lunedì 28 marzo 2011
Wayne Marshall dirige la Verdi
Il fisarmonicista Davide Vendramin, nell'ultimo concerto in Auditorium, come bis ha fatto un brano di Janacek, "Buona notte" dalla raccolta "Sul sentiero dei rovi" per pianoforte, trascritto per bayan. Il brano è bellissimo, pieno di delicatezza, una melodia quasi impercettibile che sul bayan, variante della fisarmonica, strumento della memoria e della nostalgia è diventato assolutamente struggente.
Se la fisarmonica è strumento popolare per eccellenza, ha trovato però ben scarso utilizzo nel repertorio sinfonico a causa di un suono considerato "brutto" e ben difficilmente amalgamabile con qualsiasi altro strumento musicale. Così almeno la pensava ancora nel 1948 Alfredo Casella.
Sofija Asgatovna Gubajdulina, invece, si è dedicata, tra le altre cose, al bayan perchè interessata al fatto di poter convertire un suono prodotto da un tasto in un accordo maggiore o minore senza cambiare la posizione delle dita. In questo modo, premendo due tasti si ottiene un esacordo e su sei esacordi è basato il brano che ha scritto nel 2003 Sotto il segno dello scorpione, per il virtuoso Friedrich Lips, nato sotto il segno dello scorpione, che poi è anche il segno zodiacale della Gubajdulina.
In questo brano, presentato in prima esecuzione italiana, l'orchestra si dispone attorno al bayan con fasce sonore, glissando e i suoni delle percussioni. In questo modo il suono del bayan si fonde perfettamente nel suono orchestrale. Molto affascinanti in particolare alcuni momenti in cui il bayan produce un suono amorfo, livido, come una materia decomposta che poi si stende con glissando dalle regioni medie a quelle più profonde come descrivendo un arco su una parete e sostenuta da lievi percussioni. Un brano affascinante e un po' inafferrabile ottimamente suonato da Davide Vendramin e da Wayne Marshall il quale, nella seconda parte, rimanendo in tema astrologico o astronomico, ha diretto The Planets, che è l'unica musica scritta da Gustav Holst che abbia, almeno in Italia, una certa fama.
La raccolta dei pianeti, esclusa la Terra, si ferma a Nettuno in quanto nel 1914 non si conosceva ancora Plutone, peraltro degradato recentemente dalla dignità di pianeta. Molto famoso è Giove, messaggero di allegria, la cui parte centrale è un inno diventato molto popolare e trascritto anche per coro "I vow to thee, my country" che piaceva tanto anche alla principessa Diana e fu cantato anche ai suoi funerali; la trascrizione per il canto si muove nell'alveo della grande tradizione dalla musica vocale britannica ma l'originale per orchestra ha una progressione più imponente. Marte è il portatore di guerra; come non riconoscere in questa musica la matrice di tanta musica da film da "Guerre stellari" in giù, o in su. Personalmente il mio brano preferito è Saturno, il messaggero di vecchiaia, un brano abbastanza spettrale, cotruitocome un arco,con una salita ed una discesa. Nel brano conclusivo dedicato a Nettuno entra un coro di voci femminili, come in Sirènes dai Nocturnes di Debussy, una composizione che sotto vari aspetti stà un po' sullo sfondo di questi Planets.
Marshall ha diretto con vigore; in alcune parti però è stato, per me, poco convincente. Ad esempio nel Nettuno finale, troppo rapido; l'entrata del coro, preparata da ampi arpeggi, dovrebbe essere come una vibrazione cosmica e si dovrebbe avere il coraggio di andare abbastanza lenti,arrivando ai limiti della resistenza del coro. Alla fine, l'ultima battuta, due note del coro, deve essere ripetuta a piacere fino all'estinzione del suono ma se non si è abbastanza lenti buona parte dell'effetto che deve essere quello della lentezza del movimento e della lontananza, si perde.
Nel secondo concerto abbiamo avuto il concerto per due pianoforti ed orchestra di Bohuslav Martinu; una bella pagina musicale piena di verve nei due movimentiestremi, ma piuttosto introspettiva e sognante in quello centrale. La parte pianistica, parecchio impegnativa, è stata affrontata con grande bravura dal duo Micallef-Inanga, composto da Jennifer Micallef, che tra l'altro è la moglie di Wayne Marshall, e Glenn Inanga.
A seguire i Carmina Burana di Carl Orff. Pagina dal gusto tra il moderno e l'arcaico con un gran uso di percussioni; una volta mi piaceva molto, per via dell'orchestrazione, però, mi pare che lo dicesse Stravinsky, se ti accorgi che un brano funziona perchè ha una bella orchestrazione vuol dire che c'è qualcosa che non va; vuol dire probabilmente che l'orchestrazione è un involucro fatto bene per coprire una sostanza che manca. Mi sembra che lo dicesse a proposito di Beethoven, ed in effetti si potrebbe dire che Beethoven orchestrasse bene, quando tutto quanto scriveva e come lo scriveva era dettato dalla sola necessità? Tutto in Beethoven è necessario e nulla è superfluo. Dal punto di vista musicale poi, i Carmina Burana mi sembrano troppo semplici, facili, una banalizzazione di musiche come l'Oedipus Rex o Le Nozze di Stravinskij che presentano ben altra varietà ritmica e sostanza musicale. Comunque è una musica sempre di grande successo presso il grande pubblico, che, peraltro, credo non conosca altro di Orff che è conosciuto, nella stragrande maggioranza dei casi, solo per questo brano. Ottima esecuzione e bravi i cantanti anche se, avendo come termine di paragone, l'edizione DG diretta da Jochum con Gundula Janowitz, soprano, Gerhard Stolze, tenore, e Dietrich Fischer-Dieskau, si capisce facilmente quanto sia difficile restare del tutto soddisfatti da ogni altra esecuzione, per quanto buona.
Marshall ha diretto in modo molto energico ma anche con bella sensibilità nelle parti più liriche. Vorrei fare una menzione particolare per la nostra timpanista, Liviana Mologni, che, tra i Planets della scorsa settimana e i Carmina Burana di questa ha avuto modo di dare una dimostrazione assoluta della propria bravura.
Teatro esaurito per le tre serate (con posti vuoti di abbonati che non potendo venire non rendono liberi i posti!) e grandissimo successo per tutti.
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