venerdì 20 gennaio 2012

Dvorak


Ieri sera all'Auditorium di Milano si è tenuto il secondo concerto della serie dedicata a Dvorak e diretta da Aldo Ceccato che in tre anni vedrà l'esecuzione di tutte le sinfonie, dei concerti e dei poemi sinfonici.
La fama di Dvorak è strana perchè se si dice Dvorak molti dicono "Che bello!" ma poi, se si va a guardare, se si esula dalla IX sinfonia "Dal nuovo mondo", di cui comperai il disco diretto da Toscanini nel 1967 e alla cui esecuzione alla fin fine sono sempre rimasto fedele, dal concerto per violoncello e dalle danze slave, la prima serie perché con la seconda già andiamo malino, di Dvorak si conosce abbastanza poco. I concerti per violino e per pianoforte sono praticamente sconosciuti, i poemi sinfonici raramente eseguiti, il bellissimo Requiem o l'ancor più bello Stabat Mater ancora meno, come pure i quartetti, a parte il quartetto "Americano", i trii, i quintetti, le opere pianistiche e le opere liriche.
Il concerto si è aperto con lo Scherzo capriccioso op. 66 del 1883, un brano che dura meno di un quarto d'ora, dalla brillante orchestrazione e originale nella struttura con passaggi lirici e accensioni immediate, insomma, Dvorak al 100%; una composizione che mi è sempre piaciuta molto. Tra l'altro, proprio per questo aspetto così brillante e vario, con passaggi ora misteriosi quasi onirici con l'arpa, ora sgargianti che portano ad una coda travolgente, anni fa leggevo che questo brano sarebbe particolarmente indicato in musicoterapia per i depressi ed in effetti se si è un po' di cattivo umore e un po' giù, soprattutto qua a Milano e manca il mare da guardare, una musica come questa può far stare meglio. Purtroppo l'esecuzione di Ceccato non è stata propriamente vivace. Non è stata una cattiva esecuzione ma mi è parso che il brano fosse preso un po' troppo con circospezione già a partire dalla prima entrata dei corni; invece questa è una musica da prendere proprio di petto, animandola di vita fino alla stretta finale che deve essere sempre più incalzante e correre spedita: sentire per referenze Kubelik o Kertesz, ma anche Sawallisch che da buon tedesco trova vene brahmsiane in questa musica ma comunque corre senza indugi fino alla conclusione che si porta via tutto. Il pubblico ha reagito all'esecuzione del brano con una certa flemma: un applausino senza ulteriori richiami.
Poi è arrivato il concerto per pianoforte Op. 33 del 1876. Come ricorda Piero Rattalino nel suo libro sulla storia del concerto per pianoforte e orchestra, questo concerto voleva andare a risolvere un problema, ovvero come tentare una sintesi tra il virtuosismo esasperato e il rapporto con l'orchestra in modo che quest'ultima non fosse relegata al ruolo di comprimario, ovvero Dvorak cercò di scrive un concerto per pianoforte e orchestra e non un concerto per pianoforte con accompagnamento orchestrale. Quindi questo concerto ha un considerevole spessore sinfonico e la parte pianistica è molto difficile, ma con difficoltà sproporzionate all'effetto virtuostico che in realtà producono. Di conseguenza il concerto non fece molta presa sul pubblico e neanche sui pianisti. Quarant'anni dopo il pianista Vilém Kurz revisionò la parte pianistica semplificandola un po' ma non raggiunse l'effetto sperato di rilanciare la fama del concerto. In effetti si dovette attendere che di questo concerto se ne occupasse Sviatoslav Richter,che assieme all'inarrivabile e sommo Carlos Kleiber ne fece una registrazione discografica, per dimostrare il valore di questo concerto e la sua importanza storica. Con tutto ciò questo è ancora un concerto eseguito poco e quindi in genere poco conosciuto; personalmente in quasi 44 anni di frequentazione di sale da concerto un po' ovunque questa è stata la prima occasione in cui l'ho potuto ascoltare dal vivo. Qui le cose sono andate meglio. I tempi erano giusti e il pianista Benedetto Lupo, vecchia conoscenza in Auditorium, è stato come al solito molto bravo ed efficace pur nel compito non sempre grato di suonare questo concerto (che figurone si fà invece con Chopin o Ciaikovskij!).
Il concerto si è concluso con l'VIII sinfonia in sol maggiore op. 88 del 1890. Questa è una sinfonia che amo molto, se possibile più della famosa IX perchè l'ho sempre trovata ottimamente scritta e originale nella forma fantasiosa. Tra l'altro questa sinfonia contiene un movimento lento veramente incantevole con quei clarinetti così nostalgici e un terzo tempo, una specie di minuetto, che, per me, è il più bel terzo tempo di sinfonia che Dvorak abbia mai scritto, meraviglioso nel primo tema e con un trio che amplifica ulteriormente questa meraviglia. Il finale è un tema con variazioni che si apre con una fanfara delle trombe e si conclude con colori incandescenti e travolgenti. Non dico nulla del primo movimento perchè appena dopo l'inizio un signore tre file davanti alla mia si è sentito male e ci è voluto quasi tutto il movimento per portarlo via, grazie all'intervento di robusti pompieri; il tutto è stato fatto con grande discrezione. Alla fine del concerto era nell'atrio in attesa di tornare a casa con la comitiva di cui faceva parte e stava molto meglio, a quanto mi ha detto una persona dello staff.
L'esecuzione è stata buona, direi, anche molto buona nelle parti più meditative; nel finale, però, un po' di verve in più non sarebbe guastata. Insomma con Dvorak, compositore esaltante come pochi, bisogna anche darci dentro un po' quando serve. E' un peccato perchè l'orchestra Verdi è capace di grandi dinamismi (me la ricordo bene in certe esecuzioni di Stravinskij, di Shostakovich ed altri) e mi è sembrato che fosse come un po' trattenuta.
Pubblico non foltissimo, applausi in genere pochini (quelli maggiori sono venuti alla fine con concerto per pianoforte in attesa del bis).
Peccato perchè l'orchestra meriterebbe in ogni caso maggiori riconoscimenti dal proprio pubblico per l'impegno.

giovedì 19 gennaio 2012

Una modesta proposta

Non si potrebbe tornare alla TV di una volta, quando per alcune ore al giornonon si trasmetteva nulla?
Penso che sarebbe un guadagno per la salute mentale di un po' tutti.
Quanto tempo perso ad ascoltare chiacchiericci, ad appassionarsi a finti processi, a guardare gente che balla, a contemplare (finti) pietosi casi umani, ecc.
Non sarebbe meglio passare il proprio tempo a curare i rapporti umani, ad amare, a fare conversazione, a leggere, a suonare uno strumento, ad ascoltare un po' di musica, a guardare il cielo, a guardare il mare, a fare una passeggiata, a risentire finalmente un vecchio amico, a studiare una lingua straniera, a fare un po' di volontariato, a fare un corso di cucina o di lavoro a maglia, ecc. ecc. ecc.?
In alternativa si può sempre spegnere la TV (personalmente è quello che faccio io).

mercoledì 18 gennaio 2012

Gustav Leonhardt


Gustav Leonhardt è morto lunedì. Si era ritirato dalle scele lo scorso 12 dicembre con un concerto al Théâtre des Bouffes du Nord a Parigi, da cui questo estratto di Georg Boehm.
La scorsa estate riuscii ad ascoltarlo il 19 agosto, nell'ambito di una rassegna milanese di musica barocca. Ci sarebbe stato un concerto anche il 20 ed uno il 21 ma proprio il 20 sarei partito per il mare per cui li persi. Mi ricordo che per caso trovai a quel concerto un vecchio amico e si commentava che sarebbe stato assudo non andarlo a sentire considerando che era stato un nostro mito già da più di 40 anni prima con le sue incisioni delle cantate bachiane e che non si poteva sapere se ci sarebbe stata un'altra occasione per sentirlo. Sembrava quasi un presentimento. Fu un'esperienza quasi ascetica nell'asciuttezza delle sue esecuzioni che trovavano un riscontro visivo nella sua figura così severa, quasi altera se non fosse trapelata quasi una timidezza, un desiderio quasi di scomparire dalla scena. Un grande ricordo.

Ray Chen

Ieri sera al Conservatorio per la Società del Quartetto si è tenuto un concerto con musiche per violino e pianoforte con Ray Chen al violino e Julien Quentin al pianoforte, entrambi ospiti per la prima volta del quartetto.
Il concerto si è aperto con la sonata KV 454 di Mozart, grande musica con un secondo movimento bellissimo e molto profondo nell'improvviso passaggio a minore; è come se improvvisamente si passasse da un mondo sereno e colorato in un mondo angoscioso e grigio, una magia musicale. Poi è arrivato Brahms con la sua sonata in re minore Op. 108, scritta tra il 1886 e il 1888. Assieme alla sonata Op. 100 e al doppio concerto Op. 102 questa è un'opera che fu scritta da Brahms come una mano tesa verso il vecchio amico e grande violinista Joachim con il quale aveva rotto l'amicizia e il sodalizio spirituale ai tempi della sua separazione dalla moglie, occasione in cui Brahms aveva preso posizione a favore della donna. I due si riavvicinarono e suonarono assieme la prima esecuzione di questa opera così intensa, poetica, nostalgica e piena di passione. Questa musica esprime un sentimento molto profondo; se è magnifico il sentimento dell'amicizia, quello della ritrovata amicizia è ancora più bello, maggiormente bello perchè espresso senza parole.
Nella seconda parte del concerto Chen ha eseguito la seconda sonata per violino solo di Ysaye Op. 27, opera un po' ossessionante con quei continui richiami al tema della morte tramite la continua citazione del Dies Irae, una ossessione che ricorda un po' quella analoga di Rachmaninov. Non mi appassiona in modo particolare la musica per violino solo ed in ogni caso, per gusto personale, in questo repertorio resto assolutamente un bachiano.
Il concerto si è concluso con due brani di Saint-Saens, l'Havanaise Op. 83 e la Introduzione e rondò capriccioso Op. 28, due opere molto piacevoli che però esprimono il meglio nella versione orchestrale.
Ray Chen ha suonato molto bene. Bel suono sempre ed in ogni situazione, sia nei momenti più calmi e lirici, sia nei momenti più concitati e tesi, come nel finale della sonata di Brahms. Personalmente però l'ho trovato complessivamente un po' freddino nel senso che nei momenti più intensi di Mozart o di Brahms (il secondo movimento o il finale) ci poteva essere un po' più di coinvolgimento e di intensità nel suono. Anche in Saint-Saens l'esecuzione poteva essere un po' più morbida. flessibile e affascinante; invece il tutto era eseguito alla perfezione, forse perfino un po' troppo. Comunque Ray Chen ha dato delle belle esecuzioni di queste musiche ed è di sicuro un violinista fenomenale (ha vinto il Queen Elisabeth del 2009 e il Menuhin del 2008), ha personalità in abbondanza ed è talmente giovane, 23 anni il prossimo marzo, che ha tutto il tempo, con quella dote di talento che ha, di maturare dal punto di vista dell'interpretazione.
Pubblico abbastanza numeroso ma non numerosissimo. Buon successo ma non clamoroso.

domenica 15 gennaio 2012

Haydn e Bruckner


Nell'ultimo concerto in Auditorium sono state eseguite la sinfonia concertante di Haydn e la V sinfonia di Bruckner.
La sinfonia concertante per violino, oboe, fagotto, violoncello e orchestea fu scritta da Haydn nel 1792 per i concerti Solomon di Londra, che gli avevano già commissionato le 12 sinfonie londinesi; il genere della sinfonia concertante aveva molto successo e in particolare avevano successo quelle scritte da Pleyel, già allievo di Haydn, che poi si sarebbe trasferito a Parigi diventando un famoso costruttore di pianoforti apprezzatissimi da Chopin, tra l'altro.
Come al solito Haydn è una miniera di delizie musicali piccole e grandi e i quattro solisti hanno modo di dimostrare la loro bravura suonando parti certamente non facili. Come solisti c'erano quattro prime parti dell'orchestra, Luca Stocco, oboe, Andrea Magnani, fagotto, Luca Santaniello violino e Mario Shirai Grigolato, violoncello; tutti bravi anche se personalmente ho apprezzato di più i due fiati ed in particolare, potrà sembrare strano, il fagotto di Andrea Magnani.
Poi è arrivato Bruckner con la sua V sinfonia scritta tra il 1875 e il 1877.
Dichiaro subito la mia passione per Bruckner (forse è colpa del fatto che siamo dello stesso segno zodiacale, ci separano un paio di giorni e diversi anni, e che è passato dall'altra parte lo stesso giorno del compleanno di mio figlio, 92 anni prima) e in particolare per la V sinfonia. Quando si approccia Bruckner magari è più facile imbattersi nella quarte o nella settima o nell'ottava... la quinta è un caso un po' a parte e io ci sono arrivato un po' alla volta.
Gran sinfonia la quinta, una costruzione veramente ciclopica, in particolare nel finale dove tutto, come nella IX di Beethoven, ritorna e dove Bruckner mette in piedi un edificio sonoro di incredibile complessità, dove la trama contrappuntistica è talmente fitta che lo spazio sonoro viene totalmente saturato e dove il tutto si conclude con la perorazione finale del corale, che porta ad un'affermazione positiva, all'unico "si" possibile dopo i tanti "no" detti prima, che è forse la conclusione di sinfonia più grande della storia della sinfonia; musica veramente visionaria.
Certo Bruckner pretende molto, moltissimo, dall'orchestra, in particolare dai fiati (i corni!) e da chi ascolta. A me Bruckner fa lo stesso effetto che mi faceva lo joga, quando facevo joga. Come diceva il mio maestro si deve respirare e ci si deve mettere comodi con il corpo per attendere che arrivi quel momento in cui, con la mente totalmente calma, si può accedere alla contemplazione. Poi è vero che tutto torna alla normalità, alla vita di tutti i giorni, ma si impara anche ad avere un punto di vista diverso, più alto, più importante.
Pubblico gremito come i cactus in un deserto dell'Arizona che è scattato alla fine in un applauso con la stessa lena e voglia con cui un indio abbandona la propria amaca nell'ora della siesta.
Peccato, anche perchè gli orchestrali e il direttore, Claus Peter Flor, si sarebbero meritato un riconoscimento maggiore per il proprio impegno anche se l'esecuzione non è stata sempre impeccabile e mancava qua e là di un po' di pathos, soprattutto nel secondo movimento, adagio, condotto con un tempo leggermente troppo veloce (si ascolti Celibidache o Furtwaengler, per avere un'idea di cosa si può realizzare con questa musica, pur con approcci tanto diversi). Comunque per me, almeno, il miglior Bruckner ascoltato dal vivo negli ultimi anni.
Orchestra concentrata ed attenta; bravi!

sabato 7 gennaio 2012

Oratorio di Natale

Ieri pomeriggio/prima serata, in Auditorium abbiamo avuto l'Oratorio di Natale di Bach, appuntamento ormai tradizionale, con la Verdi barocca.
L'esecuzione è stata splendida e giustamente salutata dal numeroso pubblico con acclamazioni.
Ottimi i soli, Paolo Lopez sopranista, Filippo Mineccia, controtenore che aveva già cantato anche in Rinaldo qualche settimana fa e che nell'oratorio ha avuto modo ancora di più di mettere in evidenza la sua grande bravura, Makoto Sakurada, tenore nel ruolo di Evangelista e solista anche nelle sue arie, cantante dallo stile irreprensibile e dalla voce bellissima e Christian Senn, basso, anche lui sentito recentemente sia nel Rinaldo, sia nel Messiah, e come Makoto Sakurada vecchio amico della Verdi barocca vista la frequenza delle sue presenze.
Ottimo, come al solito, l'ensemble vocale diretto dal maestro Capuano e brava l'orchestra con flauti solisti, oboi e trombe in bella evidenza. Se posso muovere una critica la farei ai corni. Va bene che saranno anche strumenti originali, ma mi pare che sentano delle belle stecche (anche nel primo brandeburghese di due mesi fa era un po' faticoso. per me, ascoltarli).
Su Bach che dire? Se è vero, come è vero, che la musica è un'arte molto misteriosa che unisce al rigore l'emozione, che non è sentimentalismo ma emozione che nasce dalla contemplazione della bellezza, Bach è certamente al vertice di questa arte.
Per finire vorrei dire due cose.
La prima riguarda l'orchestra. E' sempre un piacere andare per concerti di musica barocca, non parlo solo della Verdi barocca, perchè si vede come gli orchestrali partecipino con attezione a tutta l'esecuzione, anche nelle parti in cui non suonano. Insomma non si vede gente parlare tra loro, ridacchiare, gente che si guarda in giro come se fossero lì per caso, come accade, purtroppo spesso, in diverse orchestre sinfoniche, anche nella Verdi. Io li vedo bene perchè mi metto in galleria, chi sta in platea vede le prime file e quelli dietro sono nascosti. E' vero che in un ensemble barocco sei più in primo piano e forse dipende anche dal carisma del direttore, ma mi sembra che alla base ci sia anche il piacere di fare musica; se fai l'orchestrale con l'attitudine di un impiegato statale, con il massimo rispetto degli impiegati statali, forse serebbe meglio cambiare mestiere perchè fra un'entrata e l'altra non puoi metterti a parlare con il vicino ma ti devi preparare alla tua entrata.
La seconda cosa riguarda il pubblico.
Devo dire che il pubblico della barocca è più giovane, mediamente, e più entusiasta di quello dei concerti sinfonici tradizionali. Ieri sera si sono sentite urla da stadio. E' vero che i grandissimi direttori latitano dalla stagione sinfonica (e del resto con quali soldi li si potrebbe pagare?) ma si dovrebbe essere comunque in grado di riconoscere una bella esecuzione anche se fatta magari da un giovane. Invece vedi gente, li vedo da anni, che non applaudono mai, che se appena ti azzardi a fare delle incursioni nel '900 o in brani meno noti anche di autori famosi, non vengono e lasciano il posto vuoto, ecc. Speriamo che nasca una nuova generazione di buoni ascoltatori di musica (io faccio parte di quella nata più di 40 anni fa al seguito di Claudio Abbado quando era venuto alla Scala), perchè come c'è musica e musica, esistono compositori e compositori, esecutori ed esecutori ed esistono anche ascoltatori ed ascoltatori.

giovedì 5 gennaio 2012

Violini

Leggo di un test che è stato fatto con 21 violinisti che hanno suonato bendati 6 violini, 3 di fabbricazione moderna (poche migliaia di euro) e 3 antichi (2 Stradivari del 1700 e un Guarneri del Gesù del 1740). Il risultato è stato che la preferenza è stata data, tramite voti, agli strumenti moderni.
Mi sembra assurdo perchè so che per uno strumento moderno devono passare 70/80 anni prima che suoni veramente bene e, in linea teorica, penso che uno Stradivari o un Guarneri del Gesù, anche se forse di non eccezionale qualità, suonino comunque meglio di uno strumento moderno.
Forse dipende anche dal suonatore (alcuni mesi fa ho sentito un violinista che raspava in modo immondo in un bellissimo Stradivari, non facendogli certo un gran servizio).
Personalmente ricordo concerti di grandi violinisti che suonavano grandi strumenti antichi e il suono correva in sala, ricco, luminoso. Credo che quello sia il metro di giudizio non quello del violinista che suona a stretto contatto con lo strumento.
Credo che il test sia stato condotto nel modo sbagliato.

Compleanni

Oggi, 5 gennaio, compiono gli anni Umberto Eco (80) e Maurizio Pollini (70).
Ho verificato che di Umberto Eco ho letto veramente molto; in qualche modo trovo affascinante il suo modo di scrivere e gli argomenti di cui parla.
Ricordo quando uscì Il nome della rosa; improvvisamente si doveva avere assolutamente quel libro e si andava in giro per Milano con il libro bene in vista per far vedere che ce l'avevi (io non l'ho mai fatto, eh); fenomeno strano perchè Eco era conosciuto, almeno da me, per cose cose, come la Fenomenologia di Mike Bongiorno, che pareva quasi un'opera in due tomi mentre in realtà era un piccolo saggio di 15 pagine. Grandissimo affabulatore, starei ad ascoltarlo per ore.
Di Maurizio Pollini ricordo le moltissime occasioni in cui l'ho sentito in concerti alla Scala ed al Conservatorio; un concerto su tutti quello in cui con il Quartetto Italiano eseguì il Quintetto di Brahms e naturalmente anche i concerti con Abbado.
Ho avuto un paio di fugaci contatti con lui. Una volta nell'intervallo di un concerto alla Scala ero nel foyer dei palchi e mi fumavo una sigaretta (allora, anni '70, fumavo e si poteva fumare nei luoghi pubblici); lui mi si avvicinò e mi chiese se avevo da accendere, al che gli porsi la scatola dei cerini, si accese la sigaretta, mi ringraziò, e si mise a camminare avanti ed indietro assorto dai suoi pensieri. Un'altra volta fu nel teatro tenda che nei primi anni '70 girava per Milano portando spettacoli di vario tipo in collaborazione con Scala, Piccolo Teatro e altri. Quella volta il teatro tenda era in piazza Abbiategrasso, vicino a casa mia, che allora (1973) non aveva l'aspetto odierno. Davanti alla mia vecchia scuola media, ora in rovina, c'era un grande prato ora scomparso. Quella sera c'era un concerto di Dino Ciani che suonava i preludi di Debussy e naturalmente non potevo non andarci con i miei amici, anche perchè avevo i dischi di Ciani con quelle musiche. Esattamente dietro di me c'era seduto Pollini con Riccardo Bacchelli e applaudirono piuttosto convinti. Povero Ciani, l'anno successivo sarebbe morto in un incidente d'auto privando il mondo della musica di un talento enorme di neanche 33 anni.

PS

Il 5 gennaio sarebbe stato il compleanno di Arturo Benedetti Michelangeli, classe 1920, e Severino Gazzelloni, 1919.
Compiono gli anni oggi anche Alfred Brendel (1931), sommo pianista, e Christian de Sica (1951) ma su quet'ultimo stenderei un velo piuttosto spesso.

mercoledì 4 gennaio 2012

Musicofilia

More about Musicofilia

Ieri ho terminato Musicofilia di Oliver Sacks.
L'ho letto in un periodo di tempo lunghissimo, due anni, un po' alla volta, senza fretta, poi negli ultimi 10 giorni ho finito le 200 pagine che mi mancavano.
Il libro tratta della relazione tra malattie mentali di vario tipo (ce n'è una quantità impressionante tanto che dobbiamo ringraziare il buon Dio se stiamo bene di mente, o almeno crediamo di stare bene) e la musica e dell'efficacia della musicoterapia nelle malattie mentali.
E' un libro molto interessante di più di 400 pagine che consiglierei ad occhi chiusi anche se non è certo un libro facile.
La cosa impressionante è la constatazione di quanto la musica vada in profondità nelle mente umana andando a toccare aree altrimenti inaccessibili. Malati di Parkinson o di Alzheimer o affetti da vari tipi di demenza, altrimenti inerti, con la musica giusta si rianimano, battono il tempo con il piede, possono addirittura suonare il pianoforte o il violino pur avendo perso ogni sensazione del luogo in cui si trovano e non conoscendo più le persone; magari non sanno più che cos'è un violino ma se glielo metti in mano possono ancora suonarlo; oppure le persone affette da morbo di Williams che hanno un QI di 50 ma una sensibilità musicale sviluppatissima con casi famosi come quello di Gloria Lenhoff che canta con bella voce di soprano facendo anche concerti.
Certamente la musica non è una cura (Novalis diceva "Ogni malattia è un problema musicale, ogni cura è una soluzione musicale") perchè gli effetti terminano al cessare della musica ma può alleviare molte sofferenze e può essere di grande consolazione e può dare gioia.
Certo la musica è un'arte molto strana perchè da un lato è estremamente precisa e razionale e dall'altro provoca emozioni anche fortissime fino al pianto e la mente umana è certamente un mistero altrettanto grande.

giovedì 29 dicembre 2011

Una buona Nona


Stasera una bella Nona di Beethoven in Auditorium.
Dopo un paio di anni poco convincenti, nel complesso, tralasciando la sciagurata esecuzione di Marshall, questa sera la Zhang, per la quale peraltro non impazzisco, anzi, impazzisco sempre meno, ha dato una esecuzione vibrante della nona. Tempi sostenuti, in linea con le indicazioni metronomiche beethoveniane e grande energia. Certamente l'adagio eseguito così velocemente, si fa per dire, può essere un po' destabilizzante; con i suoi 13 minuti di durata, rispetto ai 16/17 della tradizione, segna una bella differenza e bisogna essere bravi nella concertazione per rendere comunque chiaro il tutto, lirico ed intenso. Del resto le ultime esecuzioni di Abbado (che dai 17 minuti e 6 secondi del 1986 è passato ai 12 e 48 del 2000!) e Chailly (12 e 51,) seguono questa tendenza e quindi ormai ci abbiamo fatto l'orecchio (senza dimenticare però che anche Klemperer o Toscanini con i loro 15 minuti scarsi andavano in quella direzione già 60 anni fa). L'unico appunto che faccio è relativo allo scherzo dove la Zhang non ha eseguito alcun ritornello tranne quello della prima parte del trio; il movimento sarebbe durato 4 minuti di più e non moriva nessuno se si fossero eseguiti i ritornelli.
Personalmente sono dell'opinione che se i ritornelli ci sono vadano eseguiti sempre, se non altro per questioni di equilibrio e simmetria.
Per il resto non parlo dell'interpretazione perchè si entra in un campo molto personale; dico solo che andare a tempo di metronomo beethoveniano è forse condizione necessaria ma sicuramente non sufficiente per una grande esecuzione beethoveniana e che comunque mi tengo ben strette certe vecchie esecuzioni di alcune sinfonie fatte da direttori come Klemperer o Furtwaengler per il fraseggio e la ricchezza di emozioni che emanano in modo copioso.
Ottimo il coro e buono il quartetto vocale. Farei un ultimo appunto sui solisti che sono entrati un po' trafelati nel finale. Addirittura il basso non ha neanche avuto il tempo di raggiungere il proprio posto che già cantava. Fosse per me i signori solisti entrerebbero all'inizio e se ne starebbero lì ad ascoltarsi tutta la sinfonia fino alla loro entrata; canterebbero poi anche con maggiore convinzione e consapevolezza.
Molto pubblico (teatro praticamente esaurito per tutte le quattro serate) e grande successo.

Buon anno e speriamo che il 2012 non sia l'ultimo per questa orchestra e per la fondazione intera, con tutto ciò che comporta. Infatti se non arrivano giuste sovvenzioni dalla mano pubblica e non aumentano gli sponsor in modo significativo non c'è ente culturale che si sostenga da sè con soli mezzi propri. Se ciò non accadrà per quanti biglietti si vendano e per quanto noi soci possiamo sostenere tutte le attività con i nostri soldi, la fondazione avrà gravi problemi. Ciò produrrà inevitabilmente un impoverimento dell'offerta culturale e problemi per le persone che lavorano nella e per la fondazione e, cosa più grave, per le loro famiglie passate, presenti e, si spera, future. Noi dobbiamo impedire che ciò avvenga.

mercoledì 21 dicembre 2011

Messiah


Ieri sera la Verdi Barocca diretta da Ruben Jais con l'Ensemble vocale diretto da Giancarlo Capuano ci ha donato il Messiah di Haendel.
Non penso di dire nulla di particolarmente originale se dico che il Messiah di Haendel non è solo il famoso coro dell'Halleluja. Il Messiah è pieno di altri cori e arie stupende e bisogna ascoltarsolo tutto con dedizione fino in fondo.
Peccato che ieri sera, per questioni di tempo, siano stati fatti alcuni tagli nella seconda e terza parte, anche perchè così facendo sono stati tagliati dei pezzi che mi piacciono particolarmente, come questo coro.
Cantanti ottimi, le due donne soprattutto, la soprano Tehila Nini Goldstein e il contralto Sonia Prina che hanno eseguito il duetto He shall feed this flock con una intensità che si sarebbe potuta tire sconvolgente se si può parlare di sconvolgimento nella musica barocca; certo è che l'intensità delle voci era tale che la melodia veramente infinita di questo pezzo veniva dipanata nota dopo nota creando un tempo che si sarebbe voluto infinito. Sonia Prina poi, per la quale ho un'autentica passione, ha una voce tale che ti/mi fa capire veramente che la voce è lo strumento musicale più grande che esista; voce stupenda in tutta la gamma con note profonde che ti penetrano in profondità andando a toccare corde molto intime.
Molto bravi anche i due uomini, il tenore Carlo Allemano e il basso Christian Senn, ormai una vecchia conoscenza.
Grande il coro e l'orchestra.
Bis d'obbligo, l'Halleluja, con i quattro solisti e anche il direttore del coro a cantare insieme all'ensemble vocale.
Pubblico piuttosto numeroso, fortunatamente e grande successo.

lunedì 19 dicembre 2011

Verdi e Milano

More about A Milano con Verdi
Se interessa la vita di Giuseppe Verdi e la storia dei sui rapporti con Milano e la Scala e contemporaneamente interessa anche avere una panoramica sulla Milano ottocentesca, seguendone le trasformazioni urbanistiche e sociali, questo è un libro interessante che può essere anche preso come piccola guida alla Milano verdiana, pur tenendo conto che molti luoghi sono scomparsi

venerdì 16 dicembre 2011

Buon compleanno Ludwig


Oggi è il compleanno di Ludwig van Beethoven, compleanno presunto perchè in quel tempo, nel cattolico paese renano non usava posporre il battesimo oltre 24 ore dalla nascita di un bambino.
Si è conservata solo la registrazione ufficiale del battesimo.
Nel registro della parrocchia di S. Remigio appare la seguente registrazione:

Parentes

D: Joannes van Beethoven. & Helena Keverichs conjuges

Proles

17ma Xbris Ludovicus

Patrini

D: Ludovicus van Beethoven & Gertrudis Müllers dicta Baums


I padrini erano quindi il nonno di Beethoven, Kapellmeister, e la moglie del vicino, Johann Baum, impiegato nella cantina dell’elettore. Una nota da Albrechtsberger a Beethoven, datata 15 dicembre, inizia: “I migliori auguri per domani per il vostro compleanno.”
Tra i vari certificati di battesimo, il seguente è copiato nella sua interezza poiché riporta una nota di mano del maestro:


Departement de Rhin et Moselle
Mairie de Bonn.

Extrait du Registre de Naissances de la Paroisse
de St. Remy à Bonn.

Anno millesimo septingentesimo septuagesimo, die decima septima Decembris baptizatus est Ludovicus. Parentes D. Joannes van Beethoven et Helena Keverichs, Conjuges. Patrini, D. Ludovicus van Beethoven et Gertrudis Müllers dicta Baums.

Pour extrait conforme
delivré à la Mairie de Bonn.
Bonn le 2. Juin 1810.



Sul retro di questo foglio Beethoven scrisse:

1772 Il certificato di battesimo sembra essere sbagliato perché ci fu un Ludwig nato prima di me. Una Baumgarten fu, credo, mia madrina. Ludwig van Beethoven

Infatti per lungo tempo Ludwig pensò di essere nato nel 1772, complice anche il padre che gli diminuiva l'età per farlo apparire un bambino prodigio ancor più di quanto già non fosse tanto che nel primo concerto che Ludwig fece in pubblico a Colonia il 26 marzo 1778 veniva presentato come un bambino di 6 anni (strana coincidenza quella del 26 marzo che sarà il giorno della sua morte nel 1827).

Ok, Ludwig, buon compleanno!

giovedì 15 dicembre 2011

Rinaldo


Ieri sera sono andato in Auditorium a sentire il Rinaldo di Haendel di cui ricorre quest'anno il 300° anniversario della prima esecuzione, avvenuta il 24 febbraio 1711 a Londra. L'esecuzione è stata affidata all'orchestra della Verdi Barocca che in queste settimane ha preso il posto dell'orchestra sinfonica in trasferta in Oman per la Carmen. L'impegno della Verdi Barocca proseguirà la prossima settimana con il Messiah, sempre di Haendel.
Il Rinaldo, naturalmente, è un'opera molto interessante e nonostante duri quasi tre ore, l'attenzione, almeno la mia, è rimasta sempre ben desta per tutta l'esecuzione. Cantanti bravi. Su tutti, sicuramente, Deborah York nel ruolo di Almirena, e David Hansen, che se pur attaccato da virus influenzale milanese, ha dato una grande prova nel ruolo di Rinaldo.
Per Deborah York avevo dei timori; invece, a parte forse la prima aria Combatti da forte che ha un dinamismo che richiede molta forza nella voce, per il resto dell'opera ha dato una prova esemplare con due autentuche vette nella famosa aria Lascia ch'io pianga e soprattutto in Bel piacere è godere, interessante aria presa di radica dall'Agrippina rappresentata a Venezia nel 1708, aria in cui l'intermittenza del cuore preso da amore è rappresentato dall'alternanza del ritmo ternario e binario, un'esempio di poliritmia in anticipo di due secoli su Stravinskij. La grandezza della York in questa esecuzione è stata particolarmente palpabile nella grande musicalità che ha reso benissimo i cambi di ritmo e nella fantasia con la quale ha eseguito i da capo nelle sue arie, abilità che ha raggiunto appunto un vertice in Bel piacere è godere.
In genere, comunque, i da capo in tutte le arie di tutti gli esecutori sono stati ben curati e hanno reso l'opera più varia ed interessante.
Grande anche David Hansen che, pur malaticcio, ha dato tutto se stesso nell'esecuzione del proprio ruolo che prevede arie molto difficili come Or la tromba in suon festante del terzo atto, dove nel da capo si è prodotto in una serie di variazioni spettacolari.
Il ruolo di Armida, la maga, era ricoperto da Lenneke Ruiten, brava ma forse un po' leggera per il ruolo, soprattutto nella sua aria di apertura Furie terribili, dove non era abbastanza furiosa, e nell'aria di chiusura del secondo atto Vo' far guerra.
Bravi anche gli altri, Christian Senn nel ruolo di Argante e Filippo Mineccia nel ruolo di Eustazio.
L'esecuzione è stata completa a parte un taglio nel secondo atto dove è stata eliminata la prima parte della scena III; peccato perchè in quel punto due sirene cantano un'aria deliziosa, Il vostro maggio, anch'essa presa da un'opera precedente, la cantata Aminta eseguita a Roma nel 1708 e precisamente dall'aria Se vago rio.
Molto brava l'orchestra, per la quale Haendel scrisse in modo molto impegnativo con difficili soli per le prime parti, ben diretta da Ruben Jais che ha curato con visibile passione la concertazione del tutto.
Pubblico, purtroppo, scarsino. Probabilmente il pubblico degli abbonati al turno A si è un po' spaventato davanti ad Haendel, cosa comprensibile considerando che si tratta di un pubblico abituato ad ascoltare Schoenberg, Webern, Ligeti, ecc, per cui passare al Rinaldo era un bel salto.
Peccato per loro. Comunque quelli che c'erano hanno applaudito piuttosto convinti.

giovedì 8 dicembre 2011

Chiusura traffico a Milano

Domani e dopo si chiude dalle 10 alle 18, quindi si va in giro con i mezzi o a piedi. Ottimo. L'unico problema che ho ce l'ho sabato, giorno in cui ho un invito a pranzo fuori Milano nel varesotto. Nessun problema, comunque. Tram, metro, ritrovo con un'amico e un'amica alla stazione Garibaldi, treno, Busto Arsizio, due amiche che ci aspettano, pranzo sulle colline, ritorno in treno, metro, tram.