Ieri sera ha preso il via la serie di concerti con i quali, in tre anni, verranno eseguite in Auditorium dall'orchestra Verdi le nove sinfonie, i concerti, varie ouverture e poemi sinfonici di Antonin Dvorak. L'opera è meritoria perchè, ad esempio, per quanto riguarda le sinfonie tutti conoscono la IX sinfonia "dal nuovo mondo" composta durante il soggiorno americano, ma già le precedenti VI, VII e VIII sono molto meno frequentate per non parlare delle prime che sono quasi del tutto sconosciute ed ineseguite, almeno in Italia e anche nel settore concerti, se è molto conosciuto quello per violoncello, quello per pianoforte è ben poco eseguito.
Ieri si è iniziato proprio con la IX sinfonia, cioè con il vertice dell'opera sinfonica di Dvorak, anche se personalmente ho una forte predilezione per l'VIII, e il cammino proseguirà andando a ritroso con la VIII e la VII nei prossimi concerti di gennaio e febbraio.
Nella conferenza che si è tenuta prima del concerto, Aldo Ceccato ed Enzo Beacco hanno parlato di Dvorak secondo prospettive diverse. Aldo Ceccato ne ha parlato da musicista appassionato di quella musica e ha piuttosto insistito sul carattere nazionale della musica di Dvorak. Enzo Beacco, invece, e giustamente, non ha seguito questa prospettiva ed ha posto in evidenza come in realtà Dvorak, compositore boemo di Praga, fosse un compositore cosmopolita, certamente curioso delle tradizioni dei canti popolari della sua terra e non solo, ma sostanzialmente un autore che si esprimeva con il linguaggio della musica di ascendenza tedesca. Del resto Dvorak aveva come termini di paragone Brahms, Liszt e Wagner, soprattutto, ma anche Verdi di cui si trovano echi, sorprendentemente, ad esempio nello scherzo della IV sinfonia che ha uno slancio da cabaletta verdiana. Nella IX sinfonia si sono voluti vedere per lungo dei temi indiani che Dvorak avrebbe ascoltato durante il suo soggiorno in America. In realtà si è visto che ciò non corrisponde per nulla alla realtà in quanto tali temi potrebbero essere ascrivibili ad altre tradizioni, balcaniche, montenegrine, ucraine ed affondare ancora più lontano nel canto liturgico. Nella IX sinfonia, invece, si riscontra una grande maestria nella costruzione con il tema principale del primo movimento che ritorna in tutti gli altri ed un finale, costruito su un famosissimo tema che si scopre essere strettissimamente imparentato con il tema del primo movimento tanto che ad un certo punto diventano intercambiabili; nel finale, poi, tutti i temi dei vari movimenti vengono riepilogati e ciò porta ad una grande compattezza della struttura della sinfonia che diventa quindi, non un abile montaggio di temi folcloristici, ma un capolavoro di musica assoluta.
In precedenza sono state eseguite le due serenate per archi e per fiati, due composizioni giovanili e poco eseguite, due composizioni peraltro molto belle, vitali che affondano di più nella tradizione della musica popolare, soprattutto la serenata per fiati che in tutta l'area ceca, ungherese, balcanica rappresentano una grande tradizione per ogni occasione dai matrimoni ai funerali.
Le esecuzioni sono state in generale di buon livello, senza peraltro brillare per particolare genialità interpretativa. Nella IX sinfonia si ascolti cosa faceva Toscanini, ad esempio, o Ancerl o Kubelik mentre in anni più recenti sono stato particolarmente colpito dall'intensità e dalla partecipazione dell'interpretazione di Abbado di cui esiste anche un bellissimo video.
Comunque Aldo Ceccato ha diretto con entusiasmo e partecipazione, gigioneggiando anche non poco sul podio la qual cosa certe volte dava anche un po' fastidio perchè o sei Bernstein (e lo posso testimoniare per la ventina di volte che l'ho ascoltato dal vivo) che dava l'impressione che la musica sgorgasse dal suo corpo o è meglio che ti contieni.
Molto pubblico, grande successo.
In occasioni come queste mi torna in mente il 2007 quando la fondazione era sull'orlo del fallimento e Corbani protestava perchè il comune di Milano dava 3 milioni ad un piccolo festival come il MITO (tre settimane di programmazione) e praticamente nulla alla Verdi. In quei momenti non si sapeva neanche se si sarebbe potuta fare la stagione successiva e fu grazie ad un'assemblea straordinaria di noi soci che si decise di andare comunque avanti perchè Milano non poteva perdere questa orchestra. Furono i soci che salvarono l'orchestra non solo con i loro soldi ma anche e soprattutto con il loro sostegno morale perchè i soci, a differenza dei semplici abbonati o frequentatori della sala quando capita, condividono l'operato della fondazione e sono animati solo da una cosa che potrebbe essere considerata assurda, ma non lo è, ovvero dalla grande passione per la musica e la cultura e io, come socio da molti anni, penso di aver fatto una cosa buona per questa città.
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