venerdì 21 settembre 2012

Spagna

Il secondo concerto della stagione della Verdi, diretto ancora da Jader Bignamini in sostituzione della neo mamma Zhang Xian, è stato dedicato a musiche che in qualche modo fanno riferimento alla Spagna.
La Spagna, con l'Inghilterra, ha avuto uno strano destino musicale. Dopo aver epresso grandi musicisti e grande musica fino al '500 e in parte nel '600, scompare nel '700, nonostante la presenza di Domenico Scarlatti prima (Sonata K 380) e Luigi Boccherini poi (Quintettino con la famosa Musica notturna per le strade di Madrid utilizzata da Luciano Berio per farne un gran brano e il Passa Calle utilizzato anche nel film Master and Commander, oppure il Fandango da un quintetto per chitarra con tanto di nacchere) e nell'800 le cose non vanno tanto meglio nel senso che solo verso la fine del secolo la Spagna comincia ad esprimere dei compositori propri.
Nell'800 però si risveglia l'interesse per la Spagna inteso come paese esotico con i suoi colori e le sue danze.
Glinka girando per l'Europa arriva anche in Spagna e ne resta affascinato tanto da scrivere anche delle belle musiche coma la Jota aragonese.  
Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov nel periodo attorno al 1888 scrive tre brani orchestrali. Il primo è il Capriccio spagnolo Op. 34 a cui seguirà Sheherazade, Op. 35 e la Grande Pasqua russa Op. 36, tre brani clamorosi dal punto di vista della fantasia fonica che si trasforma in arte della strumentazione. Ieri sera è stato eseguito il Capriccio spagnolo che a me è sempre piaciuto. Sarà forse un po' kitsch ma è un capolavoro rispetto a idiozie musicali tipo il Capriccio italiano di Ciaikovskij. L'esecuzione a me personalmente è piaciuta molto, condotta a un tempo piuttosto moderato che era molto adatto, ad esempio, al secondo episodio, le Variazioni. Successivamente in alcuni momenti il tempo poteva essere leggermente più mosso ma la chiusa finale è stata assolutamente travolgente. Brave tutte le prime parti che sono chiamate ad uscire allo scoperto, soprattutto il clarinetto e il corno, quel corno con quel timbro che arriverà fino a Stravinskij.
Il secondo brano era la Symphonie espagnole Op. 21 di Edouard Lalo, francese di Lilla, scritta per il grande violinista Pablo Martín Melitón de Sarasate y Nevascués che era compositore lui stesso di piacevoli e divertenti musiche per violino come questa Fantasia sulla Carmen, un po' folle a dire il vero, o la Zigeunerweisen eseguita qui dal grandissimo Ion Voicu. Strana composizione in 5 movimenti che non è né un concerto per violino né una sinfonia vera e propria. Anche ieri sera, come era successo qualche anno fa quando lo stesso brano era stato eseguito da Natasha Korsakova (pronipote del grande Rimsky-Korsakov), è stato saltato il terzo movimento, l'Intermezzo, e non ne capisco il motivo. Forse riducendo il brano a quattro movimenti gli si vuole dare una forma da sinfonia tradizionale; è un peccato perchè il terzo tempo è pure bello, o meglio è in linea con l'intera sinfonia che non è che sia un gran capolavoro. Suonava la violinista nippo-canadese Karen Gomyo, accompagnata con garbo dall'orchestra. Trentenne e piuttosto carina (sono tutte da carine a molto molto carine le violiniste?), non ha un gran suono (scompariva un po' in certi momenti) ma suona bene in modo elegante e raffinato, forse un po' leziosetto e civettuolo ma tutto sommato apprezzabile. Vedo che suona un po' di tutto, da Beethoven a Mozart a Bach a Piazzolla. Mi piacerebbe sentirla anche in autori più impegnativi (sarei molto curioso di sentirla in Bach) visto che i due bis di Piazzolla erano belli e raffinati ma non erano certo dei capricci di Paganini.
Nella seconda parte del concerto è arrivato Manuel de Falla y Matheu, spagnolo di Cadiz con la seconda suite da El Sombrero de tres picos. Mi sarebbe piaciuto ascoltare anche la prima suite che contiene il brano che amo di più, ovvero la Danza de la molinera (consiglio vivamente l'incisione discografica di Carlo Maria Giulini con la Philharmonia orchestra, assolutamente favolosa) e non avrebbe allungato troppo il concerto. Bella la direzione di Bignamini ad esempio nel finale che facilmente può diventare confuso dove invece il lavoro di concertazione ha messo in bella evidenza, ad esempio, certe entrate dei fiati.
Per finire il famosissimo Bolero di Ravel del 1928. Nel programma di sala si mette giustamente in evidenza la struttura del tutto logica e ferrea del brano. Si tratta di due temi di 18 battute ciascuno (le classiche 16 più due di pausa). Ogni tema viene ripetuto 9 volte per un totale di 18 ripetizioni. Il due temi sono esposti con una sequenza assolutamente rigida: due volte il primo seguito dal secondo due volte e così per 4 volte per un totale di 16 volte e a seguire l'ultima ripetizione del primo tema seguito immediatamente dal secondo, arrivando così a 18, seguito poi dalla coda che per un momento modula a mi maggiore per tornare immediatamente al do di base. Attraverso queste ripetizioni e le mutazioni della strumentazione Ravel scrive uno straordinario brano musicale che è la vivente realizzazione della sua strepitosa fantasia musicale come quando aveva strumentato i Quadri da un'esposizione: bisogna avere una immaginazione per i suoni veramente strepitosa per pensare a quei timbri come in Gnomus, ad esempio. Quindi il Bolero di Ravel dovrebbe essere ascoltato, per me, non tanto come una dimostrazione della maestria di strumentatore ma soprattutto come un brano di fantasia musicale che si realizza attraverso gli strumenti musicali sviluppandosi da un piccolo nucleo minimo fino alla drammatica conclusione. Molto bella l'esecuzione di ieri sera con begli interventi di tutti i solisti: a parte il grande Ivan Fossati al tamburo davanti al direttore, un vero eroe, cito solo quello clamoroso del trombone di Giuliano Rizzotto, all'undicesima entrata, mi pare, da mozzafiato. Grande Bignamini, che ha diretto con una grande tenuta su tutto il pezzo dall'inizio alla fine senza cedimenti.
Rispetto ad atre occasioni in cui avevo visto ed ascoltato Jader Bignamini mi pare che il gesto sia diventato più espressivo e che, nelle pieghe del discorso musicale, sappia trovare quei chiaroscuri che rendono interessante un'esecuzione; inoltre mi pare abbia un ottimo rapporto con l'orchestra e che sappia farla suonare. Ci sono direttori che, pur bravi, hanno poco suono (ne ho sentiti diversi in Auditorium); non è certo il caso di Bignamini che di suono ne ha, talvolta, fin troppo ma in quest'ultimo concerto ha saputo controllare molto bene le sonorità che non sono mai diventate eccessive mantenendo un ottimo equilibrio tra le sezioni.
Buon pubblico e grandi applausi per tutti in tutti i brani.
Nel prossimo concerto ci trasferiremo nella buia Unione Sovietica di Stalin. Sono già angosciato.

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