venerdì 14 dicembre 2012

Antonin Dvorak

Ieri sera è ripreso in Auditorium il ciclo dedicato ad Antonin Dvorak affidato al maestro Aldo Ceccato che però, a causa di un banale incidente, è stato sostituito all'ultimo momento dal giovane direttore australiano Daniel Smith, un trentenne, credo, che dimostra decisamente meno dei suoi anni tanto è ragazzino e sbarazzino con quello strano modo che ha di muoversi sul podio.
Il primo pezzo in programma era Vodnik (Il folletto d'acqua), poema sinfonico op. 107 appartenente ad una serie di 5 poemi sinfonici scritti dopo il ritorno dagli Stati Uniti nel 1896/1897 ed ispirati a varie fiabe. La storia di questo folletto è piuttosto nera e truce con una ragazza che contro gli avvertimenti della madre, ma si sa che se anche le madri hanno spesso ragione non bisogna ascoltarle, va a vivere con questo folletto nel mondo sottomarino, ha un figlio, gli canta la ninnananna, il folletto si infuria, la ragazza torna dalla madre, lago in tempesta, si bussa alla porta, schianto, madre e ragazza aprono la porta e scoprono la testa del bambino ucciso in un lago di sangue, lamento, scomparsa del folletto nell'acqua. Se è quasi certo che un bambino a cui si narra questa storia si addormenterà beato, placido e felice è altrettanto certo che da questa fiaba Dvorak seppe trarre un poema sinfonico di grande bellezza con momenti di grande poesia. A dire il vero anche gli altri poemi sinfonici della serie, opere da 108 a 111, sono molto belli e meriterebbero di essere conosciuti molto di più di quanto non lo siano. Ieri sera, per una qualche ragione che non conosco, il poema sinfonico non è stato eseguito integralmente (dura circa 20 minuti) ma ci si è fermati dopo circa 7 minuti su una pausa dell'orchestra. Ci sono rimasto veramente male e mi sono arrabbiato anche non poco tanto che non ho nemmeno applaudito perché se si riteneva che eseguendolo tutto il concerto sarebbe stato troppo lungo, allora si poteva fare a meno di metterlo in programma rimandandolo ad altra occasione più propizia.
Fortunatamente è arrivato Enrico Dindo che con il suo meraviglioso violoncello ha eseguito il concerto per violoncello op. 104 in si minore del 1894, probabilmente il concerto più bello della letteratura e, credo, il più eseguito. Gran concerto che evita inutili virtuosismi e mette in evidenza, invece, una grande sensibilità, umanità e una grande capacità di elaborazione con i temi che ritornano alla fine in forma ciclica come un ricordo, una nostalgia.
Grande esecuzione di Enrico Dindo, acclamato, che ha fatto un bis bachiano.
Per finire la VI sinfonia op. 60 in Re maggiore del 1880. Le sinfonie di Dvorak soffrono il confronto con l'ultima che scrisse, la sinfonia dal Nuovo Mondo, che ha eclissato tutto il resto o quasi. E' un peccato perché ad esempio questa sinfonia contiene un sacco di bella musica e anche se l'omaggio a Brahms, almeno formalmente, è abbastanza evidente, ad esempio nel finale, Dvorak ha saputo calare nella forma la sua musica dove si ascoltano di sfuggita tante altre voci, da Wagner a Smetana e su tutto le inflessioni della meravigliosa Boemia (vedi ad esempio il Furiant che inizia al minuto 25 del video segnalato). Per quanto mi riguarda amo tutto Dvorak, perfino la sua prima sinfonia, e lo trovo un autore francamente entusiasmante che meriterebbe di essere molto più conosciuto di quanto non lo sia.
Le esecuzioni di Daniel Smith sono state buone. A dire il vero, con un'orchestra come la Verdi, avrebbe potuto cavare ben di più. Mi sembrava come trattenuto, non del tutto spontaneo; in genere non mi è parso che sia andato molto in profondità con le sue interpretazioni per cui, alla fine, a parte il concerto grazie a Enrico Dindo, non è che fossi particolarmente avvinto o esaltato da quanto avevo ascoltato.
Pubblico non foltissimo. Buon successo.

Nessun commento:

Posta un commento