venerdì 1 giugno 2012

Sogni e fremiti


L’ultimo concerto di maggio dell’orchestra Verdi  ha visto arrivare sul podio il giovane Darrell Ang da Singapore che ha diretto due brani di Mendelssohn tra i quali è stato presentato un brano di Flavio Testi.
Il brano di Flavio Testi, fiorentino, Sacrae Symphonie per tre solisti, coro e orchestra è un brano del 1987 che quindi ha 25 anni. I testi cantati sono biblici. La composizione è in cinque parti, la prima affidata al coro, la seconda al tenore, la terza al soprano, a quarta al basso mentre nel finale tutti si riuniscono in un Alleluja conclusivo. La composizione è piuttosto aspra con sonorità prevalenti da parte dei fiati, 4 trombe e 4 tromboni. Il titolo, ovviamente, fa riferimento all’omonima composizione di Giovanni Gabrieli pubblicata nel 1597 ma nella composizione di Flavio Testi non si riscontrano intenti imitativi o arcaicizzanti. Al più, nell’uso così intenso dei fiati, si può riconoscere un riflesso del passato rivisitato con una sensibilità moderna. La composizione ha dei passi altamente drammatici, ad esempio l’inizio; altri invece, penso al pezzo cantato dal soprano su testo del Cantico dei Cantici, è molto delicato con momenti di autentico raccoglimento e di sospensione temporale. Bello il finale timidamente giubilante sull’Alleluja che termina spegnendosi. In alcuni momenti mi sembrano evidenti alcune allusioni a Stravinskij, quello della Sinfonia di Salmi, ad esempio. Il brano è stato salutato da un buon applauso che è stato raccolto anche dal compositore medesimo (89 anni portati piuttosto bene)  salito sul palco. Bravi anche i cantanti, soprattutto la soprano Anna Carbonera che beneficiava del brano più bello, secondo mio gusto; ottimo il coro, come sempre ben diretto da Erina Gamberini, e sicura la direzione di Ang, che del resto è un appassionato esecutore di musica contemporanea.
Di Mendelssohn sono state eseguite le musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate e la sinfonia “Italiana”.
Le musiche di scena per il Sogno di una notte di mezzaestate furono scritte a due riprese, dapprima la ouverture, nel 1826, quando Mendelssohn aveva 17 anni, che fu pubblicata come op. 21, successivamente, nel 1843, il resto delle musiche pubblicate come op. 61. Il capolavoro è certamente la ouverture dove già si trovano tutte le caratteristiche dello stile di Mendelssohn; un gran brano con bellissime melodie dove Mendelssohn incontra la leggerezza della storia di Shakespeare traducendola in un’orchestrazione fatta di leggerezza ed impalpabilità e dove ottiene splendidi risultati con mezzi semplici e piccoli tocchi di colore. Il resto delle musiche di scena eseguite nel concerto (non sono state eseguite tutte le parti cantate) erano costituite da uno lieve scherzo (ottimo il flauto di Valeria Perretti), un agitato intermezzo, un poetico notturno dove predominano i corni (peccato per l’incertezza iniziale) e dalla celebre marcia nuziale (avevo scritto funebre ma ho corretto!), che fa il paro con quella dal Lohengrin di Wagner, nelle cerimonie nuziali di tutto il mondo e quindi è uno dei brani più massacrati dagli organisti (personalmente ne ho ascoltate varianti molto interessanti sconfinanti verso una geniale atonalità nei vari matrimoni delle mie innumerevoli ed amatissime cugine).
Per finire la sinfonia “Italiana” in la maggiore (ma che termina stranamente in la minore) composta durante il viaggio in Italia tra il 1830 e il 1833. La sinfonia fu terminata il 13 marzo 1833 ed eseguita il 13 maggio dello stesso anno a Londra. Successivamente Mendelssohn la revisionò in vista di una successiva esecuzione londinese del 18 giugno 1838 ma Mendelssohn non era soddisfatto del risultato per cui continuò a revisionare la partitura e ne impedì ogni esecuzione in Germania. La sinfonia fu così eseguita a Lipsia solo il 1° novembre 1849, due anni dopo la sua morte. La sinfonia fu quindi pubblicata solo dopo la morte di Mendelssohn come quarta sinfonia (in realtà era la terza) e come op. 90. Nel 1875 la Breitkopf pubblicò la sinfonia nell’ambito della Gesammtausgabe nella versione che è diventata standard e che è comunemente eseguita, anche se anni fa Christopher Hogwood, in Auditorium, ha eseguito la versione successiva e rimasta a livello di autografo dove si potevano apprezzare, nei primi tre movimenti, le varianti introdotte dall’autore, che a me personalmente piacciono molto (ne esiste anche una versione discografica diretta da Oleg Caetani).
Darrell Ang ha diretto bene, parlando in termini generali con tempi che mi sono sembrati azzeccati. La sinfonia è stata ben diretta con un primo tempo molto esuberante, che è nello spirito del brano, un secondo movimento raccolto nelle sue sonorità più tenui,  un terzo movimento, che è uno dei brani che in assoluto prediligo, eseguito in modo molto convincente (in questo brano, personalmente, ho sempre un termine di paragone quasi impossibile, ovvero Toscanini; mi dispiace, ma nessuno fraseggia come lui) e un finale, il Salterello,  eseguito con un impeto che raramente ho sentito in esecuzioni dal vivo.
Quello che è risultato evidente da subito, fin dalla ouverture del sogno che ne ha fatto un po' le spese, è stata la sonorità dell’orchestra di Ang, un orchestra dove in genere i fiati tendevano ad essere troppo presenti. Così talvolta l’esecuzione risultava un po’ pesante, ad esempio nella ouverture del  Sogno di una notte di mezza, anche se questo non andava sempre a scapito degli archi. Splendidi i violini, primi e secondi, con trasparenze molto belle ma anche con perentorie uscite come nei tempi estremi della sinfonia.
Darrell Ang, quindi, mi è parso un ottimo direttore con un grande istinto orchestrale ma che dovrebbe riuscire a contenersi un po’ di più in certi momenti. Comunque a me personalmente è piaciuto molto  e preferisco ascoltare delle esecuzioni anche eccessivamente accese da parte di un direttore che fa suonare l’orchestra piuttosto che ascoltare un direttore linfatico che produce esecuzioni esangui.
Buon pubblico e buon successo.

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