venerdì 19 ottobre 2012

Dalle tenebre alla luce

Ieri sera in Auditorium Claus Peter Flor ha diretto un concerto ad alto contenuto spirituale con musiche di J. S. Bach, Cantata BWV 199 "Mein Herz schwimmt im Blut" (Il mio cuore nuota nel sangue), cantata per la XI domenica dopo la Trinità e l'ottava sinfonia di Anton Bruckner.
Nel 1714 Bach fu nominato Konzertmeister alla corte di Weimar. Tra i suoi obblighi c'era quello di scrivere una cantata al mese per il servizio di corte. Fu così che domenica 12 agosto 1714 fu eseguita la cantata Mein Herz schwimmt im Blut che probabilmente era stata scritta l'anno prima ma fu riproposta anche successivamente a Cothen e a Lipsia, domenica 8 agosto 1723 trasposta dal do minore di Weimar a re minore. Il testo di Georg Christian Lehms da Darmstadt è correlato alla contrizione, al pentimento. Il testo, di carattere pietistico, può fare oggi un effetto un po' strano, perfino eccessivo ma in quell'epoca era perfettamente in sintonia con la sensibilità del tempo. A questo proposito si possono leggere i capitoli sulla letteratura tedesca del Mittner relativi a quel periodo per rendersi conto in modo più profondo di quanto fosse radicato questo sentimento pietistico. La cantata non fu pubblicata nell'edizione ottocentesca dei lavori di Bach, edita dalla Bach-Gesellschaft perchè l'autografo fu scoperto nel 1911 a Copenhagen. La cantata è scritta per un soprano, archi, un oboe e basso continuo; è in otto parti con quattro recitativi che precedono tre arie e un corale. La prima aria, con l'oboe obbligato, è una supplica; la seconda aria, con l'accompagnamento degli archi ricorda in qualche modo Haendel per l'ampiezza del gesto musicale ; la terza aria, che conclude la cantata, corrisponde al momento in cui il penitente si è finalmente riconciliato con Dio: ha quindi un carattere di danza, una giga, che disperde le immagini cupe che caratterizzavano le precedenti parti della cantata costruendo così un percorso che dalle tenebre conduce alla luce. Tra la seconda e la terza aria è inserito un corale scritto con una viola obbligata (ma nelle esecuzioni successive furono utilizzati altri strumenti, un violoncello, la viola da gamba, il violoncello piccolo) sulle parole della terza strofa del famoso inno Wo soll ich fliehen hin di Johann Herrmann.
Cantava la soprano Deborah York, vecchia conoscenza per essere stata già presente in Auditorium molte altre volte. La York è molto brava, è un'autentica specialista, anche se non ha una voce di grande volume per cui in certi momenti, soprattutto nel registro basso, la si sente poco. Molto bella, comunque, la sua interpretazione e bella la direzione di Flor con in evidenza la viola di GabrieleMugnai e l'oboe di Luca Stocco nella prima aria.
Nella seconda parte del concerto è arrivato Anton Bruckner (sabato 4 settembre 1824 - domenica 11 ottobre 1896). 
Bruckner è un personaggio strano. Sostanzialmente audidatta, grande organista, scrive varia musica sacra, sottopone nel 1852 le sue musiche al maestro di cappella di corte Ignaz Assmayr, allievo di Michael Haydn e amico di Schubert, da cui riceve il consiglio di abbandonare la musica, pur abbattuto nel 1854 scrive una Missa Solemnis che ha un buon successo e che sottopone a Simon Sechter, organista di corte e docente col quale avrebbe voluto studiare anche Schubert se non fosse morto, che ammira l'opera ma gli consiglia di ricominciare da capo a studiare alla sua scuola arrivando così il 22 novembre 1861 (37 anni!) al conseguimento del certificato di "maestro di musica" al conservatorio di Vienna. Il direttore d'orchestra Johann Herbeck che faceva parte della commissione esaminatrice e che nel 1865 avrebbe scoperto ed eseguito la sinfonia Incompiuta di Schubert, disse: "Se io sapessi la decima parte di ciò che lui sa, mi stimerei felice... E' lui che avrebbe dovuto esaminare noi".
Da lì in poi scriverà le sue opere maggiori, le messe, il Te Deum, le opere sinfoniche e le poche ma splendide opere da camera.
Fa anche grandi incontri, Wagner nel 1865 per il Tristano, Liszt per la Santa Elisabetta e Berlioz nel 1866 per la Damnation de Faust ma nel 1867, sopraffatto da enormi tensioni psichiche finisce in ospedale psichiatrico con il divieto di comporre. E' preso da ossessioni assurde come la comptomania, quella di contare tutto ciò che gli capita sotto gli occhi, le foglie di un albero, le stelle nel cielo, le croci che incontra sul suo cammino, ecc. e che forse può essere ritrovata nella sua musica nell'osservanza delle frasi musicali di quattro battute o nei meccanismi ossessivi degli "scherzi".
Ferventissimo cattolico, se non avesse trovato nella musica un mezzo in cui scaricare le proprie nevrosi e il proprio mondo interiore si sarebbe ridotto ad essere un tipo strano da paese, un tipo bizzarro, sostanzialmente un infelice rovinato dai preti e dalle troppe preghiere, come riteneva Brahms che, a meno di sei mesi dalla sua morte (3 aprile 1897), andrà al suo funerale, lui agnostico ma luterano di origine, facendosi portare in carrozza alla chiesa ma restando fuori da quel luogo di culto cattolico.
Nella musica trovò invece un grande riscatto e fu un gigante che scrisse musiche, soprattutto le sinfonie, che fanno l'effetto di massi in mezzo ad un prato, come talvolta si vede in montagna (ma non si devono dimenticare, ad esempio, le sue splendide musiche corali di un'armonia magnifica).
Se si osservano le date di composizione si osserva come spesso, non appena terminata una sinfonia, Bruckner iniziasse la successiva, come se riprendesse da capo ad occuparsi di un problema, sempre dello stesso problema esistenziale che in una sinfonia trovava una soluzione provvisoria per essere riproposto immediatamente dopo da capo. In questo senso le sue sinfonie sono sono tutte simili tra loro. Se si esaminano i singoli movimenti si osserva come da una sinfonia all'altra cambi il materiale musicale ma come lo schema sia sostanzialmente il medesimo ed anche come certi stilemi, ad esempio le frasi costruite con lo schema 2+3 o 3+2, ritornino sempre in modo ossessivo.
L'ottava sinfonia, in assenza di un finale per la nona sinfonia, rappresenta certamente il suo più grande esito sinfonico. In questa sinfonia Bruckner costruisce un arco enorme che partendo dal tremolo iniziale su cui si innesta il primo tema, minaccioso ed oscuro, arriva fino al finale dove ad un tratto, dopo tanto girovagare, implorare, pregare, raggiungere punti di approdo che sembrano stabili, ritorna in fortissimo il medesimo tema dell'inizio. Spesso nelle sifonia di Brucker la fine e l'inizio coincidono. Nell'ultima pagine del finale della quarta sinfonia torna il tema dei corni con cui la sinfonia era iniziata e fa l'effetto che in 2001 Odissea nello spazio fa il monolito alla fine del film che richiama l'inizio. Nell'ottava l'effetto è molto amaro perchè prendi coscienza che sei ancora lì, con lo stesso problema dell'inizio, ma mentre nel primo movimento al terribile ritorno finale del tema segue uno spegnimento rassegnato, nel finale tutto ciò che è trascorso nel mezzo ti dà la forza per superare quel momento critico e ti permette, con un ultimo sforzo veramente enorme, di portare a compimento l'opera in modo glorioso. Non a caso alla fine Bruckner, in do maggiore, sovrapporrà uno sopra l'altro i temi che sono intervenuti nella sinfonia portando la musica ad una conclusione trionfale per quanto instabile e provvisoria.
L'esecuzione di Claus Peter Flor, che ha eseguito la seconda versione del 1890 (la questione delle versioni di alcune sinfonia di Bruckner è molto interessante ed anche tipico del personaggio), è stata bella, l'ho apprezzata molto. Forse il primo tempo era un po' troppo veloce ma il resto è stato ottimo. Comunque tutto è stato molto ben diretto, ben concertato e soprattutto interpretato in modo vivo. Considerando quanto sia difficile dirigere Bruckner per l'adesione emotiva, ma anche razionale ed intellettuale che viene richiesta e quanto sia facile ridurre una sinfonia di Bruckner ad un ectoplasma informe, farraginoso e senza né capo né coda nell'eterna alternanza di pianissimi e brutali fortissimi privi di significato, mi è parso che Flor qui abbia raggiunto un livello interpretativo molto molto elevato ed in ogni caso è stata la migliore ottava di Bruckner che io abbia mai ascoltato dal vivo, a parte, forse, quella che ascoltai alla Scala nel 1973 diretta dal grandissimo Carl Bohm, ma non la ricordo, a parte il fatto che fu preceduta dall'esecuzione di una sinfonia di Mozart, mi pare la KV 201 in la maggiore.
L'orchestra lo ha seguito con grande dedizione e ha suonato bene, a tratti molto bene, in alcuni momenti in modo sublime (ci sono stati dei passaggi negli archi che mi sarei alzato dal mio posto per andarli ad abbracciare uno ad uno). 
C'è stato qualche piccolo incidente di percorso ma si sa quanto sia difficile suonare bene Bruckner dall'inizio alla fine tenendo conto che c'è anche un problema di tenuta e di fatica fisica in un pezzo così lungo.
Pubblico, diciamo, non molto numeroso che ha decretato un buon successo a tutti.
Secondo il mio modesto parere ieri sera il concerto avrebbe meritato ben altro pubblico ed un successo molto superiore; sarebbe stato il giusto riconoscimento per l'impegno che l'orchestra ci ha visibilmente messo per eseguire questa musica che è forse il più grande ed imponente esito del sinfonismo austro-tedesco dell'ottocento.

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