mercoledì 19 settembre 2012

Smemoratezza

Nel febbraio del 1974  feci una supplenza di matematica e fisica in un famoso liceo classico milanese. In quella classe dell’ultima anno una ragazza forse vide in me qualcosa che io non vidi in lei e, per avere qualche possibilità di frequentarci, allora non c’erano telefonini né social network di sorta, escogitò il pretesto del fratello che aveva bisogno di lezioni private di matematica. La cosa buffa era che il fratello, che aveva un anno meno di me mentre lei ne aveva 4 meno di me, faceva medicina ma tutto nasceva dal fatto che il fratello, ragazzo dai vasti interessi, aveva tempo prima acquistato da Remainders un libro di topologia algebrica di un matematico russo, Alexandrov, incoraggiato dal fatto che nella premessa si diceva che il libro non era destinato a specialisti. Pia illusione! Credo che chi scrive quelle considerazioni sia animato da un certo piacere sadico. Dopo due pagine, infatti, si era fermato incapace di proseguire e così la sorella aveva pensato a me. Che fortuna avermi conosciuto! Così iniziammo con le lezioni. Ricordo perfettamente quando fu la prima. Sabato 9 febbraio c’era stata l’ultima supplenza al liceo e avevo preso accordi con lei per la biblioteca di matematica in via Saldini 50 per il giorno 12 febbraio, martedì. Lunedì, infatti, era l’11, anniversario dei Patti Lateranensi e si stava a casa da scuola e dal lavoro. Ricordo che quel giorno andai al cinema Massimo, ora Auditorium, a vedere l’Opera da tre soldi di Brecht con Milva e Domenico Modugno per la regia di Giorgio Strehler. Ricordo gli orribili sedili di legno scheggiato e gli stucchi bianchi e fatiscenti che dava alla sala un aspetto polveroso, ben diverso dall’aspetto attuale! Il martedì era una giornata nebbiosa e fredda. Incontrai il fratello nell’atrio dell’istituto e così iniziammo. Più che dargli lezioni di matematica, alle quali obiettivamente era poco interessato (ma io come scambio culturale andai a diverse lezioni di microbiologia, materia molto interessante), scoprimmo di avere comuni interessi per la letteratura e la musica. Lui fu molto favorevolmente colpito dal fatto che mi interessassi tanto di musica antica che lui amava molto per ragioni familiari. Infatti suo zio Giuseppe, un prete, aveva fondato dopo la guerra la Polifonica Ambrosiana, un complesso che si dedicava all’esecuzione di musica antica sacra e profana arrivando a Monteverdi, come limite massimo. Cominciai anche a frequentare la famiglia. La mamma, veneziana e bellissima donna, insegnava musica alle medie ed era una brava pianista mentre il padre insegnava lettere. C’era anche una sorellina che frequentava lo stesso liceo della sorella grande. La cosa curiosa era che il padre insegnava al Leone XIII e così, dato il mio cognome, venne fuori che era stato amicissimo di mio zio gesuita, lo zio Gigi (Luigi) fratello di mio padre, che aveva insegnato per diversi anni in quell’istituto. Per dire quanto è piccolo il mondo potrei aggiungere che 25 anni dopo conobbi un ragazzo col quale collaborai per lavoro il cui padre era preside della scuola media del Leone XIII e lui, piuttosto asino a scuola, era stato mandato a lezione di italiano da quella ragazza che avevo conosciuto in quella supplenza che nel frattempo si era laureata in lettere classiche e insegnava in quello stesso istituto latino e greco. Con i due fratelli andavamo per concerti. Io li portavo al Conservatorio e alla Scala e loro mi portavano ai concerti dell’Angelicum e a quelli d’organo che si tenevano alla chiesa cristiana protestante, non lontana dall’Angelicum. In quei concerti d’organo conobbi il maestro Gianfranco Spinelli, che morì troppo giovane pochi anni dopo, organista di grande valore, che aveva sposato una loro cugina ed era stato assistente dello zio Giuseppe alla Polifonica Ambrosiana. Qualche volta veniva anche la madre, soprattutto se suonava qualche pianista. Fu così che ascoltammo assieme alla Scala un bellissimo concerto con Lazar Berman che dopo aver eseguito il primo concerto di Liszt (ma lei amava soprattutto e a ragione i concerti di Mozart) fece sette bis; alla fine non si applaudiva neanche più per paura che ne facesse un altro! Il padre non veniva mai ai concerti, men che meno a quelli dell’Angelicum dove cantava la Polifonica Ambrosiana. Si parlava invece di letteratura, per quanto possibile vista la mia pochezza al suo cospetto. Così un giorno arrivammo a parlare di Arcidio Baldani. Arcidio Baldani era un professore di Brera ed era un poeta. Vendeva i suoi libretti nel tratto terminale di Corso Vittorio Emanuele, fino a piazza san Babila, davanti al Teatro Nuovo. Io lo vedevo spesso ed un giorno, proprio davanti al Teatro Nuovo, gli comprai uno di questi libretti. Ieri questo piccolo libro è saltato fuori tra le pieghe della mia libreria ed apprendo, dalla dedica che mi fece con autografo, che si trattava del 9 dicembre 1971, un giovedì, di mattina, con un bel sole anche se faceva molto freddo. Si tratta dell’Opera Quinta. Il professore padre dei miei amici lo conosceva bene e quei libretti glieli comprava regolarmente tutti, anche perché forse gli faceva un po’ pena. Non so che valore possa avere questo poeta (nei risvolti di copertina si parla addirittura di Leopardi, mah) ma in qualche modo gli sono affezionato anche perché mi riporta alla memoria un tempo che non c’è più e persone che sono anch’esse scomparse non solo fisicamente ma anche, mi pare, dalla memoria dei più.

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