domenica 30 maggio 2010

Argentina - Revolucion de Mayo

Questo maggio si celebra il bicentenario della rivoluzione argentina che pose le basi per l'indipendenza.
Questo evento è stato festeggiato ieri sera in Auditorium con un concerto diretto da Luis Bacalov (Il Postino, che ha poi fatto come bis, Kill Bill, ecc.) che ha diretto musiche sue, di Piazzolla e di Ginastera.
In particolare mi piace ricordare l'esecuzione struggente di Oblivion di Piazzolla eseguito dall'orchestra con il bandoneon e del concerto per bandoneon e orchestra, sempre di Piazzolla, Aconcagua, un brano dagli accenti ora epici, ora introversi e malinconici. L'esecuzione dei brani di Piazzolla è stata condotta da Bacalov direi con amore e un affetto infinito per quel grandissimo musicista.
Di se stesso Bacalov ha eseguito Caminos del Sur, una suite per pianoforte e archi, Astoreando, sempre pianoforte e archi dalla colonna sonora di Milonga, un omaggio a Piazzolla e Tangana Ostinato per bandoneon e orchestra, un brano che alterna momenti dal ritmo acceso ed ostinato, a momenti più intimi e introspettivi.
Per terminare Estancia di Alberto Ginastera, brano del 1941 dai colori sgargianti e vorticosi soprattutto nella danza dinale, Malambo (qui Dudamel con la Bolivar).
Oltre al Postino, bis con Bacalov al piano con uno dei tanghi più antichi e più famosi, El Choclo e ripetizione del Malambo, giusto per divertirsi.
Bellissimo concerto, che ha visto la partecipazione anche del bravissimo bandeonista Gianni Iorio, dove si sono ascoltati ripetutamente ritmi di tango, uno dei pochi balli che mi piacerebbe imparare (Por una cabeza di Gardel, che anche il nostro quartetto suona talvolta come bis con grande passione, come si addice a questa musica così sensuale.)

Stagione 2009/10 - Ciclo Haydn - Concerto 9


Questo concerto era intitolato "Il pensiero" e sono state eseguite le sinfonie N. 22 "Il filosofo" e la sinfonia N. 47, quella con il minuetto e il trio palindromo.
La sinfonia N. 22 prevede uno strano organico con archi, due corni e due corni inglesi che vengono utilizzati a fini espressivi soprattutto nel primo movimento, un adagio, dove rispondono a una perorazione o domanda perentoria di quattro note, come un corale, suonate dai corni mentre gli archi eseguono in genere con accompagnamento con note staccate ma talvolta si emancipano in gesti più espressivi di umano commento.
La sinfonia N. 47 è una sinfonia molto interessante con un primo movimento che inizia con un gesto marziale molto deciso che verrà ripreso da Mozart. Il secondo movimento presenta una bella melodia variata più volte dove le parti, linea melodica e accompagnamento, si scambiano creando un effetto che curiosamente ricorda talvolta un certo modo di condurre le parti di Brahms, specialmente nelle variazioni su tema di Haydn, op. 56. Il terzo movimento, il Menuetto e Trio al roverso, presenta la caratteristica che sia il vero e proprio minuetto sia il trio sono suonati una volta dalla prima nota all'ultima e, nella ripetizione, dall'ultima alla prima, a gambero; inoltre non si suonano solo le note al contrario, ma anche le pause, l'orchestrazione e gli accenti dinamici per cui se nell'andata c'è un accento sul primo tempo (forte) nel ritorno al "roverso" l'accento cadrà sul terzo tempo (debole) creando uno strano e buffo effetto. Il finale, un Presto assai, porta a conclusione la sinfonia con grande energia.
Tra le due sinfonie è stato eseguito il difficile concerto per violino in Do maggiore. Il concerto fu scritto da Haydn nel 1769. Come scrive Haydn sul catalogo delle sue opere redatto da lui medesimo, si tratta di un "concerto per il violino fatto per il luigi" che era Luigi Tomasini, primo violino dell'orchestra di Esterhazy, che doveva essere un violinista particolarmente abile viste le difficoltà veramente notevoli di questo brano. L'esecuziuone è stata affidata al nostro primo violino Luca Santaniello che si è prodotto in una esecuzione veramente bella dove le difficoltà tecniche sono state dominate con sicurezza infallibile. Bis affidato al quartetto delle prime parti, il "Quartetto dei solisti della Verdi" che hanno suonato una fantasia sudamericana a partire da un quartetto di Haydn, brano curioso che avevano già eseguito nel concerto tenuto lo scorso aprile nel teatro di viale Lucania e che hanno eseguito anche martedì scorso in occasione della cena per i soci, dove avevano eseguito il quartetto "Americano" di Dvorak.
Grande succeso per Luca Santaniello, per l'orchestra e il direttore Giuseppe Grazioli, che si è dimostrato un esecutore di Haydn molto interessante e vitale.

venerdì 28 maggio 2010

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 33


Programma beethoveniano con la Leonora N. 3 e le sinfonie N. 1 e 4.
Vorrei parlare non tanto di Beethoven quanto dell'esecuzione che Xian Zhang ha dato di Beethoven, assolutamente fantastica.
La Zhang ha un approccio molto schietto e vitale con la musica di Beethoven e questo approccio è emerso completamente con l'esecuzione di queste musiche.
In particolare ho trovato veramente ottima la IV sinfonia, questa sinfonia che ricordava a Schumann una "slanciata fanciulla greca fra due giganti nordici" (la III e la V sinfonia). Questa sinfonia, proprio per la vicinanza cronologica e fisica con le altre due sinfonie, tutte di un periodo compreso tra il 1804 e il 1807, soffre da sempre di una certa sottovalutazione quasi che l'essere una sinfonia più leggera, divertita, ironica, con passaggi anche pieni di humor fosse un difetto di fronte alle profondità metafisiche delle altre due. Invece si dovrebbe considerare che, se la III e la V sinfonie sono due composizioni di grandissimo impegno e di sviluppo dell'arte sinfonica beethoveniana, la IV non è per niente inferiore o meno profonda delle altre due; la differenza consiste solo nel fatto che Beethoven cambia prospettiva e mentre nelle altre due sinfonie la profondità del pensiero avviene in un ambito conflittuale, nella IV avviene in un panorama rasserenato e disteso.
Se si considera inoltre che la IV sinfonia prevede lo stesso organico della I sinfonia, anzi con un flauto solo invece dei due della I, e si paragona la resa sinfonica e la pienezza di suono prodotta dalla sua orchestra nella IV sinfonia in confronto alla I, ci si rende conto di quanta strada Beethoven avesse percorso in così pochi anni e anche di quanto la I sinfonia fosse moderna e contenesse in sè tutti i germi del sinfonismo beethoveniano fino alla IX sinfonia.
Tornando alla IV sinfonia di solito mi sento a disagio davanti alle esecuzioni che di solito di ascoltano; in particolare non sono mai soddisfatti del II movimento dove in genere non si riesce a sentire una fusione ottimale tra i passaggi melodici e quasi languidi con quelli più tesi. La Zhang, invece, adottando un tempo non troppo lento ma che ha consentito comunque di rendere perfettamente la bellezza della melodia, e ottenendo dall'orchestra un suono sempre teso e carico, è riuscita perfettamente a fondere il tutto con una resa magnifica. Anche tutti gli altri movimenti sono stati eseguiti magnificamente con un finale tenuto ad un tempo piuttosto rapido supportata da un'orchestra che non ho (quasi) mai così reattiva anche nei passaggi più vorticosi, dove i motivi passano improvvisamente da uno strumento ad un altro e dove le entrate degli strumenti devono essere perfetti al millimetro.
Veramente una grandissima direzione salutata da grandi applausi e da un'orchestra visibilmente contenta che ha tributato anch'essa un grande applauso alla Zhang.

lunedì 24 maggio 2010

Inter

L'Inter quest'anno ha vinto tutto ciò che poteva vincere. Era ora! Quando l'Inter vinse la sua ultima Champions League, allora Coppa Campioni, nel 1965, facevo la III media. Ora sono quasi in pensione e spero di vivere abbastanza per vedere l'Inter vincere ancora. In questo momento vorrei ricordare Peppino Prisco e Giacinto Facchetti. Per il futuro vedremo cosa succederà. Non vorrei che si dissipasse un patrimonio così faticosamente messo insieme anche se alla fin fine la grande Inter di quest'anno è nata dalla vendita di un giocatore inutile per il gioco dell'Inter come Ibra, e che del resto aveva la giusta aspirazione di vincere la Champions al Barcellona che gliela garantiva sicura, che ha permesso l'arrivo di giocatori fondamentali. Non vorrei che tutta questa magia si dissolvesse in un batter d'occhio.
Per celebrare questo solenne momento utilizzerei il Coronation Anthem Zadok the Priest di Haendel scritto per l'incoronazione di King George II l'11 ottobre 1727 e riutilizzato in modo un po' discutibile, nel coro iniziale, quale Anthem della UEFA Champions League.

Claudio Abbado


Claudio Abbado non verrà alla Scala per dirigere la II sinfonia di Mahler il 4 e 6 giugno che avrebbe diretto nonostante la richiesta degli alberi a Milano fosse andata praticamente inevasa. Non credo assolutamente che ci sia stato un disimpegno da parte di Abbado che, si deve ricordare, ha 77 anni quest'anno e 10 anni fa ha subito un intervento chirurgico pesantissimo allo stomaco per tumore. Per me il fatto che sia riuscito a fare tutto quello che ha fatto in questi 10 anni è stato un miracolo. Ora è un po' stanco e spero che si riprenda per gli impegni estivi a Lucerna e per il futuro da affrontare con cautela.
Comunque pare che su questo concerto ci fosse un destino avverso per vari motivi, e così pare che sia stato, con buona pace per molti del pubblico che avevano già prenotato il parrucchiere e una visita alla maison di qualche stilista.

Stagione 2009/10 - Serie '900 IX - Shostakovich


Si avvia a conclusione il ciclo biennale del ciclo '900 impaginato dal maestro Colombo con un bel po' di rammarico per l'interesse degli argomenti trattati e per la possibilità di ascoltare opere di grande valore alcune delle quali di ben raro ascolto nelle stagioni ordinarie.
In questa penultima puntata il compositore trattato è stato Dmitrij Dmitrievich Shostakovich, compositore che ebbe dal destino una sorte tristissima, ovvero quella di doversi misurare per quasi tutta la vita con il regime comunista e di dover quindi modulare la propria arte in modo da risultare non del tutto inviso al regime. Shostakovich visse una situazione ben strana perchè da un lato il regime lo mandava in giro per il mondo come paladino dell'arte sovietica e dall'altro, in casa, lo teneva sotto controllo censurandolo e creandogli grandi difficoltà, come accadde nel 1936 dopo un articolo apparso sulla Pravda dal titolo "Caos anziché musica" (ispirato dallo stesso Stalin, se non addirittura scritto da lui) relativo all'opera "Lady Macbeth del Distretto di Mcensk" che peraltro era già in scena dal 1934 con grandissimo successo e nel 1948 quando, ad opera di Zdanov, uscì una direttiva del comitato centrale sulle linee da seguire nella composizione della musica.
Shostakovich ed altri dovettero fare autocritica. In queste condizioni che musica poteva scrivere Shostakovich? Fortunatamente la musica è arte ineffabile per cui se scrivi un tormentato e triste adagio puoi dire che l'hai scritto per commemorare Lenin mentre in realtà l'hai scritto per commemorare i morti delle purghe staliniane, oppure, se devi essere allegro e positivo, scrivi un bell'allegro a ritmo di marcia dove non ti si può dire che non stai esultando anche se, forse, il pensiero che sia una presa in giro si può insinuare in chi ascolta.
E' quello che accade nella IX sinfonia del 1945, l'ultima sinfonia di guerra. Shostakovich la scrisse tra agosto e settembre, dopo la fine della guerra. Tutti si aspettavano una grande opera corale che inneggiasse alle sorti progressive ed eroiche del regime che aveva sconfitto il nazismo ed invece Shostakovich si presentò con un'operina che ha le dimensione dell'ottava sinfonia di Beethoven o della sinfonia classica di Prokofiev. Quest'opera inizia con un primo movimento pieno di grazia, con ripetizione dell'esposizione, con alcune zampate come l'entrata del trombone che introduce una marcetta su cui svolazza l'ottavino e che nello sviluppo si arruffa in modo minaccioso; il trombone, poi, nella ripresa tenta di rientrare nel discorso ma lo fa sempre fuori tempo per sei volte finchè alla settima trova il tempo giusto per riaffermarsi, con un effetto del tutto buffonesco. Dopo questa bella allegria, segue il secondo movimento, un Moderato, dall'umore nero con dei passaggi angoscianti, come di un pericolo oscuro.
Gli ultimi tre movimenti sono collegati tra loro, Presto-Largo-Allegretto, dove il presto è uno scherzo dove ad un certo punto entra una clamorosa tromba spagnoleggiante di rara volgarità, il Largo presenta un dolorosissimo assolo del fagotto, strumento fondamentale nella musica russa e spesso associato alla morte, fagotto che introduce all'allegretto finale passando improvvisamente dalla morte ad un sentimento di sollievo che man mano si amplia sempre di più fino ad una falsissima esultanza finale che produce tanto più baccano quanto meno c'è da esultare, una musica impazzita da luna park. La reazione del regime non fu bellissima e Shostakovich non scrisse più sinfonie per 8 anni, fino al 1953, quando, dopo la morte di Stalin, scrisse la X sinfonia, una sinfonia molto personale.
Bellissima l'esecuzione con ottoni poderosi e grandissimo fagotto nel IV movimento, e benissimo tutte le prime parti. Del resto Shostakovich lo conoscono bene e credo che siano oggi una delle orchestre più autorevoli in questo repertorio e non solo in Italia.

venerdì 21 maggio 2010

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 32


Si torna su Sergej Sergeevič Prokof'ev, dopo Ivan il terribile e il discovery di domenica scorsa con l'esecuzione, splendida, della suite da Romeo e Giulietta. Questa volta è stato il turno della suite da L'amore delle tre melarance, opera andata in scena a Chicago il 30 dicembre 1921, nel periodo in cui Prokofiev era in giro per il mondo avendo lasciato la Russia nel 1918 e dove sarebbe ritornato volontariamente nel 1932.
Prokofiev fu musicista assolutamente eclettico e lontanissimo da tutta l'espressività della musica dell'ottocento. In lui prevale nettamente la forma, l'accensione di timbri e dei ritmi unita ad una felicità melodica prodigiosa. Un cmpositore veramente eccitante! L'opera ebbe un successo contrastato ma alcuni brani divennero immediatamente famosi per cui Prokofiev ne trasse una suite, anche se personalmente preferisco sempre ascoltare quei brani all'interno dell'opera. Il brano più famoso è la Marcia ma tutta la suite è molto bella, I parte (I Ridicoli, Il mago Celio e la Fata Morgana giocano a carte, Marcia, Scherzo) e II parte (Il Principe e la Principessa, La fuga).
Poi è stata la volta del IV concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven dove ha suonato il pianista Hüseyin Sermet che ha suonato con grande sensibilità e cercando e trovando una grande intesa con il direttore, la Zhang. Grande esecuzione salutata da scroscianti applausi.

Per finire, come contrappunto a Prokofiev, è arrivato Sergej Vasil'evič Rachmaninov con la sua seconda sinfonia, eseguita la prima volta il 26 gennaio 1908 s San Pietroburgo. Si sa che nol 1895 era stata eseguita la sua prima sinfonia e che fu un insuccesso clamoroso, pare a causa anche del tasso alcolico presente nelle vene del direttore, il potentissimo Glazunov, che effettivamente beveva un po' troppo. Da qui venne a Rachmaninov un blocco compositivo di tre anni da cui usci con cure ipnotiche e psicologiche. Ne venne fuori con il famosissimo e (per me) famigerato II concerto per pianoforte ma il desiderio di riscattarsi nel campo sinfonico era forte e così tra il 1906 e il 1907 scrisse questa seconda sinfonia che ebbe un bel successo (dirigeva lo stesso Rachmaninov) ed è diventato il suo brano sinfonico più famoso. Detto che è un gran brano che, se ben suonato, esalta le qualità dell'orchestra, a me personalmente non riscalda. La trovo troppo sdolcinata e piena di effettacci spettacolari. Il debito verso Ciaikovskij è assolutamente evidente in tanti particolari, ad esempio negli accompagnamenti dei fiati delle melodie dei violini nell'ultimo movimento; non sapeva inventare niente di più nuovo? Allora meglio il più modesto ma onesto Kalinnikov che sul finire dell'ottocento scrisse due sinfonie di stampo ciaikovskiano ma più originali e con delle invenzioni timbriche più interessanti ma soprattutto senza quell'enfasi retorica e quella carica di sentimentalismo che, appena può, invade l'ispirazione di Rachmaninov. Anzi, per essere ben sicuro di farsi capire, Rachmaninov non ci pensa su due volte a ripetere più volte le medesime melodie in modo che ti si imprimano ben bene in testa strizzando come un limone il cervello dell'ascoltatore, evidendemente dopo aver strizzato per bene il proprio, come nel III movimento dove troviamo anche una lunghissima melodia del clarinetto omologa a quella del II movimento del II concerto. Evidentemente Rachmaninov aveva delle ossessioni melodiche e timbriche che si traducevano in stereotipi. Un'altra ossessione è quella del tema del Dies Irae che torna in tantissime sue composizioni e torna anche qui in vari punti nel II movimento, dove si sentono anche influssi mahleriani (scherzo e finale della VI sinfonia) e nel finale dove si può fare tranquillamente un taglio di 5 minuti buoni di musica, come molti fanno. Sarebbe possibile tagliare 5 minuti da una sinfonia di Ciaikovskij? Non credo proprio. Insomma, a me personalmente non piace anche perchè, come spesso mi capita ascoltando Rachmaninov, mi viene da pensare che si tratti di musica bellissima dove l'autore non ha nulla, ma proprio nulla da dire, e più non ha niente da dire, più diventa dolce o, nel pianoforte, virtuosistico in modo terrorizzante.
Grande esecuzione della Zhang che ha un'intesa veramente bella con l'orchestra.

martedì 18 maggio 2010

Gustav Mahler


Come oggi, il 18 maggio 1911, moriva a Vienna Gustav Mahler. L'anno prossimo saranno quindi 100 anni mentre questo 2010 sono 150 anni dalla nascita.
Autore con alterne fortune in vita, adorato da alcuni e vilipeso e deriso da altri, vide la sua effettiva affermazione dal 1960 in avanti, soprattutto grazie a Leonard Bernstein che incise per primo tutte le sinfonie negli anni '60, Non che prima non venisse eseguito. Bruno Walter, che fu suo assistente e amico, lo eseguì sempre fino alla fine e ci ha lasciato alcune delle più belle registrazionioni di sue musiche, come il Das Lied von der Erde inciso due volte negli anni '50, una volta per la DECCA ed una volta per la CBS, oggi SONY, che io personalmente preferisco anche se nella versione precedente della DECCA c'è una splendida Kathleen Ferrier nella sua estrema prova. Otto Klemperer lo venerò e ci ha lasciato due esecuzioni, quella della II sinfonia e della VII, incise negli anni '60, assolutamente insuperabili. Wilhelm Melgelberg fu sempre un suo discepolo e per tutti gli anni in cui fui direttore del Concertgebouw di Amsterdam, dal 1895 al 1945, si impegnò in tutti i modi per diffondere la musica di Mahler, facendo di quell'orchestra, ancora oggi, l'orchestra con il suono mahleriano più autentico. Ma anche Furtwaengler, il grande "guardiano della musica", eseguiva Mahler, come ho scoperto scorrendo le stagioni della Filarmonica di Berlino tra le due guerre. Ad esempio il 14 gennaio 1923 eseguì alcuni lieder, il 2 marzo 1924 eseguì la terza sinfonia, il 3 febbraio 1929 la prima sinfonia, e poi ancora lieder nel 1930, la quarta sinfonia nel 1932; poi scomparirà per tutto il periodo del nazionalsocialismo, del resto era ebreo, ma ricomparirà in un concerto estremo di Furtwaengler del 6 dicembre 1953, a meno di un anno dalla morte, quando eseguirà i Kindertotenlieder con il baritono Dietrich Fischer-Dieskau. Altri luminosi esempi di grandissimi esecutori mahleriani furono Dimitri Mitropoulos, che morì sul podio della Scala il 2 novembre 1960 durante le prove della III sinfonia che aveva eseguito due giorni prima a Colonia e di cui esiste il documento discografico, sir John Barbirolli, che fortunatamente feci in tempo a sentire in un concerto scaligero del luglio 1969 dove eseguì la V sinfonia, un anno esatto prima della sua morte, in una Scala semivuota da cui la gente (della platea), quelli che erano rimasti coraggiosamente dopo l'intervallo e che era venuta per il V concerto per violino di Mozart con cui il concerto era iniziato, usciva alla chetichella tra un movimento e l'altro e Jasha Horenstein, che ascoltai sempre alla Scala in un concerto credo del 1971 in cui si ebbe l'ardire di eseguire la sola VII sinfonia, e così il pubblico (della platea) non venne nemmeno e il grande Jasha si prese gli applausi dalle gallerie piuttosto gremite. Tempi eroici!

Quando Mahler (qui di fianco in una foto a Dobbiaco, dove passò le ultime tre estati, con la moglie Alma) tornò di moda presso il grande pubblico si insisteva moltissimo sugli aspetti psicologici della musica di Mahler, sulla sua preveggenza che avrebbe preconizzato guerre e campi di sterminio. Personalmente ho trovato sempre queste interpretazioni un po' troppo difficili da capire ed anche opinabili. E' vero che in Mahler ci sono dei luoghi tipici, che tornano in varie composizioni, come ad esempio il passaggio improvviso da situazioni tragiche a situazioni grottesche, in genere collegate con la musica da strada, musica da organetti, da banda. Questo aspetto sarebbe collegato ad un episodio della sua vita di bambino quando un giorno in cui il collerico padre litigava violentemente con la madre, in un clima di tragedia familiare, il piccolo Gustav scese precipitosamente di casa proprio nel momento in cui per strada passava un organetto che strimpellava delle allegre melodie. In realtà la musica di Mahler è molto complicata perchè era problematico il periodo in cui visse, a cavallo tra due secoli, per cui, come ricordava Bernstein, è come se Mahler con un piede poggiasse saldamente sul secolo passato mentre con l'altro fosse già nel nuovo secolo. La sua musica quindi ha caratteristiche del tutto tradizionali, da un lato, ma dall'altro si protende già verso il novecento, come quando nell'adagio dell'incompiuta decima sinfonia, nel momento del grande corale, organizza un accordo con otto note diverse (do, do#, re, mi bem, fa, sol#, la, si); probabilmente, se fosse vissuto ancora, sarebbe arrivato all'uso integrale delle dodici note, come ricordava una volta Riccardo Chailly.
Personalmente non saprei dire quale delle sue composizioni preferisco, anche perchè ogni sua sinfonia fa parte di un percorso, di un grande racconto accidentato dove una sinfonia risponde ad un'altra. La prima sinfonia che ho sentito è stata la prima sinfonia in un concerto sulla RAI negli anni '60 in prima serata, ovviamente! Corsi a comprala in un disco diretto da Kubelik con la Filarmonica di Vienna, un bel disco mono. Poi in un concerto alla Scala del 1969 sentii la IX sinfonia diretta da Bruno Maderna, assolutamente indimenticabile. A quell'epoca conoscevo già la IX perchè l'avevo comprata in una bellissima esecuzione dell'orchestra filarmonica Ceca diretta da Karel Ancerl per la Supraphon, con quella bella etichetta rossa. Poi capii che la sigla della trasmissione di padre Mariano in TV era l'inizio della II sinfonia. Il tutto accadde nel giro di tre anni. Da allora ho sempre ascoltato Mahler e l'ascolterò ancora nella prossima stagione della Verdi quando saranno eseguite tutte le sinfonie tranne l'ottava, rimandata stagione successiva. Per me Mahler è sempre una scoperta perchè ogni volta mi pone degli interrogativi. Questo accade anche con tutti gli altri compositori che amo ma in Mahler c'è effettivamente qualche cosa di diverso. Nella musica di Mahler ho un riferimento fisso ed è la VII sinfonia, la cui partitura staziona sul comodino da trent'anni. Quella è una musica che, assieme al primo movimento della IX, mi fa sentire a casa.
Per finire segnalo solo un lied, Ich bin der Welt abhanden gekommen, dai Cinque canti su testi di Rückert, scritto nell'estate del 1901, di cui si sentiranno echi nell'Adagietto della contemporanea V sinfonia per quella caratteristica della musica di Mahler di passare dal mondo del lied a quello della sinfonia, caratteristica questa che mette in assoluta evidenza l'importanza fondamentale e fondante del lied nella musica di Mahler.
Il testo è quanto di più significativo per Mahler che qui tocca, un vertice assoluto di espressione interiore quasi insostenibile (in CD consiglio la von Otter con Gardiner)

Ich bin der Welt abhanden gekommen,
Mit der ich sonst viele Zeit verdorben,
Sie hat so lange nichts von mir vernommen,
Sie mag wohl glauben, ich sei gestorben!
Es ist mir auch gar nichts daran gelegen,
Ob sie mich für gestorben hält,
Ich kann auch gar nichts sagen dagegen,
Denn wirklich bin ich gestorben der Welt.
Ich bin gestorben dem Weltgetümmel,
Und ruh’ in einem stillen Gebiet!
Ich leb allein in meinem Himmel,
In meinem Lieben, in meinem Lied!

ovvero

Sono perduto al mondo,
quel mondo col quale tanto tempo ho sprecato,
quel mondo che a lungo non ha saputo nulla di me,
tanto che può ben pensare che io sia morto!
Ma non mi importa nulla,
se mi crede morto,
e nulla gli posso dire contro,
perché davvero sono morto al mondo.
Sono morto al frastuono del mondo,
e riposo in un luogo silenzioso!
Io vivo solo nel mio cielo,
nel mio amore, nel mio canto!

giovedì 13 maggio 2010

Stagione 2009/10 - La Verdi barocca - VII


Con il concerto di ieri sera, interamente dedicato a Bach, si è conclusa questa stagione della Verdi barocca.
Il primo brano era la cantata BWV 51 "Jauchzet Gott in allen Landen!", cantata per la XV domenica dopo la Trinità "et in ogni tempo" vista la mancanza di riferimenti precisi del testo di autore anonimo. La cantata, eseguita per la prima volta il 17 settembre 1730, è una delle più splendide creazioni di Bach, pur nella modestia dell'organico che prevede solo gli archi, una tromba e una voce di soprano a cui Bach affida tre arie bellissime e parecchio difficili come si vede bene dalla prima aria. L'ottima Deborah York, anche se non dotata di una voce particolarmente potente, ha dato una bella dimostrazione della sua grande bravura ottimamente contrappuntata dalla prima tromba dell'ensemble, Jonathan Pia.
A seguire è stato eseguito lo splendido mottetto BWV 225 "Singet dem Herrn ein neues Lied", esempio massimo di come Bach fa cantare la musica attraverso la sola voce del coro accompagnata dal basso continuo.
Per terminare, vista che è anche l'Ascensione, è stata eseguito l'oratorio dell'Ascensione BWV 11 eseguito il 19 maggio 1735. Anche in questa composizione, come in tante altre, Bach ha riutilizzato musiche composte per altre cantate perdute e l'aria N. 4 verrà ulteriormente riutilizzata nell'Agnus Dei della Messa in si minore, mentre le uniche parti scritte appositamente sono un corale centrale, i due recitativi e gli interventi dell'evangelista. Magnifica composizione inquadrata da due grandi cori (questo è quello iniziale, e questo è quello finale che è un corale accompagnato da tutta l'orchestra).
Ottime le prove del coro e degli strumentisti che hanno così degnamente concluso questa stagione che è stata una sorpresa estremamente positiva.
Innanzitutto è stata una sorpresa che nascesse un complesso barocco e che si lanciasse in imprese esecutive non certamente timide, viste le musiche eseguite.
La sorpresa è proseguita con l'evidenza che esiste un pubblico per questa musica che invero si hanno poche occasioni di ascoltare e che questo pubblico, per lo più piuttosto giovane, non coincide con quello dei concerti dell'orchestra.
Così la Verdi Barocca proseguirà l'anno prossimo con una stagione di 10 concerti con brani di assoluto interesse, come la messa in do minore di Mozart (KV 427), la messa in si minore di Bach, la messa di S Emidio di Pergolesi, il Requiem di Jean Gilles, la riproposizione dell'Oratorio di Natale di Bach e del Messia di Haendel e addirittura i Vespri della Beata Vergine di Monteverdi, la musica più bella che sia mai stata scritta.
Grazie a tutti ed in particolare al direttore Ruben Jais e al direttore dell'ensemble vocale, Gianluca Capuano.

lunedì 10 maggio 2010

La Granda Guerra Patriottica


Ieri, 9 maggio, era l'anniversario della fine della II guerra mondiale nel giorno in cui le truppe sovietiche liberarono Praga.
Nell'ambito delle relazioni tra Italia e Russia ed in particolare tra Milano e San Pietroburgo, allora Leningrado, città gemellate, all'Auditorium è stata organizzata una manifestazione nel corso della quale, dopo gli inni nazionali, i discorsi dei consoli di Russia ed Ucraina e di altre autorità, e dopo l'esecuzione, con il coro, della canzone patriottica "La Guerra Sacra", è stata eseguita la VII sinfonia di Shostakovich "Leningrado".
Il 22 giugno 1941 i nazisti iniziano l'invasione della Russia e ben presto la città natale di Shostakovich, Leningrado, viene assediata. Sarà un assedio di 900 giorni che si concluderà il 27 gennaio 1944 nel corso del quale moriranno un milione e 200 mila cittadini, la metà della popolazione di quella città. In questa situazione Shostakovich si mette immediatamente all'opera e scrive la settima sinfonia tra il 15 luglio e il 27 dicembre 1941. La sinfonia fu eseguita la prima volta il 5 marzo 1942 dall'orchestra del Bolshoi diretta da Samuil Samosud a Kujbysev, negli Urali, dove Shostakovich con altri artisti era stato sfollato. Successivamente fu eseguita in vari altri luoghi nella Russia, compresa Leningrado, il 9 agosto. Nel frattempo il microfilm della partitura era partito e con un viaggio avventuroso che passò per Egitto e Brasile, arrivò negli Stati Uniti dove la sinfonia venne eseguita per la prima volta il 19 luglio dall'orchestra della NBC diretta da Toscanini. In tutto quel periodo di guerra la sinfonia godette di una immensa popolarità. Successivamente, passata la guerra, cominciarono le critiche per una sinfonia giudicata prolissa e retorica.
In effetti non è certamente la migliore delle sinfonie di Shostakovich ma si devono considerare le condizioni in cui fu scritta per cui diventò una testimonianza del proprio tempo, una testimonianza di resistenza alle violenze della guerra; due anni dopo, nel 1943, Shostakovich avrebbe scritto la sua VIII sinfonia, ancora una sinfonia di guerra, dove però egli esprimerà un sentimento molto più intimo, un dolore enorme, un senso di smarrimento per tanta violenza e tante morti.
Nella settima sinfonia c'è un episodio che è particolarmente famoso ed è quello messo nel mezzo del primo movimento: il tema dell'invasione. Dopo l'inizio sereno e idilliaco sul ritmo del tamburo si insinua un elemento di disturbo che dal pianissimo, con 12 variazioni, arriva al fortissimo più terribile e terrorizzante. Tutto ciò rappresenterebbe l'invasione nazista. In realtà potrebbe benissimo rappresentare anche la resistenza crescente all'invasione e del resto lo stesso Shostakovich testimoniò che non intendeva descrivere l'invasione. Anche nel terzo movimento, dopo un inizio da icona russa, con una musica che può ricordare certo Stravinskij, ad esempio quello della Sinfonia di Salmi, interviene improvvisamente, partendo da un lieve trillo, un elemento di disturbo con una musica affannosa e concitata. Così questa sinfonia potrebbe essere considerata come la descrizione di una situazione di pace e di tranquillità che viene continuamente messa in discussione da elementi estranei che tendono a distruggerla ma alla fine, eroicamente, viene riaffermata la volontà di tornare alla precedente situazione con la distruzione di tutto ciò che le era estraneo e nemico. Il problema, però, è che la situazione precedente non era così idilliaca perchè sappiamo cosa fosse lo stalinismo e le sue purghe degli anni precedenti, purghe dalla quali lo stesso Shostakovich si era salvato a stento. Per questo motivo la settima sinfonia divenne un'opera di regime, anche se contiene pagine di grande bellezza ad esempio nel II e III movimento, ma se si vuole ascoltare il più grande Shostakovich ci si deve rivolgere ad altre sinfonie, come la sesta o l'ottava, la sua più grande.
Ha diretto Evgeny Bushkov, che era già venuto lo scorso dicembre a dirigere il concerto per sax di Glazunov con Asya Fateyeva, che ha dato una grande esecuzione della sinfonia ottimamente coadivato dall'orchestra che ha suonato con grande impegno questa sinfonia che ben conosce, come tutto Shosakovich, e che ha anche inciso in disco con Oleg Caetani, mentre su iTunes si trova una esecuzione di 4 anni fa con Vladimir Jurovsky.
Tra i primi violini mi ha fatto un grandissimo piacere rivedere Laura Riccardi, già primo violino qualche anno fa.

venerdì 7 maggio 2010

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 30


Torna Wayne Marshall con un ottimo concerto che ha allineato due russi ed un boemo con scelte musicali tra fine '800 ed inizio '900.
Si è iniziato con Anatolij Konstantinovich Liadov e il suo Le lac enchanté, una leggenda per orchestra del 1909, brano affascinante come la più famosa Kikimora. Liadov fu allievo di Rimsky-Korsakov e si sente per i colori orchestrali. Ci sono molti punti in comune con un altro allievo di Rimsky-Korsakov, il giovane Stravinskij ma il grande Igor avrebbe poi fatto un passo in avanti talmente gigantesco da lasciarsi decisamente alle spalle queste prelibate raffinatezze russe.

A seguire il concerto per violoncello op. 104 di Antonin Dvořák con Alban Gerhardt al violoncello. Il brano è del 1895 ed è considerato generalmente l'unico concerto per violoncello di Dvořák anche se ne compose uno nel 1865 che lasciò incompiuto. Si tratta di un'opera meravigliosa iniziata nel periodo americano di Dvořák ma che non contiene alcun riferimento all'America. Dvořák non sarà stato un innovatore in musica, ma è sempre stato un compositore di musiche fresche, oneste ed entusiasmanti. Inoltre Dvořák scrive temi, cioè è un compositore che ha temi musicali e questo non è da tutti. Ci sono compositori che magari sono ammirevoli per come sviluppano spunti melodici anche minimi ma Dvořák è uno che nelle sue composizioni si presenta con temi epici, scultorei oppure teneri, malinconici. La sua musica quindi colpisce l'ascoltatore perchè te la ricordi e quando ti viene in mente Dvořák subito gli associ temi e motivi musicali, come succede anche con Beethoven o con i Beatles. Qui indico questa versione con Rostropovich e Giulini veramente strepitosa. La versione che abbiamo ascoltato con il bravissimo Alban Gerhardt è stata molto buona perchè Gerhardt è un gran violoncellista con un bel suono e una grande musicalità (tra l'altro per la Hyperion ha inciso due CD di concerti per violoncello piuttosto rari, a parte Schumann); certamente Marshall, che ha dato una bella esecuzione vigorosa ma un po' unidirezionale, non è Giulini che, almeno in questo repertorio, era il più bravo e il più sensibile di tutti.
Alban Gerhardt, dopo due bis tra le acclamazioni del numeroso pubblico, si è seduto tra i violoncelli dell'orchestra come ottavo nella suite dell'Uccello di fuoco, un gesto veramente simpatico e non usuale.

Personalmente non amo molto le suite tratte da composizioni perchè è un po' come se davanti ad un grande quadro si guardasse un volto, un intreccio delle dita delle mani di un personaggio, le pieghe di un vestito perdendo tutto il resto come se fosse solo un riempitivo. Sarò un po' integralista ma un'opera la si deve vedere o sentire nella sua interezza. L'uccello di fuoco completo non è il Parsifal, dura solo circa 50 minuti per cui lo si può ascoltare senza particolare difficoltà. Inoltre, ascoltandolo tutto, si ha modo di apprezzare meglio le influenze di Ciaikovskij e di Rimsky-Korsakov e quali siano le grandi ed originali novità portate da Stravinskij; ad esempio, tutta la parte finale dalla danza infernale in poi è certamente la musica più nuova del giovane Stravinskij ma se non si esegue il balletto completo si perde tutta la preparazione a questo brano, come si può apprezzare in questo video dove la danza infernale inizia a 1.23.
Dalla berceuse fino al finale si può godere pienamente questo video con Stravinskij, il più grande musicista del '900, almeno dei primi cinquant'anni, che a 83 anni dirige se stesso, assolutamente impagabile.
Esecuzione vigorosa di Marshall che ha raccolto un'ovazione autentica.
Bravissima l'orchestra con tutte le prime parti in grande evidenza.

domenica 2 maggio 2010

Stagione 2009/10 - Serie '900 VII - Janacek - Enescu


Questo ciclo biennale dedicato alla musica del novecento limitatamente, per scelta, ad autori non più viventi, dopo aver trattato quei movimenti musicali che si aggregano attorno a Parigi, con Debussy, Ravel, Satie, il gruppo dei sei, e Vienna/Berlino, con Schoenberg, Webern, Berg, imbocca ora nuove vie più periferiche che non passano per grandi capitali ma passano per luoghi altrettanto affascinanti.
La prima tappa è stata la Romania di George Enescu, grandissimo violinista, didatta e compositore piuttosto dimenticato, che nel 1901, a vent'anni, scrive la sua prima rapsodia rumena op. 11 basata interamente su canzoni popolari rumene, tipo Hora lui Dobrica che Enescu usa all'inizio del brano o Ciocarlia (L'allodola) che usa nel finale qui in una versione con il flauto di Pan e qui con il violino, quel tipo di musica suonata da orchestrine che girano di paese in paese, di locale in locale, musica nella quale i violini vorticano velocissimi e frenetici. Enescu, nella sua rapsodia, traduce il tutto in un linguaggio sinfonico raffinatissimo che però non perde la sua genuinità originale facendone un brano di grande fascino e nel finale di delirante eccitazione.

La seconda tappa di questo viaggio è passato per la Moravia di Leos Janacek che tra il 1915 e il 1918, al tempo della prima guerra mondiale, scrive la rapsodia in tre movimenti Taras Bulba, basato sul famoso racconto di Gogol. La rapsodia fu eseguita la prima volta a Brno nel 1921 e successivamente a Praga dalla grande Orchestra Filarmonica Ceca diretta da Vaclav Talich il 9 novembre 1924. Janacek scrisse questo brano proprio come omaggio alla Russia che era scesa in guerra, Russia nella quale egli riponeva le più grandi speranze per un futuro migliore, anzi egli scrisse questo brano, come scrisse in una lettera perchè "nel mondo intero non si possono trovare nè fuochi nè torture che possano distruggere la vitalità della nazione russa".
Le tre parti descrivono tre morti. La prima parte descrive la morte di Andrij, figlio di Taras Bulba e innamoratosi di una principessa polacca, quindi nemica, ed ucciso dal suo stesso padre. La seconda parte descrive la morte dell'altro figlio di Taras Bulba, Astop, catturato, torturato ed ucciso. La terza parte descrive la morte sul rogo di Taras Bulba e la sua profezia della futura grandezza e gloria della grande patria russa.
Janacek scrive una musica estremamente drammatica basata sul ripetersi di piccole cellule che si ripetono ossessivamente trasformandosi però nello svolgimento dei brani. Personalmente amo moltissimo la musica di Janacek, un compositore dalla vitalità assolutamente indomita, un compositore che scrisse tutto quanto di più gran ha scritto negli ultimi vent'anni della sua vita, un uomo che ancora in tarda età si innamorava follemente, e con successo, di ragazze che avevano quarant'anni meno di lui, un compositore assolutamente originale, che possiede un suono assolutamente inconfondibile.
Belle e vitali le esecuzioni dell'orchestra diretta come al solito dal maestro Colombo con qualche imprecisione nel primo movimento e nel terzo di Taras Bulba, brano in cui è forse mancata anche una certa visione eroica e magniloquente che si ritrova in grandi esecutori, tutti cechi, quali Talich, Ancerl e Kubelik.