venerdì 21 maggio 2010

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 32


Si torna su Sergej Sergeevič Prokof'ev, dopo Ivan il terribile e il discovery di domenica scorsa con l'esecuzione, splendida, della suite da Romeo e Giulietta. Questa volta è stato il turno della suite da L'amore delle tre melarance, opera andata in scena a Chicago il 30 dicembre 1921, nel periodo in cui Prokofiev era in giro per il mondo avendo lasciato la Russia nel 1918 e dove sarebbe ritornato volontariamente nel 1932.
Prokofiev fu musicista assolutamente eclettico e lontanissimo da tutta l'espressività della musica dell'ottocento. In lui prevale nettamente la forma, l'accensione di timbri e dei ritmi unita ad una felicità melodica prodigiosa. Un cmpositore veramente eccitante! L'opera ebbe un successo contrastato ma alcuni brani divennero immediatamente famosi per cui Prokofiev ne trasse una suite, anche se personalmente preferisco sempre ascoltare quei brani all'interno dell'opera. Il brano più famoso è la Marcia ma tutta la suite è molto bella, I parte (I Ridicoli, Il mago Celio e la Fata Morgana giocano a carte, Marcia, Scherzo) e II parte (Il Principe e la Principessa, La fuga).
Poi è stata la volta del IV concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven dove ha suonato il pianista Hüseyin Sermet che ha suonato con grande sensibilità e cercando e trovando una grande intesa con il direttore, la Zhang. Grande esecuzione salutata da scroscianti applausi.

Per finire, come contrappunto a Prokofiev, è arrivato Sergej Vasil'evič Rachmaninov con la sua seconda sinfonia, eseguita la prima volta il 26 gennaio 1908 s San Pietroburgo. Si sa che nol 1895 era stata eseguita la sua prima sinfonia e che fu un insuccesso clamoroso, pare a causa anche del tasso alcolico presente nelle vene del direttore, il potentissimo Glazunov, che effettivamente beveva un po' troppo. Da qui venne a Rachmaninov un blocco compositivo di tre anni da cui usci con cure ipnotiche e psicologiche. Ne venne fuori con il famosissimo e (per me) famigerato II concerto per pianoforte ma il desiderio di riscattarsi nel campo sinfonico era forte e così tra il 1906 e il 1907 scrisse questa seconda sinfonia che ebbe un bel successo (dirigeva lo stesso Rachmaninov) ed è diventato il suo brano sinfonico più famoso. Detto che è un gran brano che, se ben suonato, esalta le qualità dell'orchestra, a me personalmente non riscalda. La trovo troppo sdolcinata e piena di effettacci spettacolari. Il debito verso Ciaikovskij è assolutamente evidente in tanti particolari, ad esempio negli accompagnamenti dei fiati delle melodie dei violini nell'ultimo movimento; non sapeva inventare niente di più nuovo? Allora meglio il più modesto ma onesto Kalinnikov che sul finire dell'ottocento scrisse due sinfonie di stampo ciaikovskiano ma più originali e con delle invenzioni timbriche più interessanti ma soprattutto senza quell'enfasi retorica e quella carica di sentimentalismo che, appena può, invade l'ispirazione di Rachmaninov. Anzi, per essere ben sicuro di farsi capire, Rachmaninov non ci pensa su due volte a ripetere più volte le medesime melodie in modo che ti si imprimano ben bene in testa strizzando come un limone il cervello dell'ascoltatore, evidendemente dopo aver strizzato per bene il proprio, come nel III movimento dove troviamo anche una lunghissima melodia del clarinetto omologa a quella del II movimento del II concerto. Evidentemente Rachmaninov aveva delle ossessioni melodiche e timbriche che si traducevano in stereotipi. Un'altra ossessione è quella del tema del Dies Irae che torna in tantissime sue composizioni e torna anche qui in vari punti nel II movimento, dove si sentono anche influssi mahleriani (scherzo e finale della VI sinfonia) e nel finale dove si può fare tranquillamente un taglio di 5 minuti buoni di musica, come molti fanno. Sarebbe possibile tagliare 5 minuti da una sinfonia di Ciaikovskij? Non credo proprio. Insomma, a me personalmente non piace anche perchè, come spesso mi capita ascoltando Rachmaninov, mi viene da pensare che si tratti di musica bellissima dove l'autore non ha nulla, ma proprio nulla da dire, e più non ha niente da dire, più diventa dolce o, nel pianoforte, virtuosistico in modo terrorizzante.
Grande esecuzione della Zhang che ha un'intesa veramente bella con l'orchestra.

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