Ieri sera, 11 settembre, si è tenuto il concerto inaugurale della stagione 2011/2012 dell'orchestra Verdi. Come d'abitudine il concerto si è svolto alla Scala ed era dedicato alle vittime dell'attentato alle Twin Towers.
Il primo brano in programma era lo Schicksalied di Brahms su testo di Holderlin. La poesia di Holderlin è divisa in due parti; nella prima gli dei beati, senza destino, vivono la loro esistenza senza tempo in un mondo di eterna tranquillità e chiarezza, nella seconda parte invece si descrive, per contrasto, lo stato degli uomini che non possono mai riposare in alcun luogo sottoposti ad un destino che li pone in perenne pericolo. Brahms descrive in modo mirabile questi due momenti così contrastanti ma chiude la composizione con il ritorno dell'inizio ed in maggiore; una chiusa ambigua che può essere intesa come un commento indifferente ai dolori umani o come una consolazione. Io propenderei per la prima ipotesi che è tanto più triste quanto senza reale possibilità di conforto.
Nella secondo parte c'era il pezzo forte della serata, ovvero il War Requiem di Benjamin Britten composto per la riconsacrazione della cattedrale di Coventry che era stata distrutta da un bombardamento nel 1940.
La particolarità di questo brano consiste nel fatto che Britten non si è limitato a mettere in musica il testo latino, come Mozart, Verdi, Berlioz, Stravinskij, ecc, ma ha aggiunto una scelta di poesie scritte dal poeta Wilfred Owen al tempo della prima guerra mondiale nel corso della quale sarebbe morto il 4 novembre 1918. Con questa scelta Britten crea delle relazioni tra il testo latino e le poesie, relazioni che in vari modi riportano un sentimento generale di compianto a quello particolare della realtà della guerra e della morte. Ad esempio le trombe del Dies Irae diventano, nella poesia, tristi trombe militari che si richiamano nell'aria della sera. Nell'Offertorium al canto latino si contrappone una poesia in cui si rievoca l'episodio di Abramo e del sacrificio di Isacco, ma mentre nella Bibbia il sacrificio non avviene perchè al suo posto viene ucciso un ariete, nel testo di Owen, il vecchio "slew his son, and half of the seed of Europe, one by one".
La composizione è particolarmente complessa e prevede oltre all'orchestra e al coro, un coro di bambini che deve cantare da una certa distanza, e sono stati messi nel palco reale, un soprano, un tenore, un baritono e un'orchestra da camera; quindi sono richiesti due direttori. Fra questi due complessi si creano relazioni molto sottili e complesse come ad esempio nel Lacrimosa, che segue la ripresa violenta del Dies Irae, all'interno del quale si inserisce il tenore che canta un testo in cui si prega di spostare al sole un morto nel tentativo di riportarlo in vita come il sole fa fiorire le sementi. Nel Sanctus invece, all'esplosione luminosa dell'Hosanna si contrappone il dubbio che veramente EGLI sia in grado di sconfiggere la morte. Molto bello tutto il Libera me finale dove due morti, che in vita erano stati nemici, ed uno ha ucciso l'altro, si ritrovano e si cantano da sè la loro ninna-nanna, Let us sleep now, mentre i cori cantano "In paradisum" concludendo la composizione in un clima di serenità e di lontananza.
Molto bravi i tre solisti, Chiara Angella, Barry Banks e Mark Stone, cori e orchestra che hanno bellamente superato questa prova molto difficile che personalmente temevo non poco.
Grandi applausi per tutti, il direttore del bravissimo coro dei bambini Teresa Tramontin, la direttrice del coro Erina Gamberini, il direttore dell'orchestra da camera Ruben Jais, che ha diretto veramente bene, e il direttore Zhang Xian, confermata fino al 2014/2015, che, credo, in musiche come questa trova il suo repertorio ideale.
Insomma un bel concerto per una musica certo non facile, di raro ascolto e che necessita certamente di alcuni ascolti per poterla apprezzare e capire più profondamente.
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