mercoledì 18 luglio 2012

La lingua salvata. Storia di una giovinezza



More about La lingua salvataIn questi giorni ho riletto La lingua salvata. Storia di una giovinezza di Elias Canetti. Avevo già letto questo libro nel settembre 1982 in vacanza a Paestum. Il libro è il primo volume della sua autobiografia e copre il periodo che va dalla sua nascita, 1905, al 1921. Il libro è appassionante come un romanzo perchè Canetti non si limita a narrare dei fatti ma traccia l'arco che lo porta, fisicamente e psicologicamente, dalla sua infanzia alla sua adolescenza, ai suoi 16 anni. In mezzo ci sono i ricordi, il padre commerciante che suonava il violino, i nonni paterni e materni, la Bulgaria dove era nato, le influenze orientali, la sua famiglia ebrea trapiantata secoli prima in Bulgaria dalla Spagna, la nascita dei suoi fratelli, la partenza per l'Inghilterra con maledizione del padre da parte del nonno, la vita a Manchester, la morte improvvisa del padre quando lui aveva sette anni, il ritorno sul continente, prima in Svizzera, poi a Vienna, la guerra, il ritorno in Svizzera dopo la guerra e gli ultimi anni, dal 1919 al 1921 a Zurigo mentre la mamma soggiorna in un sanatorio. 
In mezzo a tutto ciò la figura della madre, una Arditti, ebrea di antiche origini livornesi, spicca su tutte ed è particolarmente significativo vedere come esso evolve: da una totale dipendenza iniziale, considerando anche il carattere particolarmente energico di sua madre, ad un rapporto esclusivo dopo la morte del padre con la condivisione delle letture serali e la costruzione di un mondo di interessi letterari al periodo del distacco di Zurigo dove il giovane Elias fa tutta una serie di altre esperienze che lo portano a maturare certe convinzioni ed ideali che si porterà dietro per tutta a vita e che hanno a che fare anche con argomenti sommamente disprezzati dalla madre: la poesia, le scienze naturali, la natura in genere, gli animali, la pittura, l'arte, ecc. interessi sviluppati in Elias anche grazie all'idilliaco ambiente svizzero. Di tutto ciò lui scriverà come sempre alla mamma che in un incontro del maggio 1921 gli ribalterà tutto addosso distruggendogli pezzo dopo pezzo quel mondo e dichiarandosi addirittura pentita di averlo avviato agli studi. Il periodo zurighese, il più felice della sua vita, finirà così. Elias verrà portato in Germania, un paese segnato a fuoco dalla guerra dove avrebbe trovato una scuola più dura fatta da uomini che erano usciti dalla guerra ma sarebbe venuto in contatto anche con altre cose che non conosceva e che lo avrebbero fatto rinascere ad una nuova vita.
Un grande libro che alla rilettura mi è piaciuto moltissimo. Ora dovrò rileggere anche gli altri.
E' quasi incredibile che a distaza di 60 anni Canetti ricordasse certe situazioni, i nomi delle persone e delle vie in modo così preciso. Ho letto il libro controllando sulle mappe di Google e tutto corrisponde con la più grande precisione. Del resto io non mi stupisco più di tanto perché anch'io ricordo perfettamente nomi e vie che ancora adesso percorro quando vado in Auditorium che è un vertice di un ideale triangolo (gli altri due vertici sono piazza Abbiategrasso e piazzale Agrippa all'interno di un triangolo più grande che ha un vertice in piazza del Duomo e gli altri due in piazzale Corvetto e sempre in piazza Abbiategrasso) dove sono nato e si è svolta buona parte della mia giovinezza. Curiosamente, inoltre, il primo ricordo di Canetti è uguale al mio. Lui, in braccio ad una ragazza, ricorda un pavimento rosso ed io, in braccio a mia madre ricordo il pavimento rosso della cucina della casa dove sono nato.

2 commenti:

  1. il mio primo ricordo è la tapparella di un ospedale, ma non so a quando risale. Ho invece ricordi nitidissimi dell'asilo, o meglio di quando cercai di evaderne nascondendomi dietro a un cilindro di cemento (il "trenino"), insieme a un bimbo che avevo persuaso a seguirmi in quella spericolata avventura!

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  2. Avventurosa! Anch'io ricordo l'asilo. I miei mi avevano iscritto in un asilo gestito da suore (c'è ancora, in viale Cermenate). Ricordo il primo giorno. Per entrare si dovevano fare alcuni gradini ed in cima alla piccola scala c'era una suora enorme tutta vestita di nero. Io mi presi uno spavento che per quel giorno rimasi lì ma il giorno dopo non volli puù andarci per cui i miei ripiegarono fortunatamente sull'asilo comunale di via Brunacci, 100 metri dall'attuale Auditorium allora cinema Massimo. Grande felicità, metodo Montessori. Ricordo ancora la stanza dove si mangiava con i piccoli tavoli che a turno andavamo ad apparecchiare.

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