Nel febbraio del 1974
feci una supplenza di matematica e fisica in un famoso liceo classico
milanese. In quella classe dell’ultima anno una ragazza forse vide in me
qualcosa che io non vidi in lei e, per avere qualche possibilità di
frequentarci, allora non c’erano telefonini né social network di sorta,
escogitò il pretesto del fratello che aveva bisogno di lezioni private di
matematica. La cosa buffa era che il fratello, che aveva un anno meno di me
mentre lei ne aveva 4 meno di me, faceva medicina ma tutto nasceva dal fatto
che il fratello, ragazzo dai vasti interessi, aveva tempo prima acquistato da
Remainders un libro di topologia algebrica di un matematico russo, Alexandrov,
incoraggiato dal fatto che nella premessa si diceva che il libro non era
destinato a specialisti. Pia illusione! Credo che chi scrive quelle
considerazioni sia animato da un certo piacere sadico. Dopo due pagine,
infatti, si era fermato incapace di proseguire e così la sorella aveva pensato
a me. Che fortuna avermi conosciuto! Così iniziammo con le lezioni. Ricordo
perfettamente quando fu la prima. Sabato 9 febbraio c’era stata l’ultima supplenza
al liceo e avevo preso accordi con lei per la biblioteca di matematica in via
Saldini 50 per il giorno 12 febbraio, martedì. Lunedì, infatti, era l’11,
anniversario dei Patti Lateranensi e si stava a casa da scuola e dal lavoro.
Ricordo che quel giorno andai al cinema Massimo, ora Auditorium, a vedere
l’Opera da tre soldi di Brecht con Milva e Domenico Modugno per la regia di
Giorgio Strehler. Ricordo gli orribili sedili di legno scheggiato e gli stucchi
bianchi e fatiscenti che dava alla sala un aspetto polveroso, ben diverso dall’aspetto
attuale! Il martedì era una giornata nebbiosa e fredda. Incontrai il fratello
nell’atrio dell’istituto e così iniziammo. Più che dargli lezioni di
matematica, alle quali obiettivamente era poco interessato (ma io come scambio
culturale andai a diverse lezioni di microbiologia, materia molto
interessante), scoprimmo di avere comuni interessi per la letteratura e la
musica. Lui fu molto favorevolmente colpito dal fatto che mi interessassi tanto
di musica antica che lui amava molto per ragioni familiari. Infatti suo zio Giuseppe,
un prete, aveva fondato dopo la guerra la Polifonica Ambrosiana, un complesso
che si dedicava all’esecuzione di musica antica sacra e profana arrivando a
Monteverdi, come limite massimo. Cominciai anche a frequentare la famiglia. La
mamma, veneziana e bellissima donna, insegnava musica alle medie ed era una
brava pianista mentre il padre insegnava lettere. C’era anche una sorellina che
frequentava lo stesso liceo della sorella grande. La cosa curiosa era che il
padre insegnava al Leone XIII e così, dato il mio cognome, venne fuori che era
stato amicissimo di mio zio gesuita, lo zio Gigi (Luigi) fratello di mio padre,
che aveva insegnato per diversi anni in quell’istituto. Per dire quanto è
piccolo il mondo potrei aggiungere che 25 anni dopo conobbi un ragazzo col
quale collaborai per lavoro il cui padre era preside della scuola media del
Leone XIII e lui, piuttosto asino a scuola, era stato mandato a lezione di
italiano da quella ragazza che avevo conosciuto in quella supplenza che nel
frattempo si era laureata in lettere classiche e insegnava in quello stesso
istituto latino e greco. Con i due fratelli andavamo per concerti. Io li
portavo al Conservatorio e alla Scala e loro mi portavano ai concerti
dell’Angelicum e a quelli d’organo che si tenevano alla chiesa cristiana
protestante, non lontana dall’Angelicum. In quei concerti d’organo conobbi il
maestro Gianfranco Spinelli, che morì troppo giovane pochi anni dopo, organista
di grande valore, che aveva sposato una loro cugina ed era stato assistente
dello zio Giuseppe alla Polifonica Ambrosiana. Qualche volta veniva anche la
madre, soprattutto se suonava qualche pianista. Fu così che ascoltammo assieme
alla Scala un bellissimo concerto con Lazar Berman che dopo aver eseguito il
primo concerto di Liszt (ma lei amava soprattutto e a ragione i concerti di
Mozart) fece sette bis; alla fine non si applaudiva neanche più per paura che
ne facesse un altro! Il padre non veniva mai ai concerti, men che meno a quelli
dell’Angelicum dove cantava la Polifonica Ambrosiana. Si parlava invece di
letteratura, per quanto possibile vista la mia pochezza al suo cospetto. Così
un giorno arrivammo a parlare di Arcidio Baldani. Arcidio Baldani era un
professore di Brera ed era un poeta. Vendeva i suoi libretti nel tratto
terminale di Corso Vittorio Emanuele, fino a piazza san Babila, davanti al Teatro
Nuovo. Io lo vedevo spesso ed un giorno, proprio davanti al Teatro Nuovo, gli
comprai uno di questi libretti. Ieri questo piccolo libro è saltato fuori tra
le pieghe della mia libreria ed apprendo, dalla dedica che mi fece con
autografo, che si trattava del 9 dicembre 1971, un giovedì, di mattina, con un
bel sole anche se faceva molto freddo. Si tratta dell’Opera Quinta. Il
professore padre dei miei amici lo conosceva bene e quei libretti glieli
comprava regolarmente tutti, anche perché forse gli faceva un po’ pena. Non so
che valore possa avere questo poeta (nei risvolti di copertina si parla
addirittura di Leopardi, mah) ma in qualche modo gli sono affezionato anche
perché mi riporta alla memoria un tempo che non c’è più e persone che sono
anch’esse scomparse non solo fisicamente ma anche, mi pare, dalla memoria dei più.
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