venerdì 11 dicembre 2009

Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerti N. 9 & 10


L’orchestra Verdi, dalla sua fondazione da parte di Vladimir Delman grandissimo in Ciaikovskij, ha un destino russo nella sua anima.
Nel concerto della settimana scorsa abbiamo avuto un altro Prokofiev con il II concerto per pianoforte; opera impervia ottimamente spadroneggiata dal pianista coreano Kun Woo Paik ben assecondato dal direttore danese Michael Schønwandt il quale si è prodotto successivamente in una buona esecuzione della IX sinfonia di Dvorak, la famosa sinfonia “dal nuovo mondo”. Questa è un’opera talmente famosa che è difficile perfino parlarne senza cadere nel banale. Vorrei solo dire che questa sinfonia non è una sinfonia “del nuovo mondo” ma una sinfonia inviata al “vecchio mondo” dal “nuovo mondo”. Infatti è un’opera assolutamente boema, una testimonianza viva dell’amore di Dvorak per la propria terra. Un’opera che vede al suo centro emozionale il II movimento, una delle pagine sinfoniche più belle di tutto Dvorak. L’esecuzione è stata in genere ottima ma alla fine del IV movimento, in quel punto in cui tutti i temi dell’opera si riassumono e vengono ripresi, esattamente lì in quel punto è mancato qualcosa, c’è stata una diminuzione di concentrazione, probabilmente una mancanza di visione che rende così epico e grandioso il finale. Da sempre su tutte le esecuzioni preferisco Toscanini; so perfettamente che altre esecuzioni possono forse essere più lussureggianti o idiomatiche, da Kubelik ad Ancerl, da Karajan a Bernstein, da Neumann ad Abbado, ma a me è sempre piaciuto quel modo diretto ed onesto di affrontare questa musica da parte di Toscanini che la fraseggia in modo impareggiabile da grande maestro di musica.


Nel concerto di ieri sera ancora e solo musica russa di un periodo che va dal 1895 al 1938.
Il primo brano era la I sinfonia di Vasily Sergeyevich Kalinnikov, autore, credo, ignoto ai più. Nato nel 1866, morì di tubercolosi a Yalta nel 1901, un paio di settimane prima di Giuseppe Verdi. Di famiglia molto povera iniziò a studiare musica nella scuola locale; poi si trasferì al conservatorio di Mosca che dovette però abbandonare perché non poteva pagare le tasse di iscrizione. Suonatore di fagotto (strumento fondamentale in tutta la musica russa), col quale si guadagnava da vivere, timpani e violino (di fila) attirò l’attenzione del critico e didatta Semyon Nikolayevitch Kruglikov che gli impartì lezioni di armonia e lo avvicinò ad altri musicisti. Si guadagnò una raccomandazione di Ciaikovskij per un teatro di Mosca ma la sua salute era precaria e dovette andare in Crimea dove iniziò a comporre.
La sua I sinfonia fu composta negli anni 1894/95 e fu eseguita nel 1897.
Dico subito che si tratta di un’opera bellissima, onesta, sana e sincera che attirò l’attenzione anche di Toscanini che la eseguì nel 1943.
È un’opera che risente chiaramente dell’influenza di Ciaikovskij e di Borodin (nello scherzo). Queste influenze sono particolarmente visibili nel trattamento dei fiati e nel modo in cui vengono esposte le melodie e nel tipico dialogo tra archi e fiati.
Si tratta di un’opera assolutamente classica scritta da un esponente di quella scuola russa che aderiva ancora alla forma sonata e che quindi, come ricorda Bortolotto, aveva perso la prima linea della musica.
Il primo movimento inizia con una bella melodia che avrebbe sottoscritto anche Ciaikovskij; una melodia ampia che richiama grandi orizzonti. A questa segue un secondo tema bellissimo prima nelle viole e violoncelli e poi in tutti gli archi con un effetto molto coinvolgente.
Il secondo movimento è caratterizzato da un accompagnamento incantato di due note dei violini e dell’arpa che danno vita a una bella melodia dell'oboe.
Scherzo alla Borodin, vigoroso e con richiami alla musica popolare e finale che riprende il tema del primo movimento e si sviluppa poi come una grande festa con apoteosi finale.
Opera forse ingenua e ancora immatura in alcune parti ma che testimonia il grande amore di Vasily Sergeyevich per la grande madre Russia, in un momento ancora incantato prima della catastrofe.
Opera che ha una orecchiabilità immediata che merita di essere assolutamente conosciuta non tanto perché abbia avuto un ruolo nell’evoluzione della musica ma perché è bella.


Seguiva il concerto per violoncello e orchestra di Nikolai Yakovlevich Myaskovsky, autore forse ancora più ignoto, almeno al pubblico italiano. Nato vicino a Varsavia nel 1881 morì nel 1950 scrisse 27 sinfonie. Conosco la VI sinfonia, del 1921/23. Questa sinfonia mette in evidenza una caratteristica della musica di Nikolai Yakovlevich che ho ritrovato anche nel concerto per violoncello e cioè la tendenza agli scarti improvvisi d’umore e all’introversione, come se un’immane tragedia lo sovrastasse. Nel finale della VI sinfonia il turbinio della canzone rivoluzionaria francese citata viene interrotto due volte, la seconda volta anche dal coro, dal canto funebre della tradizione ortodossa del distacco dell’anima dal corpo con effetto raggelante che porta la sinfonia allo spegnimento. La stessa cosa accade nel finale del concerto, che segue ad un privo movimento lirico e meditativo, un allegro che non riesce mai ad essere veramente allegro e non riesce neanche ad essere grottesco come accade invece in Shostakovich, un movimento dove il violoncello, con la sua voce grave e profonda, riporta sempre il discorso ad una dimensione riflessiva ritornando all’inizio del concerto, lì dove era iniziato.


Il concerto si è concluso con l’esecuzione della suite da “Il bullone” di Dmitrij Dmitrievich Shostakovich, balletto del 1931. Questa è un’opera del periodo più modernista di Dmitrij Dmitrievich, un periodo in cui gli artisti pensavano che sotto il regime ci fosse la possibilità di essere liberi di esprimere la propria creatività nei modi più vari ed audaci. Impararono molto presto che non era così e passarono un guaio molto serio, per alcuni senza ritorno. Il balletto narra la storia di un gruppo di proletari operai che salvano la fabbrica da altri operai che la vorrebbero sabotare lanciando bulloni nei suoi ingranaggi. Ad argomento grottesco segue musica adeguata, occasione che Shostakovich non perde lanciandosi in una polka che vede un assurdo dialogo tra due ottavini, un fagotto ed un trombone, uno sdolcinatissimo tango invero con movenze alquanto russe, tipo un "Bolero tartare" alla Rossini, e gran finale.



Esecuzione impeccabile dell’orchestra ben diretta da Alexander Vedernikov, fino a quest’anno direttore del Boshoi di Mosca ma attivo anche in Italia in varie sedi.
Al violoncello Alexander Kniazev, moscovita del 1961, che ha ottimamente suonato nel concerto con bel suono pieno e doloroso. Si è prodotto in due bis bachiani (l’anno prossimo eseguirà le suite di Bach a San Pietroburgo); esecuzioni sicuramente inusuali, o almeno, personalmente non ho mai sentito le suite di Bach suonate così, in modo disinvolto, dove le danze diventano vere danze anche rudi. Molto interessante e abbastanza provocatorio.

1 commento:

  1. Programma molto interessante. Grazie per i tuoi ragguagli sulla stagione de LaVerdi!

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