sabato 31 ottobre 2009
Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 6
Giovedì sera si è tenuto la prima delle tre repliche del VI concerto della stagione della Verdi. In esecuzione un brano bell'issimo dell'800 musicale, ovvero il Requiem di Verdi. Fu eseguito la prima volta il 22 maggio 1874, ad un anno dalla morte del Manzoni, ma Verdi non lo scrisse appositamente per Manzoni. Il nucleo primitivo del brano, il "Libera me Domine de morte aeterna", una grande scena drammatica per soprano, coro e orchestra, era stato composto dopo la morte di Rossini nel 1868 e doveva far parte di un requiem scritto a più mani. Il progetto non fu portato a termine. Verdi però continuò a lavorarci partendo proprio dal "Libera me Domine" facendo germinare da quel brano l'iniziale "Requiem aeternam" e il successivo "Dies irae". Dopo la morte di Manzoni completò il tutto con i brani mancanti e mise all'ultimo posto il "Libera me Domine" che costituisce in un certo senso un riepilogo dell'intero Requiem. Spesso il Requiem è stato criticato perchè non sarebbe musica casacra ma musica operistica camuffata da musica sacra. Sicuramente è vero che ci sono delle vere e proprie arie e tutti i cantanti hanno modo di sfilare per dimostrare la propria bravura, però direi che tutto è funzionale a un'espressione che va oltre l'estetica dell'opera. Ad esempio l'iniziale "Requiem aeternam" sfocia alla fine nel canto spiegato dei cantanti, ma inizia dal nulla iniziale e dal senso di smarrimento di fronte alla morte. La sequenza del Dies irae è, nel suo complesso, un grandissimo affresco musicale che inizia con in grido di terrore del Dies irae per terminare nel canto spoglio e compassionevole del Lacrymosa, dove Verdi riutilizza musica scritta originariamente per il Don Carlo, con l'invocazione finale "dona eis requiem", quasi uno scongiuro, e il luminoso Amen finale. Il conclusivo "Libera me Domine" è una grande scena in cui si risente molta musica già sentita di cui costituisce l'origine e termina sottovoce sulle parole del Libera me dette dal soprano e sillabate sottovoce dal coro, un'invocazione interpretabile come una professione di fede vissuta nel timore di Dio ma anche come una speranza, un'invocazione di fronte al mistero del nulla. Pagina vertiginosa. L'esecuzione è stata molto buona. Ottima nell'orchestra e nel coro che porta l'eredità del suo fondatore Romano Gandolfi, che non è più tra noi da tre anni, che per tanti anni ha fatto il Requiem con Abbado, facendone una ragione di tutta la sua vita artistica e umana. Buoni i cantanti senza eccellere in assoluto.
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