venerdì 18 novembre 2011

Arlecchino servitore di due padroni


L'altra sera, mercoledì, sono andato al Piccolo Teatro, nella vecchia sede di via Rovello, per rivedere l'Arlecchino di Goldoni con la regia di Strehler. Io l'avevo già visto almeno un paio di volte negli anni '70 ma mia moglie non l'aveva mai visto per cui l'ho accompagnata.
Lo spettacolo è sempre lo stesso. Identiche le battute, le gag, le trovate, le invenzioni registiche. Si tratta di uno spettacolo presente sulle scena dal 1947 e che ha avuto finora due protagonisti: Marcello Moretti, che lasciò nel 1959, e Ferruccio Soleri, classe 1929, che da allora interpreta il ruolo. Certo, con gli anni un po' di agilità si è persa, e si sa quanta acrobazia e fisicità sia richiesta, ma comunque Soleri svolge ancora il proprio compito in modo ammirevole e con una dedizione commovente. Anche gli altri attori erano molto bravi, però nel complesso lo spettacolo mi ha lasciato un po' perplesso. Voglio dire che tutte le battute c'erano, le parole, le frasi (le ricordavo quasi amemoria); quello che mancava in alcuni punti mi pare fosse un certo modo di porgere le frasi, una certa intensità, certi modi di fare e di dire le cose. Insomma, facendo un paragone musicale, è come se un direttore d'orchestra dirigesse un pezzo in modo corretto ma mettendoci poca anima, non sottolineando certi passaggi, un questione, dunque, di interpretazione. Mi veniva da pensare quanto avrebbe lavorato ancora Strehler sulle parole, sulle intensità e sui modi di porgere le frasi; piccole cose che fanno grandi differenze.

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