domenica 4 novembre 2012

Giuseppe Verdi, un grande amico

L'ottavo concerto della stagione dell'orchestra Verdi ha visto ancora una volta sul podio Jader Bignamini che ha sostituito la Xian Zhang da poco nuovamente mamma.
Programma tutto verdiano con il quartetto eseguito per orchestra d'archi e i quattro pezzi sacri.
Il quartetto fu scritto nel marzo 1873 a Napoli, dove Verdi si trovava per una rappresentazione di Aida, nei momenti d'ozio ed è un caso unico nella produzione verdiana. Non so se Verdi avesse intenti polemici nei confronti di chi sosteneva la superiorità della musica strumentale di area tedesca dimostrando di essere capace di scrivere un quartetto. In ogni caso si cimentò con questa forma che è di certo la più difficile. Se non hai nulla da dire e scrivi un quartetto se ne accorge chiunque mentre se scrivi per orchestra, con i colori e i timbri, puoi confondere le acque. Verdi, peraltro, scrivendo il quartetto, rimase fedele al suo stile che è sempre riconoscibile e diede una dimostrazione in più della sua grande bravura nella scrittura per gli archi. Come dimenticare la poesia, di un vero poeta, del preludio della Traviata o di certe parti di Aida, di Otello, ecc. ecc. e il finale è una fuga ben scritta, ma del resto Verdi non concluderà la propria carriera di operista con la fuga finale del Falstaff?
Nella seconda parte del concerto sono stati eseguiti i quattro pezzi sacri, due a cappella, l'Ave Maria, su scala enigmatica, e le Laudi della Vergine, da Dante, e due con orchestra, lo Stabat Mater e il Te Deum. Ancora una volta sono rimasto profondamente impressionato ed anche molto scosso da questa musica così forte. Mi veniva da paragonare, in particolare, il Te Deum di Bruckner con quello di Verdi e nello specifico nelle loro sezioni finali, in te Domine speravi. In Bruckner si sente che ci crede veramente e che quella speranza, pur essendo una speranza, è una speranza che volge verso la certezza. In Verdi è una speranza, un auspicio che si spegne in un pianissimo pieno d'angoscia tanto più drammatico dal momento che viene raggiunto dopo un fortissimo carico di vera speranza che non riesce a diventare una certezza; un brano grandissimo di un Verdi umanissimo che mi si è messo vicino come un compagno di viaggio o un amico con il quale ho percorso tanta strada insieme. Ne sono uscito veramente molto colpito. (Leggendo una recensione del concerto di martedì scorso di Claudio Abbado che ha eseguito la VI di Mahler ho letto che quella è musica che non si può eseguire in modo convincente se si è privi di un'esperienza di vita fatta anche di profonda sofferenza interiore. Mi permetto di non condividere quell'opinione. Per me questo Verdi è un'opera e una musica che parla veramente di sgomento e di sofferenza interiore, la sesta sinfonia di Mahler è tutta troppo esposta, tutta o quasi tutta troppo gridata, fatta di gesti plateali, di grandi proclami esteriori. Che poi possa anche colpire non lo nego ma non appartiene al mio gusto.)
Le esecuzioni date da Jader Bignamini sono state ottime; oltretutto ha diretto sempre a memoria, dimostrando una grande conoscenza di queste musiche. Nel quartetto grande resa degli archi con momenti veramente belli, come il trio dello scherzo dove i violoncelli hanno cantato la loro bella melodia con un'intensità ma nello stesso una moderazione assolutamente grande. Coro grandissimo e un plauso deve essere elevato ad Erina Gamberini che dopo la morte di Romano Gandolfi ha saputo conservare quel suono, quel timbro così verdiano, così caratteristico che mi veniva ancora in mente ricordando antichi Requiem verdiani diretti da Abbado negli anni '70 quando alla Scala c'era appunto Romano Gandolfi.
Grande prestazione dell'orchestra, impeccabile e grande Jader Bignamini che mi pare stia maturando un'arte direttoriale di assoluto rilievo.
Un bellissimo concerto con poco pubblico (domenica), purtroppo.

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