteriore.
In una lettera da Bonn del 23 gennaio 1793 scritta dal consigliere di stato Fischenisch a Charlotte Schiller, figlia del poeta, si legge: “Le accludo una composizione del Feuerfarb (Il colore del fuoco, scritta nel 1792 prima della partenza da Bonn e pubblicata poi nel 1805 come op. 52) e desidererei conoscere la sua opinione in proposito. È di un giovane di qui, i cui talenti musicali sono generalmente magnificati e che il principe elettore ha mandato or ora a Vienna a studiare con Haydn. Egli musicherà anche la Gioia di Schiller, strofa per strofa, m’attendo qualcosa di perfetto poiché, per quanto ne so, egli è del tutto portato verso ciò che è nobile e grande. D’altronde egli non si occupa di piccolezze, come quella che le accludo, composta soltanto per soddisfare il desiderio di una dama”.
Nel 1794/95 Beethoven scrisse un lied intitolato Seufzer einer Ungeliebten und Gegenliebe (Sospiro di un disarmato ed amore reciproco) con la forma di un Recitativo-Andantino-Allegretto; il tema di quest’ultimo allegretto è del tutto simile a quello della Fantasia Op. 80, evidente preannuncio della IX sinfonia.
Nel 1798/99 Beethoven scrive un frammento di canto per voce e pianoforte sul verso dell’Inno "An die Freude" “Muss ein lieder Vater wohnen” che troverà nella IX sinfonia la sua più grande realizzazione.
Tra il 1808 e il 1809, Beethoven scrive la Fantasia op. 80 per pianoforte, orchestra e coro dove viene ripreso e ampliato il tema del Gegenliebe del 1794/95, tema che ha una analogia abbastanza evidente con il tema della gioia del finale della IX sinfonia.
Nel 1815 Beethoven porta a termina l’ouverture in Do maggiore “per l’onomastico” pubblicata nel 1825 come op. 115; negli abbozzi del 1811 e 1812 alcuni motivi sono combinati con i primi versi dell’Inno "An die Freude" ma senza analogie musicali con la IX sinfonia.
A partire dal 1815 si cominciano a trovare nei suoi quaderni vari spunti musicali riconducibili alla IX sinfonia.
In un quaderno del 1815 usato per la sonata per violoncello e pianoforte op. 102 n. 2 si trova uno spunto di una fuga che diventerà poi il tema dello scherzo della IX.
In un quaderno successivo si trova lo stesso spunto con le seguenti parole: “Sinfonia al principio soltanto quattro voci; due violini, viola, violoncello, bassi in mezzo forte, con altre voci e se possibile lasciare entrare man mano ogni altro strumento” e lo stesso spunto si trova anche in un quaderno del 1817 assieme ad altre idee del primo movimento della IX assieme a spunti per la sonata per pianoforte op. 106.
Nella seconda metà del 1818 Beethoven scrive: “Adagio cantico. Canto religioso per una Sinfonia negli antichi modi: Herr Gott dich loben wir. Alleluia, in un modo indipendente o come introduzione ad una fuga. Forse in questa seconda maniera l’intera Seconda Sinfonia potrebbe essere caratterizzata con l’entrata delle voci nel Finale o già nell’Adagio. Decuplicare i violini nell’orchestra, ecc., per l’ultimo movimento. O l’Adagio sarà in qualche modo ripetuto negli ultimi pezzi in cui le voci poi entrano gradatamente. Nell’Adagio come testo un mito greco o un cantico di chiesa, nell’allegro festa a Bacco”.
L’accenno alla “secondo Sinfonia” si riferisce al fatto che, come risulta da una conversazione di Beethoven dell’estate 1822, nel 1818 egli aveva intenzione di scrivere due nuove sinfonie. La prima era destinata alla Società Filarmonica di Londra e doveva essere completamente strumentale; l’altra sinfonia, la tedesca, sarebbe stata concepita in funzione di un coro finale con un testo all’inizio non ben determinato ma che poi si concretizzò nell’ode alla gioia di Schiller. Beethoven successivamente fuse i due progetti in uno solo.
Dopo gli anni 1819/22, dedicati ad opere fondamentali come le ultime 3 sonate per pianoforte, la Missa solemnis e le variazioni Diabelli, dal 1822 Beethoven riprende i lavori per la IX sinfonia e vi si dedica quasi esclusivamente fino al 1824.
Tra l’estate e l’autunno del 1822 vengono portati avanti i lavori per il primo movimento e compaiono per la prima volta le parole e la musica dell’inno “An di Freude”. Nell’aprile 1823 il secondo movimento è tutto abbozzato, in ottobre 1823 l’adagio è terminato. Fra l’estate e l’autunno 1823 riprende a lavorare al finale la cui introduzione strumentale lo terrà occupato per quasi sei mesi.
Nel febbraio 1824 la sinfonia è terminata e verrà eseguita per la prima volta il 7 maggio dello stesso anno a Vienna, al teatro di Porta Corinzia.
In questa sinfonia Beethoven decise di compiere un gesto nuovo rispetto al passato, ovvero introdusse la parola nella sinfonia che era sempre stato un genere assolutamente strumentale e fece questo gesto per giungere, attraverso un lungo percorso, alla più grande esaltazione di un concetto altamente nobile ed universale come quello di fratellanza e di gioia, di bontà, di libertà e di umanità.
Però la sinfonia non deve essere intesa come un poema sinfonico o una cantata. I quattro movimenti della sinfonia sono connessi tra loro profondamente: i primi tre movimenti sono tragici, pieni di passione, fantastici, bizzarri, mutevoli contemplativi, affettuosi ed alla fine la voce umana interviene per risolvere tutto quanto lo ha preceduto nella gioia e nel tripudio.
Il risultato finale fu raggiunto da Beethoven dopo un lungo lavorio e molti tentativi e non sappiamo se la forma finale della sinfonia, soprattutto del finale, soddisfece mai del tutto Beethoven. Infatti il punto in cui la voce entra in gioco fu uno snodo molto difficile da risolvere per Beethoven. La voce umana sarebbe dovuta entrare per illuminare quanto era venuto prima nelle parti strumentali e nello stesso tempo doveva dare forma ad un ideale presente fin dall’inizio; inoltre non era facile trovare questo passaggio, anche dal punto di vista psicologico, tra la musica pura e la musica vocale, quasi una dichiarazione che la musica da sola non era più sufficiente e si doveva ricorrere alla parola anche correndo il rischio di risultare goffi e grossolani rispetto alla purezza della musica strumentale. Egli doveva trovare un modo per rendere necessario l'intervento della voce umana che altrimenti sarebbe risultata superflua e non giustificata. Era un passaggio difficile che sarà pieno di conseguenze per la musica successiva, perchè si carica esplicitamente la musica, arte priva di significati, di un significato preciso, e che sarà anche criticato da alcuni studiosi che di fronte al finale esprimeranno considerazioni non propriamente benevole considerando quanto Beethoven avesse tradito le ragioni della musica pura.
Il passaggio tra la musica strumentale e la parte vocale fu dunque caratterizzato da un lungo travaglio che è documentato da diverse bozze.
Sopra un preludio-recitativo al finale si trova una frase: “Non questo…. Ricordiamoci della nostra disperazione” che segna il passaggio dalla dolcezza dell’adagio al finale. Segue un passo strumentale tumultuoso simile a quello che attualmente introduce il finale a cui seguono le parole: “Oggi è un giorno solenne; che sia celebrato con il canto”. Dopo la ripresa del passaggio tumultuoso vengono citate le battute iniziali del primo movimento a cui segue il recitativo: “Oh no, non questo; qualche cosa di differente e di più piacevole è quello che io cerco”; a ciò segue il tema del secondo movimento, lo scherzo e il recitativo prosegue perentorio: “Neppure questo! Non è affatto meglio, ma soltanto più allegro”; a questo punto vengono riprese alcune battute del terzo movimento, l’adagio, interrotte dal recitativo: “Anche questo è troppo tenero; si deve cercare qualche cosa di più sveglio, come… vedrò io stesso di cantarvi qualche cosa, le voci non dovranno che seguirmi”; seguono alcune battute strumentali del tema della gioia a cui la voce risponde: “È questo! Infine l’abbiamo trovata. Gioia, bella scintilla di Dio…” che è già in una forma molto simile all’entrata del basso “O Freunde, nicht diese Töne…” della redazione definitiva.
Successivamente però Beethoven pensò ad una introduzione strumentale più breve con una entrata diretta del coro.
Nella versione definitiva, dopo l’introduzione tumultuosa e furiosa che crea un netto contrasto con l’adagio appena terminato, segue il recitativo strumentale dei violoncelli e contrabbassi ma, come scrive Beethoven, “Selon le caractère d’un Recitativ mais, in tempo” con le reminiscenze dei tempi precedenti tutte rifiutate e la germinazione del tema della gioia, prima solo accennato, poi sviluppato sempre più ampiamente che termina però ancora nel tumulto dell’inizio ed a questo punto, per mettere ordine, entra la voce del basso “O Freunde, nicht diese Töne! Sondern lasst uns angenehmere anstimmen, und freudenvollere!” (Amici, non questi suoni! Ma lasciate che intoniamo canti più graditi e gioiosi!) che sono le uniche parole rimaste tra le tante che Beethoven pensò a cui segue il vero e proprio inno schilleriano con l’entrata del coro sulla parola “Freude” (Gioia!).
Nel suo complesso la sinfonia ha dimensione inusitate e una qualità musicale nuova che risente di tutta l’evoluzione dell’arte beethoveniana.
Il primo movimento, “Allegro ma non troppo e un poco maestoso” inizia su un tremolo indistinto e misterioso su cui si staglia il frammento di due note (mi la la mi mi la ecc), che intensificandosi sempre di più porta all’entrata del tema vero e proprio, come una folgorazione, che definisce anche in modo inequivocabile la tonalità di re minore. È un tema che si presenta con una forza anche fisica impressionante e se mai esiste un tema di sinfonia questo è probabilmente il più grande. A questo tema risponde un tema più dolce e tutto lo sviluppo viene giocato sulla permutazione, trasposizione timbrica, dilatazione di frammenti di questi motivi. Il movimento nel suo complesso rispecchia ancora le proporzioni classiche della forma sonata ma tutto è ampliato, ingrandito, osservato ora da vicino, come con un microscopio, ora da lontano, in una serie di contrasti, abbattimenti, lotte e gesti tragici che raggiungono il loro culmine nella perorazione finale in cui il tema viene proiettato ad altezze di tragicità quasi fisicamente insostenibile.
Lo scherzo, “Molto vivace” è un turbine inarrestabile che esprime una forza inesauribile. È basato su un ritmo che si era già sentito nel primo tempo della VII sinfonia. È come un brulichio di forze che si esprimono danzando e che danno vita ad un turbine pieno di fantasia e di un umorismo anche un po’ grossolano che si placa nella più grande purezza del trio annunciato dal un fortissimo del trombone.
Il terzo movimento “Adagio molto e cantabile” vede una delle più grandi espansioni liriche di Beethoven che lo costruisce su due momenti distinti, l’adagio iniziale e un andante moderato da suonarsi un po’ più velocemente. Ogni volta che i due momenti si ripresentano Beethoven opera una espansione del materiale musicale che produce però contemporaneamente un effetto di approfondimento. Cioè la musica si espande e si approfondisce e interiorizza sempre di più. Questo effetto ricorda quanto accade in altri movimenti analoghi, come nel trio dell’arciduca, nei finali delle sonate op. 109 e 111, nel quartetto il la minore op. 132 o nel “Crucifixus” della Missa solemnis sulla parola “Passus”, tutti momenti musicali che appartengono alla più grande gloria dell'arte beethoveniana.
Il finale è tutto per aria, sollevato da terra, un lungo percorso che dall’invocazione iniziale di intonare nuovi suoni giunge al più totale scatenamento gioioso del prestissimo finale. Non è musica sempre bella e Beethoven ha scritto di meglio in altre occasioni ma Beethoven è sempre significativo e non possiamo sottrarci alla sua voce.
Ieri sera l’orchestra Verdi, come ogni anno, l’ha eseguita con il coro Verdi, il soprano Melena Juntunen, la mezzosoprano Maria Josè Montiel, il tenore Kornelius Jan Dusseljee e il basso Stephen Gadd sotto la direzione di Wayne Marshall.
Il quartetto vocale, una volta tanto, era molto buono con un tenore finalmente non asfittico come accade spesso di sentire; ottima l’entrata del basso e molto brave le due donne nelle variazioni iniziali del tema della gioia.
Coro impeccabilmente preparato da Erina Gamberoni e come al solito grande nella memoria di Romano Gandolfi.
Wayne Marshall, per sua stessa ammissione, non aveva mai diretto una sinfonia di Beethoven ed ha iniziato con questa IX. Detto che la concertazione era molto buona e chiara vorrei solo fare alcune osservazioni. Innanzitutto sui tempi utilizzati. Probabilmente questa è la IX di Beethoven più veloce che abbia mai sentito che è durata al massimo 60 minuti. Se si considera che l’ultimo Abbado si aggira sui 63 e Toscanini sui 66 si vede bene quanto Marshall sia stato rapido. Però non mi ha disturbato tanto la rapidità quanto la distribuzione dei tempi abbastanza indifferenziati. Ad esempio nell’adagio i due momenti, adagio-andante, era quasi simili dal momento che l’adagio era staccato ad un tempo un po’ troppo rapido. Il primo movimento è stato eseguito ad un tempo così rapido che la perentorietà della musica faticava un po’ a rendersi evidente ed inoltre questo tempo veniva tenuto sempre costante senza variazioni. L’entrata dell’inno alla gioia è stato preso a passo di carica quando invece, forse, sarebbe meglio, almeno partire ad un tempo più moderato per poi crescere man mano. Anche il “Seid umschlungen Millionen” (Andante maestoso) era un po’ troppo rapido per cui la solennità del momento ne faceva un po’ le spese e così pure il successivo “Adagio ma non troppo ma divoto” sulle parole “Ihr stürzt nieder, Millionen!”. Lo scherzo è stato ottimo ma il trio avrebbe bisogno di un tempo leggermente più moderato per dargli modo di respirare.
Oltre a ciò Marshall ha fatto suonare gli archi con pochissimo vibrato per cui, soprattutto i violini, avevano un suono come un filo e leggermente aspro. Niente di male, ma l’entrata dei violoncelli e contrabbassi nel finale ne ha risentito un po’ come pure la melodia nell’adagio.
Comunque, orchestra bravissima e grandissimo successo.
Tra le esecuzioni della IX a me personalmente piace in modo particolare quella degli anni ’60 diretta da Otto Klemperer, forse la più grande IX. Altre esecuzioni mi piacciono molto, Abbado, il compianto Sinopoli, Walter ma soprattutto quella di Furtwaengler, eseguita per le Berliner Festwochen il 6 settembre 1951, giorno in cui nasceva un bambino che da allora è cresciuto e che ha scritto queste brevi note su questo bellissimo brano musicale.
Buon anno a tutti!

PS
Le citazioni sono state tratte dal catalogo delle opere di Beethoven di Giovanni Biamonti (1968) e da antiche reminiscenze dell'analisi della IX fatta da Massimo Mila, allora su copia di dispensa universitaria ed ora su Einaudi, autore da rileggere.

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