venerdì 18 settembre 2009
Stagione 2009/10 de LaVerdi - Concerto N. 2
Ieri sera si è tenuto il secondo concerto della stagione diretto dalla Zhang con musiche di Beethoven e Wagner.
Di Beethoven è stata eseguita la seconda sinfonia. Di Beethoven si sa che ha composto nove sinfonie anche se poi quelle che contano veramente e sono conosciute da tutti, o quasi, sono quattro, ovvero le dispari tranne la prima. Verso le altre sinfonie ci si esprime in genere con una certa reticenza. Le prime due sono solo dei preludi della futura grandezza, la quarta è un delicato vaso di porcellana tra due vasi d’acciaio, e così pure la sesta, anche se la sesta, certamente, è superiore… l’ottava (forse la sinfonia che preferisco) viene in genere liquidata come la bizzarria di un genio. Questa visione di Beethoven, che a dire il vero è un’immagine in larga misura ottocentesca di un genio alle prese con problemi cosmici, e non semplicemente di un compositore di musica quasi sempre bella ed interessante, attualmente credo sia in larga misura superata. Quindi, almeno ai miei occhi, tutte le sinfonie di Beethoven stanno sullo stesso piano di bellezza ed interesse, naturalmente con caratteristiche diverse. Complice anche Claudio Abbado e le sue recenti interpretazioni beethoveniane, abbiamo imparato a scoprire un Beethoven più leggero, frizzante, spumeggiante, allontanandoci quindi di molto dalla visione sempre severa ed imponente dell’opera di Beethoven appesantita dai raddoppi orchestrali del passato per cui si eseguiva Beethoven con un’orchestra di 90 esecutori, una visione che se poteva adattarsi, a fatica, a sinfonie come la V, la III o la IX, ben difficilmente poteva essere adatta alla I, alla II alla IV o all’VIII.
La seconda sinfonia si situa nel bel mezzo di un periodo di enorme creatività nei primi anni dell’800 che porteranno Beethoven alla definitiva maturazione e consapevolezza della propria arte come esito di un grande percorso che lo porta da Mozart e Haydn alla nuova concezione del suono orchestrale, come pure del pianoforte o del quartetto per archi, al periodo quindi delle grandi opere attorno al numero 50, la sonata Waldstein (Op. 53), la sonata Op. 54, l’Eroica Op. 55, il triplo concerto Op. 56, l’Appassionata Op. 57, il IV concerto Op. 58, i quartetti Op. 59, la IV sinfonia Op. 60, il concerto per violino Op. 61, ecc.
Nella seconda sinfonia si sente ribollire una materia che a fatica viene contenuta in una forma che si vuole ancora conforme alla tradizione nelle dimensioni. Nel primo movimento, anche fonicamente con i fiati, la musica forza continuamente il proprio contenitore. Il terzo movimento per la prima volta è un vero scherzo e il finale, tra movenze di danza e sberleffi, viene condotto ad un finale delirante. Il secondo movimento, invece, è una serenata appena oscurata da un’ombra; è un brano di grande grazia e cantabilità nel segno di Mozart.
Una sinfonia quindi di grande interesse sulla quale quindi vale veramente la pena di soffermarsi per tutto quanto di nuovo ci si trova.
Seguiva Wagner con tre ouverture dai Maestri cantori, Tannhauser e Olandese volante e per finire la Cavalcata delle Valchirie.
Wagner è veramente un caso a parte nella storia della musica. Era un personaggio dall’enorme consapevolezza del proprio genio e che ha vissuto la propria vita tutta in funzione della valorizzazione della propria arte. Era certamente un’arte nuova e diversa. Si vede in Wagner la ricerca di un suono nuovo dell’orchestra. Basta considerare l’ouverture del Tannhauser per chiederci da dove vengano quei violoncelli dell’inizio, con quel suono caldo, sensuale e avvolgente o nell’ouverture dell’Olandese quei violini stridenti, vento e uragano. Ecco, Wagner è un compositore avvolgente che ti circonda con il proprio suono, ti prende e ti porta via. È portatore di una morbosità, è quasi una malattia. Lo di deve assumere a dosi moderate per non esserne assorbiti completamente. Fece innamorare di sé un re che si rovinò per coprire le sue spese e costruirgli il teatro dove dovevano essere eseguite le sue opere. Infatti la nuova concezione del suono e la relativa drammaturgia delle sue opere esigeva anche un luogo diverso, un teatro moderno, una revisione moderna del teatro greco. Aveva ragione Wagner. Tutto doveva essere fatto per valorizzare la sua musica e il suo mondo (che gli importava dei debiti?) e così lui divenne l’unico musicista ad avere addirittura un teatro tutto per sé. Naturalmente si esegue Wagner ovunque e Bayreuth è diventata una tradizione ma la forza della sua musica continua a colpire in una maniera strana e sempre nuova; è portatrice di una novità, che seppure sia stata poi abusata e banalizzata da altri compositori, appare sempre vitale e profonda.
La Zhang ha dato di Beethoven una esecuzione di grande trasparenza orchestrale lanciando l’orchestra nel finale in una corsa sperticata; l’orchestra ha risposto a testa bassa con grande vigore e virtuosismo.
In Wagner l’orchestra si è rimpolpata e, soprattutto nel Tannhauser e nella visionaria ouverture dell’Olandese, ha dato un’esecuzione vigorosa e di grande sensibilità. Cavalcata delle Valchirie rampante con grandi ottoni.
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