Tutte le macchine hanno bisogno di un combustibile che le
faccia andare. La mia auto si beve gasolio, quella di mio figlio benzina. Io
personalmente vado ad alcool, diluito e con moderazione, ma alcool. Non posso bere solo acqua, è proprio un fatto fisico, mi intristisco.
Quando tra il 1993 e il 1997 collaboravo con le università
veneziane, Cà Foscari e Architettura (IUAV), di solito a pranzo e cena andavo
alla Trattoria dalla Zanze, alla Fondamenta dei Tolentini, vicinissima allo
IUAV. Io e il signor Giovanni eravamo ormai amici e mi faceva un prezzo di
favore. Piatti ottimi e un prosecco da urlo. Me ne caraffava una bottiglia che coscienziosamente
bevevo fino in fondo, la sera. Del resto mica potevo avanzarlo, magari si
offendeva. Sempre a proposito di prosecco ricordo che sulla strada di ritorno
da Vienna io e mia moglie ci fermammo una volta a Conegliano dove ci servirono
un prosecco divino da accompagnare ad un baccalà con polentina superbo.
Però, a dire il vero, le mie origini sono veronesi, per cui
lì si va a Valpolicella, Durello, Soave e Recioto. Del recioto si ricorda
soprattutto che è un vino rosso e dolce. In realtà esiste anche bianco, dal
Soave, e sulla dolcezza c’è da discutere. Uno zio di mio padre, fratello di mio
nonno, era sacerdote e parroco in un paesino, Cellore. Si chiamava don Carlo e
faceva personalmente il recioto. Quando andavamo a trovarlo dopo i convenevoli
(Come sta, zio, perché mio padre gli dava del lei, eh, si tira avanti, ma come
è diventato grande Guglielmo, da quanto tempo non lo vedevo, ecc. ecc.
naturalmente il tutto strettamente in dialetto locale) si veniva al dunque non
scritto da nessuna parte ma sottinteso, ovvero che lui ci doveva offrire il suo
recioto. Allora lui mandava la perpetua, Maria, una compaesana di mia madre ma
parecchio più vecchia, a prendere la bottiglia che veniva messa sul tavolo con
un bicchiere. Il bicchiere veniva riempito da lui, neanche tanto, e quello
doveva bastare, perché il don Carlo era parecchio tirchio, tutto diverso da suo
fratello, anch’esso prete, don Giovanni, classe 1881, 4 settembre, il più vecchio
dei fratelli. Mio padre non riuscì mai a farsi dare da lui qualche bottiglia di
quel nettare, neanche a pagamento. Niente da fare, se le beveva lui e le dava,
in parte, ad una sorella, la “piccola”, Metilde, classe 1899, l’ultima degli
otto tra fratelli e sorelle, tutti vivi, che il mio bisnonno Luigi e sua
moglie, la contessa veronese Maria Failoni, che sarebbe deceduta il successivo
11 maggio 1900, avevano dato alla luce in circa 20 anni di matrimonio.
Ma
tornando al recioto c’è da dire che il recioto bianco, forse meno conosciuto, è
assolutamente sublime. A Soave ci sono due cantine, la Cantina del Castello e
Pieropan, che fanno due vini recioto bianco veramente ottimi. Il proprietario
della Cantina del Castello è amico di un mio cugino, lato materno, e per anni
abbiamo acquistato il suo recioto. Il recioto è uno di quei vini che se sei un
po’ giù, se vedi il mondo in modo un po’ triste e con una brutta piega
sulle labbra, ti cambia la prospettiva
in un attimo.
Per finire devo al recioto due delle più allegre sbronze
della mia vita. La prima volta avrò avuto 10 anni. Ero da mia nonna e c’era la
festa in paese del santo patrono, san Luigi. Mi presi la sbronza da una tizia
che eravamo andati a trovare e che aveva fatto una torta, tipo torta paradiso,
che inzuppai in un bicchiere di recioto, il vino delle feste. Mi ci volle poco per sbronzarmi;
inforcai la bicicletta e tornai a casa non so come, mollai la bici in cortile, corsi al primo piano e mi buttai a letto dove mi addormentai di botto. Una bellezza! La seconda
volta, fu, mi pare, nel 1979 o 1980. Io e la mia morosa del tempo eravamo
andati a vedere uno spettacolo d’avanguardia. Dopo un’ora circa nel corso della quale gli attori avevano detto un paio di battute (ma non era Samuel Beckett, magari!), disperati,
fuggimmo e andammo da Scoffone, un’enoteca che allora si trovava in via Victor
Hugo ed ora è in via Pietro Custodi, e lì affogammo il nostro malessere in una
bottiglia di ottimo recioto. Alla fine eravamo entrambi piuttosto brilli ma la
vita aveva tutt’altri colori.
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