venerdì 18 gennaio 2013

Selig sind die Toten

Questa settimana un solo brano nel concerto in Auditorium per l'orchestra Verdi e il coro riuniti nell'esecuzione di Ein deutsches Requiem di Brahms la cui composizione lo tenne occupato per circa cinque anni, dal 1862 al 1867. In questo periodo, nel 1865, cadde la morte di sua madre che gli ispirò il tenerissimo quinto brano, Ihr habt nun Traurigkeit, cantato dal soprano con il coro, che si aggiunse ai sei brani originari portando così il requiem ad un totale di sette pezzi. Questo requiem, come noto, non ha nulla a che vedere con i requiem cattolici in latino. Infatti si tratta più di una meditazione sulla condizione umana che di una rappresentazione del giorno del giudizio finale con annesso terrore della morte e dell'eventuale condanna eterna. Non per niente Brahms pensava di chiamare questo requiem "umano". Nella composizione di questa musica Brahms risentì ovviamente della grande influenza di Bach e della tradizione luterana non solo per il fatto che egli ha usato un corale, Wer nur den lieben Gott, utilizzato anche da Bach in almeno una cantata e in alcuni brani organistici, ma per una certa visione del rapporto con la morte che ricorda molto la grandissima, ancorchè estremanete giovanile cantata BWV 106 Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit, detta "Actus tragicus", scritta da Bach nel 1708, quindi a 23 anni, su testi biblici, come sarà per il requiem di Brahms che conosceva bene la Bibbia anche se certamente era agnostico e miscredente, e illuminata da una tenue e dolcissima luce fatta di consolazione e di conforto.
Per questo e altri motivi amo molto questo requiem brahmsiano. In particolare mi ha sempre colpito molto il terzo brano con il baritono, Herr lehre doch mich dass ein Ende mit mir haben muss, un brano terribile nell'incalzare iniziale del botta e risposta tra il baritono e il coro che si scioglie in un meraviglioso passaggio in cui si conquista il re maggiore per una delle più colossali perorazioni polifoniche, salda come il pedale di re dei bassi. Analoghe clamorose perorazioni di fede terminano il secondo brano, Denn alles Fleisch, es ist wie Gras, una specie di marcia funebre sulle cupe rullate dei timpani, e il sesto, Denn wir haben hie keine bleibende Statt, ancora con il baritono, l'unico momento in cui si ricorda il giudizio finale con la sua tromba, ma siamo ben lontani da Verdi o Berlioz, e la sconfitta della morte (Tod, wo ist dein Stachel?) che ricorda, ad esempio, la cantata Christ lag in Todesbanden BWV 4 di Bach, cantata corale del 1707/1708, in particolare nei Versus 3 e 4.
I restanti tre brani del requiem sono il quarto, Wie lieblich sind deine Wohnungen, una dolce lode delle opere divine, il brano iniziale, Selig sind, die da Leid tragen, e quello finale, Selig sind die Toten, che offrono all'inizio e alla fine una visione consolatoria e fiduciosa pur nella certezza della precarietà e problematicità della nostra condizione umana. Una composizione, quindi, di grande significato e molto importante.
Nell'esecuzione di ieri sera cantavano la soprano Letitia Scherrer, molto brava e con una voce molto adatta alla parte, e il giovane baritono Johannes Mooser, un ragazzone di un paio di metri con una voce però piuttosto piccola, chiara che non ha cantato male ma lo ha fatto forse incidendo poco nell'interpretazione. Buono il coro e ottima l'orchestra che ha sempre suonato bene. Helmuth Rilling, prossimo agli 80 anni e che personalmente stimo moltissimo per la sua antica militanza bachiana, ha ben diretto evitando eccessi fonici e tenendo il tutto in un'atmosfera raccolta e meditativa anche se forse qua e là ha tenuto dei tempi un po' troppo spediti, ma questa è un'osservazione del tutto personale.
Pubblico piuttosto numeroso e successo molto notevole per tutti.
PS
Forse dai link che ho messo si è capito che amo molto la registrazione di Otto Klemperer con la Schwarzkopf e Fischer-Dieskau. Come non amarla!  Però è molto bella anche quella di Celibidache, anche se è un po' particolare con quei tempi dilatatissimi che però, in alcuni casi, fanno un effetto colossale (la fuga finale della terza parte!!!).

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